Riceviamo a pubblichiamo questo documento dell'Associazione Ya Basta di Milano- Non ne condividiamo tutti i passaggi ma ne apprezziamo lo sforzo dentro un contesto in cui lo schematismo riesce a immobilizzare sia il dibattito che le iniziative contro la guerra. Una guerra che si presenta nella sua forma più diffusa e a geometria variabile, configurando l'epoca delle "cento guerre" piuttosto che quella tra nemici definiti, convenzionali, con sistemi di alleanze e di campi durevoli e omogenei. Dopo le manifestazioni di gennaio e marzo convocate da Eurostop, si è registrata una inerzia generale nell'azione e uno svilimento del dibattito. Nel frattempo assistiamo al boom mondiale delle spese militari e della militarizzazione (vedi quanto sta accelerando anche a livello di Unione Europea con l'Eugs) e ad un prezzo enorme pagato dalle popolazioni civili, soprattutto in Medio Oriente e in Africa. Questo documento di Ya Basta prova almeno a gettare un sasso nello stagno. (red.)
Più abbaiamo meno mordiamo. Siria e dintorni: appello agli internazionalisti
Il mondo è in guerra, non ha mai smesso di esserlo. E' una guerra globale con vari attori, nessuno dei quali, nemmeno il più simpatico, può vantare alcuna limpidezza di coscienza, alcuna irreprensibilità di condotta se non quando è in fase puramente difensiva. Contro la guerra globale e le sue molteplici ripercussioni, noi inermi abbiamo scarse possibilità: abbiamo dimostrato la nostra forza collettiva nella più grande mobilitazione disarmata della storia (2003, guerra in Iraq), ma ciò non ha spostato di un millimetro l'enorme carro armato della belligeranza imperialistica, né i bazooka dell'odio regionalistico. Le nostre possibilità sono scarse, è vero, ma non inesistenti. Per farle incidere, per renderle operanti, servono a ben poco i siti d'informazione, i social network, i piagnistei che durano una settimana. Non serve neppure più "informarsi" in sé, dato che la manipolabilità delle informazioni rende ormai inservibile e neutralizzata da voci contrastanti qualsiasi denuncia. Diceva uno: nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso. La verità ci sfugge, insomma, perché non abita sotto questi cieli solcati dagli aerei militari.
Dalle nostre parti, in Italia, ciò è tristemente visibile nella prolungata diatriba riguardante la guerra siriana. Si fatica persino a definirla guerra civile, dato che a un occhio necessariamente distante essa si presenta piuttosto come una guerra mondiale, non si sa più di che numero, combattuta tra e con i civili. Isis, Al Qaeda, fondamentalismo sunnita e sciita, lealisti e ribelli (due o tre stelle sulla bandiera, "rivoluzione" o rivolta fomentata dall'esterno e via discorrendo), turchi, russi, americani, europei, kurdi, arabi, iraniani, irakeni, libici, libanesi, israeliani, palestinesi… alzi la mano chi non c'è. Alzi la mano chi ha capito fino in fondo cosa comporti sostenere l'operato degli uni o degli altri attraverso la propaganda di guerra. Alzi la mano chi ha la chiave "geopolitica" o intellettuale per penetrare a fondo la vicenda, per discriminare i buoni dai cattivi su base nazionale, religiosa o politica, per capire fino a che punto un civile è un civile e un miliziano un miliziano, in foto e dal vivo. Solo gli stolti, in una fase del genere, in un caos tanto devastante, possono ostentare verità assolute. E anche le verità relative lasciano spesso troppi interrogativi.
Ciò nonostante, occorre dare una possibilità alle nostre possibilità. Occorre un vasto movimento contro la guerra e gli armamenti, che richiuda una ferita che rischia di scavare un nuovo insanabile solco nella devastata sinistra e nei decimati movimenti, e che ricompatti tutti coloro che vogliono un'umanità diversa, un diverso modo di organizzarci in società complesse. Nel merito del conflitto siriano, tanto per cominciare serve anzitutto un vasto movimento d'opinione in seno ai movimenti (a quel che ne resta e a quelli che nasceranno) che dica agli assadisti e agli anti-Assad: basta, avete rotto. Né più né meno. La vostra contesa mostra quanto in fondo continuiate a replicare un marcio stalinismo e un altrettanto stagionato trotzkismo che non cessano di prendersi a sprangate verbali e seminano lo smarrimento tra tutti noi che non vogliamo esercitare il tifo politico. Le vostre cocciute "versioni dei fatti", veritiere o meno, non ci aiutano perché non portano ad arrestare alcun assassino, e il processo è celebrato su un cadavere che non cessa di morire: la popolazione inerme e quella armata. Sì, anche quella armata, nella misura in cui un merdoso qualunque che si fa arruolare nell'Isis, in una qualche formazione fondamentalista o nell'esercito di una superpotenza è, anzitutto, un povero stronzo che non capisce nulla della vita e si fa assassino credendosi redentore.
Per essere chiari: sul conflitto siriano ciascuno ha le sue ragioni per sostenere quel che sostiene. Nessuno è completamente pazzo né subdolamente prezzolato come talvolta viene dipinto dall'avversario dialettico. E ci sono cose su cui tutti possiamo concordare. L'imperialismo esiste. L'uso della repressione violenta da parte dei governi esiste. Il massacro dei civili innocenti esiste. L'interesse economico che guida le parti in causa esiste. L'ottusità religiosa esiste. La menzogna propagandista esiste: è dilagante. Su tante questioni ciascuno differisce irrimediabilmente dagli altri, come si è sempre visto dalla Prima Internazionale in qua, ma su queste nessuno di noi può dubitare senza squalificarsi. Nel 2017, sarebbe tempo che noi tutte e tutti, comunisti, socialiste, anarchici, zapatiste, libertari, trozkiste, leninisti, guevariste, centrosocialisti, femministe, pacifisti o come diavolo ci chiamiamo, facessimo lo sforzo di riconoscere ciò che ci accomuna: di identificare il nemico comune e di iniziare a fargli male, connettendoci a chi non si chiama in nessun modo e qualcuno vuol chiamare popolo, qualcun'altra classe, qualcun altro cittadini, qualcun'altra ancora società civile. Non il nemico ultimo, definitivo, il capo dei capi, il Capitale, il Sistema, l'Impero, il Male, ma un qualche nemico sul quale realmente possiamo agire perché abita il nostro territorio, e può avere qualche grattacapo dall'ebollizione della nostra forza. Un nemico che in piccolo, miseramente, è anch'esso il capitale, il sistema, l'impero, il male. Il nemico che produce armi e le smercia, il nemico che conferma a ogni giro di governo l'adesione alla NATO e quindi l'implicita belligeranza in ogni conflitto in corso, il nemico che manipola gli organi d'informazione e seleziona le notizie da cui veniamo bombardati. Il nemico che abbiamo in casa. Questo è il solo modo, oggi, che abbiamo di agire da internazionalisti inermi sulla guerra in Siria e altrove. Lasciamo ai papi e agli altri angioletti d'occasione lo sterile pianto per le vittime, l'accorato appello a una pace che non si sa neanche più a chi chiedere. Ai tifosi delle parti in causa del conflitto siriano diciamo: prendete le armi e andate anche voi a scannarvi lì, dove avrete modo di sperimentare la saldezza della vostra visione. Se preferite restare qua in mezzo a noi perché avete troppo da perdere, fate lo sforzo di perdere anche un po' di spocchia contro chi non è bene "informato", di includerci in una contesa che non sia "interna" ma soltanto contro i veri nemici collettivi. La qual cosa non risolverà ancora un granché, ma forse ci farà fare qualche progresso collettivo. Perché di questi progressi, per quanto infinitesimali, tutte e tutti noi abbiamo un'ardente sete. Siamo stati espulsi dalla Storia fino a quando essa non ci presenterà il conto portandoci la guerra in casa: diamoci la possibilità di un ruolo serio, efficace, positivo in quest'epoca di tremendo nulla. Sfiliamo sotto l'unica bandiera di una pace in nome dell'umanità, contro il capitalismo e contro l'ottusità religiosa. Non è un invito a convocare un corteo. E' l'auspicio per un processo di lunga durata.
Ricordate la prima guerra mondiale? Tutti all'inizio la volevano e la propagandavano contro un qualche nemico nazionale: tutti, tranne i comunisti e gli anarchici di allora, che non avevano perso la prospettiva di classe. La giustezza della loro visione non è più in discussione, la storia ha dato loro ragione: su questo punto anche i borghesi più intellettualmente onesti devono concordare. Forse un giorno si guarderà a questa guerra, a questo blocco variabile di guerre contemporanee, e si dirà che aveva ragione soltanto chi voleva la pace senza condizioni, perché solo chi vuole la pace ha a cuore gli interessi più veri delle classi subalterne di tutti i paesi. In altri momenti, in Siria o altrove la violenza sarà uno sbocco giusto e forse obbligatorio, quando le classi torneranno a scontrarsi in quanto classi. Al momento non è così, e non esiste alcun "frontismo" in grado di renderci accettabile un qualche alleato tattico in questa guerra incessante tra l'umanità e lo sfruttamento capitalistico armato. Da parte nostra, abbiamo le nostre idee. Stiamo con il confederalismo democratico in quanto proposta politica fattibile, non in base agli alleati presunti o momentanei dei kurdi. Siamo per un'autodeterminazione dei popoli che non sia strumentalizzata soltanto in favore di qualche gruppo d'interesse che ambisca alla presa o al mantenimento del potere statale, ma soprattutto siamo per una dissoluzione progressiva degli stati e dei confini. Stiamo contro l'imperialismo in quanto fase storica globale con una molteplicità di attori, non perché riconosciamo soltanto agli USA, alla Russia o agli stati europei una qualche esclusiva colpevolezza contingente. Siamo per la libertà perché i governi fascisti esistono e hanno la faccia di Erdogan e di tanti altri, e sappiamo riconoscerla. Questo, onestamente, è ciò che pensiamo. Sul resto siamo interessati ad ascoltare, ad apprendere e a distinguere, ma non a far la gara su chi la sa più lunga.
Quel che nel frattempo possiamo e dobbiamo fare, è reclamare una pace che parta dal rendere innocuo ogni potenziale attore esterno alla Siria, dato che su quelli interni non possiamo influire, ma dall'esterno essi ricevono armamenti e motivi per esistere. Siamo piccoli in un mondo grande, non possiamo fermare tutti, ma infastidire qualcuno forse sì. Tanto per cominciare, l'apparato italiano di produzione di macchine di morte, il vassallaggio militare degli atlantisti nostrani, la rapacità delle nostre aziende statali e private. Torniamo a reclamare con forza l'uscita dalla NATO, in nome di una neutralità che anche in questo angolo di Euromediterraneo nasca come frutto della fratellanza tra i popoli, in quanto umanità ugualmente posta dinanzi alla catastrofe ecologica da arrestare, allo squilibrio economico da ripianare. Imponiamo ai futuri candidati politici una necessaria presa di posizione limpida, non ambigua, circa il blocco di interessi che governa da settant'anni la politica estera di questo paese. Proponiamo alla nostra società dilaniata da retrivi isolazionisti, squallidi voltagabbana e schiumanti razzisti una visione del mondo che non sia residuale ma in dilagante diffusione, una visione per cui nostra patria è il mondo intero e come tale ci interessa difenderla. Promuoviamo un movimento ampio che cammini collettivamente anche quando il singolo è stanco o il gruppetto non può esserci. Stimoliamo un dibattito pubblico in cui il "parere dell'esperto" arretri in favore del buonsenso dei pocotenenti, che non è il senso comune dell'idiota da social network: è quell'istintivo rifuggire la guerra che purtroppo, a quanto pare, impedisce il compimento di qualsiasi rivolta e rivoluzione ma non l'incedere della violenza dei potenti. Diamo all'istintivo pacifismo degli inermi le gambe per camminare, i nemici sia psicologici che fisici da smascherare e contro cui combattere, l'esempio umile con cui confrontarsi, le piazze in cui riconoscersi, crescere e organizzarsi, il modo insomma di non essere più inerme, e avremo fatto qualcosa di meglio che continuare ad abbaiare, peraltro senza mordere nessuno che non sia tra i nostri vicini più prossimi.
Grazie
Associazione Ya Basta! Milano
dicembre 2016
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