DALLA RIVOLUZIONE DI THATCHER E REGAN ALLA STAMPA 3D: LE TRASFORMAZIONI TECNICHE SONO ANCHE POLITICHE
Roberto Centazzo
Proponiamo un adattamento dell’intervento di Roberto Centazzo all’iniziativa organizzata da Noi Restiamo al Politecnico di Torino il 26 gennaio 2016. L’intervento non è stato rivisto dal relatore ed eventuali errori sono quindi da considerarsi a carico nostro. Il titolo è redazionale.
Tutti i grandi cambiamenti tecnologici hanno comportato una profonda riorganizzazione dei sistemi produttivi e conseguentemente dei sistemi sociali. Quello che noi oggi ci troviamo di fronte è un elemento di grande novità; fino ad alcuni anni addietro noi avevamo una visione del mondo che, per quanto potesse essere per certi versi poco gradevole, prevedeva la possibilità di alternative possibili fra diversi sistemi produttivi.
Quello che a mio avviso si prospetta dopo la caduta del muro di Berlino, l'ingresso della Cina nel Wto, fondamentalmente dopo l'avverarsi del processo di globalizzazione complessiva è, almeno apparentemente, l'esistenza di una sola possibilità.
Tutto quello che si è mosso in questi anni rientra comunque in un modello economico- sociale che prende le sue mosse dalla scuola di Chicago, dalla presidenza Reagan e Thatcher, cioè un'economia di stampo neoliberista. Prima che tutto questo accadesse, almeno apparentemente, l'alternativa poteva essere costituita dai paesi socialisti. Tutti noi sappiamo che nei paesi socialisti non si conduceva una vita brillante, però l'esistenza di una controparte, faceva sì che da questa parte del muro ci fosse un’attenuazione di determinati fenomeni e un certo tipo di attenzione ai processi sociali e politici del sistema di produzione, della ridistribuzione della ricchezza. Perfino governi di destra che succedevano a governi socialdemocratici in paesi come la Germania e la Svezia ponevano attenzione al welfare, protezione sociale e aspetti di ridistribuzione della ricchezza. Dopo la caduta del muro e i fenomeni conseguenti questo meccanismo si è inceppato.
Siamo in una situazione in cui la cultura dominante si presenta attraverso pensieri di sinistra subalterni alla destra, dove prima al più alcuni pensieri di destra erano subalterni alla sinistra: un modello, cioè, dove non si prevedono alternative percorribili. Ci sono alcuni pensatori interessanti, da Naomi Klein a Jeremy Rifkin, che ritengono che una strutturale alternativa sia possibile. Tuttavia in questo momento io credo che siamo all'interno di questo contesto, dove un qualsiasi fenomeno in una parte del mondo scatena una serie di meccanismi domino in parti del mondo che apparentemente non sembrano aver alcun tipo di connessione diretta.
Prima di pensare al fenomeno produttivo, occorre pensare come questo si connetta con gli elementi della società, come la società venga trasformata. Noi abbiamo assistito allo sviluppo della produzione di massa attraverso processi come quelli del fordismo: una situazione in cui esistevano delle regole molto precise all’interno dei luoghi di produzione ma in cui esisteva anche un pensiero, come quello di Henry Ford, secondo cui all'interno dell'azienda la disciplina si manteneva anche attraverso l'uso dei manganelli ma che fuori da esso dovessero tutti essere dei consumatori. Il fatto che egli avesse aumentato la paga degli operai specializzati in maniera inusitata per l’epoca era legato alla sua idea che al di fuori della fabbrica ci dovesse essere una società che cresceva e funzionava, anche se attraverso il consumo.
Quello che noi oggi vediamo sono fenomeni che non vanno neppure in questa direzione. Keynes pensava che in una società fortemente automatizzata le macchine avrebbero provveduto quasi a tutto mentre le persone potevano dedicarsi alla lettura, all'arte, alla spiritualità, alle amicizie, la famiglia e così via. Qualche anno fa è uscito un saggio di due ricercatori del MIT di Boston sull’era delle macchine. Essi hanno previsto che resteranno solo profili lavorativi estremamente bassi (non qualificati) e profili estremamente alti. Tutta la parte intermedia della forza lavoro sarà distrutta, perché gran parte di tutte le cose che sono fatte dalle persone potrà essere automatizzate. Questi ricercatori prevedono che saremo più contenti e avremo molto più tempo di fare le cose che ci piacciono.
Tuttavia il problema è che prima di tutto avremo il problema di mantenere le persone: mantenere noi stessi, le nostre famiglie, garantirci un reddito adeguato per riuscire a vivere in questa era di Bengodi.
Uno dei grossi problemi che ci troviamo di fronte è proprio questo: la spinta verso una forte automatizzazione può portare in determinate condizioni a un abbassamento della forza lavoro, del numero di persone impiegate. Aumentano conseguentemente le persone senza reddito e diritti, nella stragrande maggioranza incapaci autonomamente di investire su se stessi e di godersi il tempo di cui dispongono, costretti in situazioni di forte difficoltà.
Dall'altra parte è pur vero come, nel corso del tempo, sono state sviluppate tecnologie che rendono possibile la realizzazione di determinate cose. Fino a qualche anno fa quello che oggi noi chiamiamo comunemente informatica era gestita solo attraverso grandi sistemi insediati all'interno di complessi asettici gestiti da personale tecnico. Non c’era moltissima gente che lavorasse su queste cose. Io che ho una certa età ricordo che bisognava blandire i tecnici per fargli fare qualche elaborazione di dati, perché loro erano dei sacerdoti, i custodi di un certo tipo di sapere e della macchina che consentiva di elaborare un certo tipo di informazione. Con l'avvento dell'informatica distribuita, con i personal computer, una serie di cose sono incominciate a cambiare. In parte forse sono cambiate in peggio: posti di lavoro che prima erano occupati da persone che facevano cose non automatizzabili ora sono scomparsi. Pensate, per fare un esempio, alla dattilografa.
Qualcuno ai tempi aveva detto che i mainframe sarebbero scomparsi. Io credo che oggi ce ne siano molti di più che allora. Solo che noi non abbiamo più la relazione con i “sacerdoti”, ma questi mainframe sono quelli che gestiscono la rete globale (google, amazon e altre piattaforme).
L'informatica distribuita ha cambiato profondamente, rispetto agli albori, anche il lavoro in ufficio. Solitamente c’era un solo PC per ufficio. Poi questa cosa si è allargata e ha fatto sì che ci fosse anche un’acquisizione di competenze da parte delle persone a livello della loro vita sociale, e oggi ciascuno di voi ha a disposizione almeno uno strumento tecnologico di questo tipo nelle vostre case.
Arriviamo quindi alla stampa 3D. Essa in realtà è vecchia di più di vent’anni. Alcune aziende hanno trovato il modo di produrre oggetti attraverso l’aggiunta di materiale anziché attraverso la sottrazione. Noi infatti quando pensiamo a processi, ad esempio dei processi meccanici, pensiamo a processi in cui si prendono blocchi di materiali e li si scava, li si lima, si fanno una serie di operazioni togliendo continuamente materiale.
La stampa 3D ribalta questo meccanismo, nel senso che dice: io riesco a mettere il materiale che mi serve solo nei punti in cui mi serve e costruisco un oggetto. Questo può voler dire un risparmio di materiale, ma costituisce anche un elemento di profondo cambiamento nel pensiero e nell’approccio alle cose.
Attraverso l'informatica nel tempo siamo diventati degli elaboratori di dati attraverso l'uso di determinati strumenti; allo stesso modo, anche se agli albori, la stampa 3d è in grado di portarci in una direzione di quel genere.
Inizialmente, considerando il fatto che molte delle innovazioni prodotte erano sotto brevetto, la stampa 3d è rimasta sostanzialmente monopolio di alcuni soggetti ed è stata utilizzata principalmente per fare una cosa che si chiama prototipazione. Dopo la scadenza di tali brevetti, con il raggiungimento di determinate competenze, molti soggetti si sono affacciati all’uso, alla progettazione e all’ideazione di strumentazione di questo genere.
Questo ha creato all’oggi due tipi di mercato. Da una parte c’è il diffondersi delle c.d. stampanti 3d “domestiche”, quindi oggetti che costano 1000-1500 euro. Dall’altro c’è l’uso industriale. Una stampante da mille euro infatti non può produrre qualsiasi cosa possa servire: il livello di precisione, il livello di accuratezza, il livello di velocità produttiva, il tipo di materiali che possono essere utilizzati di fatto limitano l’utilizzo di queste macchine, così come i primi pc si potevano usare per fare certe cose ma non altre. Esiste quindi un altro tipo di mercato, quello delle grandi stampanti: oggetti che costano due-trecentomila euro a uso industriale.
Le macchine di questo secondo tipo si stanno diffondendo. Sempre più aziende le usano non solo per i prototipi ma anche per la produzione. Conosco aziende, anche piccole, che si sono convertite: prima facevano fornitura adesso fanno servizio di stampa 3d. Cosa stampano? Di tutto: dai pezzi del carburatore di un auto fino alle protesi dentali. Che materiali stampano? Dalla plastica fino al titanio, passando per tutta un’altra gamma di cose (ovviamente usando differenti tipi di stampanti). Un esempio della flessibilità del processo arriva da Massa Lombarda, dove si utilizza questa tecnologia per la composizione di matrici argillose che compongono muri prefabbricati.
Sul versante domestico siamo invece su un piano piuttosto rozzo. La situazione ricorda quella dei vecchi PC. L'ambito di sviluppo riguarderà, accantonando tutto ciò che concerne i materiali, il software che dovrà rendere più immediato e semplice l'utilizzo permettendone così lo sviluppo.
Il tessuto imprenditoriale è composto per circa il 90% del totale da imprese con meno di venti persone, la maggior parte manifatturiere, molte delle quali aperte da imprenditori che una volta licenziati per appartenenza a sindacati o per riorganizzazione aziendale negli anni 50-60, tramite la cessione di materiali, macchinari si sono potuti riorganizzare in proprio e ricrearsi un'entrata autonomamente.
I costi necessari oggigiorno per aprire un'attività a tal scopo sono ben al di fuori delle possibilità di un cassaintegrato o di un licenziato; ma la strumentazione digitale, anche manifatturiera, facilita in tal senso la possibilità di far nascere aziende spontanee con una produzione accompagnata da maggiore economicità nell'accesso allo costruzione dell'azienda, quindi dell'accesso al lavoro.
Inoltre, l'estrema flessibilità della connessione di rete permette di dialogare, quindi collaborare, con chiunque nel mondo costruendo reti di dialogo. Questo è uno strumento assai prezioso.
Le lacune, le esternalità dell'attuale sistema produttivo possono essere contagiati e affiancati da comportamenti e competenze lavorative diverse che mostrano una via alternativa a questa folle logica di produzione. Il dato di fondo rimane. Non basta modificare i sistemi produttivi ma è necessario entrare nella modifica dei processi sociali e di ridistribuzione.
Si arriverà al punto che all'inizio della catena produttiva si vedranno pagare la prestazione a un costo minore del costo di produzione e una volta che non sarà più possibile per loro reggere un assetto tale saranno costretti a chiudere non potendo più pagare i propri lavoratori.
L'impegno sul versante sociale, quindi lavorativo non è puramente una questione tecnica ma politica con la trasformazione dei modelli sociali come contorno.
Per il primo articolo vedi qui: https://contropiano.org/documenti/2017/01/10/automazione-disoccupazione-tecnologica-introduzione-1-087774
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