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Truffe, fuffe e fascisti… I “premiati” del giorno del ricordo

Un bilancio provvisorio. Da diecifebbraio.info, che ringraziamo per l'ottimo lavoro svolto.

Il 30 marzo del 2004 il Parlamento istituiva il Giorno del Ricordo (Legge 30 marzo 2004, n. 92) quale solennità civile da tenersi ogni 10 febbraio al fine della conservazione della memoria “...della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra...” (nonché “delle più complesse vicende del confine orientale”). La nuova ricorrenza si andava ad aggiungere a una serie di giornate celebrative di carattere storico-politico, istituite dal Parlamento italiano in gran parte dopo il 2000 (in alcuni casi recependo ricorrenze istituite dal Parlamento europeo)1 che sono andate a comporre un vero e proprio calendario della memoria storica istituzionale che indica cosa e come vada ricordato dalla Repubblica. In tale contesto di creazione di una “memoria storica ufficiale” il Giorno del Ricordo ha svolto da subito un ruolo di primo piano, divenendo immediatamente la celebrazione che più è stata sponsorizzata e finanziata a livello istituzionale e mediatico.

In occasione di ogni 10 febbraio la legge prevede iniziative “per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado”, nonché “la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti” e stabilisce che nella data della ricorrenza vengano assegnati dei riconoscimenti (una medaglia di metallo con la scritta “L'Italia ricorda” e una pergamena) ai parenti (fino al 6° grado) di persone “soppresse e infoibate” e di quelle soppresse “mediante annegamento, fucilazione, massacro, attentato, in qualsiasi modo perpetrati…” “in Istria, in Dalmazia o nelle province dell'attuale confine orientale” nel periodo tra l'8 settembre 1943 ed il 10 febbraio del 1947 (data di entrata in vigore del Trattato di Pace degli Alleati con l'Italia che ha sancito il passaggio di una serie di territori appartenuti allo Stato italiano a Jugoslavia, Francia e Grecia, nonché più tardi a Somalia, Etiopia, Eritrea e Libia), ovvero di coloro che persero la vita tra il 10 febbraio del '47 ed il 21 dicembre del 1950 per le conseguenze di deportazioni, torture o maltrattamenti. Il termine entro cui si poteva presentare le domande per i riconoscimenti è stato fissato in 10 anni ed è scaduto nel 2015, ma nel 2016 il parlamento lo ha prorogato al 2025.2

E' perciò il caso di fare un bilancio di quanto accaduto con i riconoscimenti nei primi dieci anni per capire chi e cosa si sia voluto premiare e cosa aspettarci nei prossimi anni, a partire dal 10 febbraio 2017.

Per farlo è però necessario partire dal testo della legge. Un testo molto generico, che non delinea i termini in cui i “tragici eventi” vanno ricordati, mentre indica invece molto chiaramente chi in concreto vada ricordato con il conferimento di un riconoscimento ufficiale, anche se non specifica a chi vada addebitata la responsabilità della loro scomparsa né i motivi per i quali le persone in questione vengano considerate particolarmente meritevoli di essere ricordate e celebrate.

La legge stabilisce peraltro anche dei motivi di esclusione dalla possibilità di ottenere il riconoscimento, che riguardano le persone morte in combattimento, quelle scomparse “mentre facevano volontariamente parte di formazioni non a servizio dell'Italia” e quelle per le quali è stato “accertato, con sentenza, il compimento di delitti efferati contro la persona”. Motivi che però sono stati messi lì per una questione di facciata, con elementi non indifferenti di presa per i fondelli, e che spiegano più chi si voleva premiare che non chi si volesse escludere.

Escludere i caduti in combattimento ammettendo allo stesso tempo le persone scomparse in seguito ad attentato – una delle modalità operative della Resistenza in tutta Europa – ha l'unico scopo di fare finta di voler essere decenti e rigorosi, mentre in realtà ciò permette di far rientrare dalla finestra anche coloro che sarebbero dovuti essere respinti alla porta. Perché ogni attacco partigiano a unità collaborazioniste può essere definito un attentato e non un combattimento, anche se chi è morto è morto combattendo con le armi in pugno.

Nel contesto storico degli avvenimenti in questione scrivere di “formazioni non al servizio dell'Italia” senza porre alcuna discriminante tra formazioni dell'Italia che combatteva il nazifascismo e di quella che stava dalla parte dei nazisti significa affermare che gli uomini delle Brigate Nere, delle formazioni della Repubblica Sociale Italiana e della Milizia Difesa Territoriale, distintisi nella repressione antipartigiana, combattevano forse per l'Italia sbagliata, ma pur sempre per l'Italia. Legittimando così ufficialmente non solo le interpretazioni date dai fascisti della loro scelta, ma anche la loro scelta in quanto tale! E, di converso, criminalizzando gli italiani – e furono tanti – che combatterono nelle file delle formazioni partigiane jugoslave o che con esse collaboravano strettamente.

Il fatto poi di specificare la necessità della volontarietà dell'appartenenza a formazioni armate è una presa in giro ed un evidente tentativo di sfruttare la scarsa conoscenza della grandissima parte degli italiani delle condizioni politiche specifiche di quei territori per far passare chi militava nelle formazioni al servizio dei nazisti come poveri coscritti, obbligati dai nazisti ad arruolarsi e divenuti vittime di una guerra non voluta né sentita. Perché la gran parte degli italiani non sa che i territori in questione (il territorio dell'attuale Friuli – Venezia Giulia, nonché l'intera Istria, Fiume e la c.d. Provincia di Lubiana, annessa all'Italia dopo l'occupazione della Jugoslavia nel 1941) facevano parte all'epoca della Zona d' Operazioni Litorale Adriatico (ZOLA), costituita dai nazisti dopo l'8 settembre '43 e amministrata direttamente da un Supremo Commissario nazista nominato da Hitler, in cui la stessa RSI non aveva alcun potere e in cui le sue formazioni armate potevano entrare e operare solo ed esclusivamente con il permesso e sotto la direzione dei tedeschi. Così come non sa che il 12 novembre del 1943 il Supremo Commissario fece pubblicare un comunicato in cui affermava perentoriamente che l'arruolamento nelle formazioni della Repubblica Sociale Italiana poteva avvenire solo “sulla base di presentazione volontaria3 e che con l'ordinanza del 22 febbraio '44 lo stesso Supremo Commissario decretava il richiamo al “servizio obbligatorio di guerra” delle classi '23, '24 e '25, specificando che i richiamati sarebbero stati destinati in primo luogo al lavoro per l'Organizzazione Todt4 e che solo su domanda avrebbero potuto entrare a far parte di formazioni armate, che fossero tedesche, della RSI o di altri gruppi collaborazionisti.5 Questo in pratica significa che nella Zona d'Operazioni chiunque (con pochissime eccezioni) facesse parte di formazioni armate, al servizio o meno dell'Italia, della Resistenza o nazifasciste, c'era entrato volontariamente!

Quanto all'accertamento con sentenza della colpevolezza di “delitti efferati contro la persona”, la formula ricorda molto quella usata nell'amnistia Togliatti e sfruttata dalla magistratura per rimettere in libertà i fascisti ancora detenuti. Il non aver utilizzato una formulazione diversa o la specificazione di cosa si intendesse per delitto efferato lascia anche in questo caso opportunamente aperto il campo alle interpretazioni.

Quello che più risalta però nel testo della legge, come pure tra i motivi di esclusione dal riconoscimento, è l'assenza di qualsiasi riferimento al fascismo, ai fascisti, all'occupazione nazista, al collaborazionismo e alle delazioni, torture, deportazioni, massacri commessi dai nazifascisti. Una assenza decisiva e tutt'altro che casuale.

 

Per entrare nel merito della questione e dare uno sguardo un po’ più approfondito sui riconoscimenti concessi nei primi 10 anni di applicazione della legge è necessario superare un problema non da poco: al contrario di quanto avviene per tutte le onorificenze dello Stato, non esiste – a quanto mi è dato sapere – un elenco ufficiale dei nominativi delle persone alla cui memoria sono stati concessi i riconoscimenti, né quello, importante per altri versi, dei parenti ai quali sono stati consegnati. Per avere un elenco affidabile almeno dei nominativi delle persone scomparse e ritenute meritevoli di riconoscimento è stato necessario andare a spulciare le notizie di stampa e le comunicazioni delle Prefetture in occasione di ogni 10 febbraio e nei giorni precedenti e seguenti tale data. Grazie a ciò sono riuscito a compilare un elenco alquanto completo di tutti coloro che sono stati ritenuti meritevoli del riconoscimento, anche se solo molto parziale per quanto riguarda i congiunti a cui sono stati consegnati e le motivazioni.

Una volta rintracciati i nominativi degli scomparsi e quanto di loro veniva scritto li ho messi a confronto con quello che eventualmente di tali nominativi dicessero altri elenchi di caduti, nessuno dei quali redatto da ambienti particolarmente “di sinistra”. Il primo è l’”Albo d’oro. La Venezia Giulia e la Dalmazia nell’ultimo conflitto mondiale”, (Unione degli Istriani, Trieste, 1989 – in seguito Papo), un voluminoso elenco di persone decedute per cause di guerra nell'attuale Friuli – Venezia Giulia, nelle parti della ex Jugoslavia (principalmente Slovenia, Croazia, Montenegro, Bosnia Erzegovina) che tra le due guerre mondiali hanno fatto parte dell'Italia o che sono state annesse o anche solo occupate dall'Italia durante la seconda guerra mondiale, redatto da Luigi Papo da Montona ed il cui principale scopo è stato di “documentare” le uccisioni di massa di “italiani” che sarebbero state perpetrate dai partigiani “slavocomunisti” di Tito. E' da precisare che Luigi Papo è stato comandante di una unità della Milizia Difesa Territoriale (MDT), formazione collaborazionista messa in piedi dai tedeschi, e forse quel vezzoso “da Montona” che ha aggiunto al suo cognome vuole ricordare il paese istriano in cui diede vita alle sue gesta di comandante fascista, per le quali gli jugoslavi lo avrebbero incluso tra i criminali di guerra di cui chiesero a lungo e inutilmente l'estradizione all'Italia “nata dalla Resistenza”.6 Da aggiungere ancora che il suo volume è stato ampiamente utilizzato dalla Commissione per l'attribuzione dei riconoscimenti nel prendere le sue decisioni.

Gli altri due elenchi sono entrambi redatti da ambienti fascisti e presentano, al contrario di quanto avviene per molti elenchi del genere, un carattere di una qualche serietà (anche se è percepibile che per quanto riguarda il territorio di confine tra Italia e Slovenia-Croazia e per i territori jugoslavi occupati dall'Italia nella seconda guerra mondiale la fonte principale di entrambi è il volume di Papo). Si tratta dell’”Albo caduti e dispersi della Repubblica sociale italiana” (Fondazione della R.S.I – Istituto storico Onlus, 2003, consultabile su http://www.istitutostoricorsi.org/newsite/memoria.php#caduti – in seguito Albo caduti) a cura di Arturo Conti e dell’”Elenco dei caduti e dispersi della RSI” (agosto 2007, http://www.laltraverita.it/elenco_caduti_e_dispersi.htm – in seguito Elenco caduti).

Oltre a ciò ho aggiunto i dati presenti in altri archivi e/o fonti che ho potuto consultare. Voglio ringraziare in particolare Milovan Pisarri, che mi ha consentito di avere copia di documenti riguardanti alcuni dei “premiati” presenti nell'Arhiv Jugoslavije – fondo Državna komisija za ugotavljanje zločina okupatora i njih pomagača (Archivio di Jugoslavia – Commissione statale per l'accertamento dei crimini degli occupanti e dei loro collaboratori) di Belgrado, Claudia Cernigoi, che mi ha segnalato diversi nominativi e dati, Alessandra Kersevan, che mi ha segnalato alcuni importanti testi e Ivan Serra, che ha “dissotterrato” e messo a disposizione documenti importanti e spesso misconosciuti.

Con i dati raccolti ho creato un database che consente di tirare ora un po’ le somme.7

Il numero totale delle persone alla cui memoria sono stati attribuiti i riconoscimenti è di 323. Un numero estremamente deludente, inferiore persino alla cifra di 471 “martiri delle foibe” (per di più riferentesi agli uccisi nel solo periodo immediatamente seguente l'8 settembre) riportata dalla stampa fascista in occasione di quello che è stato in realtà il primo Giorno del Ricordo, cioè il 30 gennaio 1944, quando per decreto di Mussolini in tutto il territorio della RSI si tennero celebrazioni ufficiali di questi “martiri” della “barbarie slavobolscevica”.8 Ma sopratutto è una cifra del tutto inadatta a giustificare quelle rilanciate ogni anno da media e istituzioni in occasione delle celebrazioni del 10 febbraio. Ed è proprio per questo che è una cifra “introvabile”. Perché se qualche cifra viene data si tratta di quella dei riconoscimenti concessi, prodotto peraltro di una “particolarità” difficilmente riscontrabile in altre circostanze analoghe. Si tratta infatti dell'unico caso a mia conoscenza in cui un riconoscimento della Repubblica viene concesso più di una volta! Il riconoscimento del Giorno del Ricordo è stato infatti concesso nello stesso anno a più parenti, nello stesso anno allo stesso parente in più prefetture, in anni diversi a parenti diversi o agli stessi parenti in prefetture diverse (tra i dati da me raccolti, molto incompleti, ci sono 19 persone scomparse alla cui memoria i riconoscimenti sono stati concessi in 2 anni diversi, 1 in tre anni e 1 addirittura in 4 anni diversi – quindi 45 riconoscimenti alla memoria di 21 persone!). In questo modo si è potuto affermare che i riconoscimenti concessi sono stati oltre il migliaio, che rimane una cifra comunque molto più bassa di quelle strombazzate da media, organizzazioni degli esuli e politici.

Andando ad analizzare la caratterizzazione delle persone ritenute meritevoli di essere ricordate quelle che vengono qualificate semplicemente come civili sono 63, ovvero poco più del 19% del totale. Va tenuto presente che tale definizione va presa con cautela perché nei pochi casi in cui ho avuto a disposizione fonti diverse è risultato che le persone in questione non erano affatto dei semplici ed innocui civili. Valga l'esempio di Rodolfo Ciuffarin: il Papo e l'Albo caduti lo definiscono unicamente come veterinario, uno dei tanti “civili vittime degli slavi” che Papo afferma sarebbero stati uccisi a guerra finita (in entrambi gli elenchi si scrive che sarebbe stato deportato dagli “slavi” il 12 maggio del 1945 da Gorizia), mentre nelle cronache giornalistiche riguardanti il conferimento del riconoscimento viene definito come un innocuo veterinario che sarebbe stato ucciso mentre svolgeva la sua professione. Rodolfo Ciuffarin però lo ritroviamo anche negli “Elenchi nominativi dei caduti, feriti – “Modulo R” che si invia mensilmente alla direzione del P.F.R.”, spediti il 14 giugno 1944 dal Commissario federale del PFR di Gorizia, Franco Frattarelli, al Direttorio del PFR a fini previdenziali e pensionistici. In tali elenchi il Ciuffarin viene definito, oltre che veterinario, anche “fascista”, e vi è pure scritto che non è stato affatto deportato nel maggio del 1945 dagli slavi, ma che è “caduto” nel febbraio del 1944 nella zona di Aidussina!!!!!9 Quindi o Frattarelli mentiva spudoratamente (e non se ne vede motivo),10 oppure non si tratta nè di un semplice veterinario, e nemmeno di un “civile vittima degli slavi a guerra finita”. A ciò va aggiunto che 6 degli scomparsi catalogati come civili sono morti nella strage di Vergarolla, avvenuta il 18 agosto del '46 nei pressi di Pola a causa dell'esplosione di mine ed ordigni ammucchiati su una spiaggia, la cui responsabilità viene attribuita – del tutto arbitrariamente e senza alcuna prova a conforto – dalle organizzazioni degli esuli, nonché da media e politici mainstream, agli jugoslavi.11

Tra coloro che vengono qualificati come civili ci sono anche le uniche due persone tra i premiati che hanno una qualche credenziale di antifascismo, Mario Blasich e Giuseppe Sinchich, entrambi appartenenti al partito indipendentista Fiumano. Il primo fu Ministro dell'Interno del governo dello Stato libero di Fiume, costituito nella primavera del 1921 dagli indipendentisti dopo una sonante vittoria elettorale sui filo-italiani riuniti nel Blocco Nazionale (di cui forza egemone era il Partito Nazionale Fascista) e stroncato con un colpo di Stato dai fascisti nel marzo del 1922 (nel 1924 la città venne ufficialmente annessa all'Italia dopo il trattato di Roma tra Italia e Jugoslavia).12 Il secondo sarebbe stato tra coloro che ricostituirono il partito indipendentista a Fiume dopo l'8 settembre. Si tratta certamente di persone non troppo ben viste dagli ambienti fascisti, anche se a dire il vero non si hanno notizie di una qualche attività antifascista concreta degli indipendentisti, nemmeno dopo l'occupazione nazista della regione. Ma al di là di queste considerazioni quello che conta è il fatto che dei racconti sul fatto che la violenza “slavocomunista” sarebbe stata rivolta contro gli italiani in quanto tali, colpendo anche “numerosi” antifascisti (compresi comunisti), quello che rimane in concreto sono due possibili antifascisti su 323 premiati (lo 0,62% del totale!), e per giunta si tratta di indipendentisti fiumani, quindi evidentemente non catalogabili come persone uccise perché difendevano l'appartenenza della città all'Italia.

Ci sono poi 9 persone (il 2,79% del totale) di cui non ho potuto trovare dati su tempo e circostanze della scomparsa, né sulle loro qualificazioni. In tre casi la scomparsa è invece avvenuta per mano nazista, e una delle tre vittime è addirittura caduta da partigiano (su questi casi tornerò più avanti)!

Tutti gli altri erano militi di formazioni armate (227 persone, pari al 70,28% del totale) o personale politico di vario grado del regime fascista (dagli squadristi, ai responsabili di vario livello del Partito Nazionale Fascista – PNF – e del Partito Fascista Repubblicano – PFR, ai gerarchi veri e propri: 23 persone ovvero il 7,12% del totale). Quindi coloro che facevano parte di reparti collaborazionisti o erano in qualche modo individuabili quali rappresentanti del fascismo rappresentano più del 77% del totale degli scomparsi a cui sono stati attribuiti i riconoscimenti.

Tra coloro che militavano in formazioni armate il 22% apparteneva alla Guardia di Finanza, il 15% alla Milizia Difesa Territoriale, l'8% circa alla Pubblica Sicurezza, mentre il resto è distribuito tra formazioni varie della RSI, altre formazioni collaborazioniste, di polizia locale, agenti di custodia e simili. Un discorso particolare (anche se può valere per tutte le formazioni armate non militari) va fatto per i militi della Guardia di Finanza, rappresentati come appartenenti a una formazione “neutra”, che non svolgeva operazioni militari ma di semplice polizia economica, per cui non avrebbero dovuto essere oggetto di “interesse” da parte delle formazioni partigiane. La realtà è un po’ diversa: si trattava comunque di una formazione armata che obbediva agli ordini dei tedeschi, anche nell'attività di “polizia economica” – attività che in periodo di guerra, in cui l'approvvigionamento delle formazioni partigiane, di vitale importanza per la loro stessa esistenza, non poteva che avvenire in modo illegale, era tutt'altro che neutra e non poteva che essere vista come “nemica” dalla Resistenza. Oltre a ciò va sottolineato che, per ammissione di autori della stessa Guardia di Finanza,13 nella ZOLA si verificò l'unico caso in cui reparti della Guardia di Finanza accettarono di porsi al servizio dei tedeschi per attività repressive antipartigiane. Unità di finanzieri vennero impiegate in particolare nella sorveglianza della strada Trieste – Fiume, lungo la quale vennero installate varie guarnigioni di finanzieri che furono impegnate molto attivamente contro i partigiani e i loro sostenitori. E tra i 71 finanzieri scomparsi ce ne sono almeno 9 che prestavano servizio presso una di queste unità, dislocata a Matteria (Materija, Slovenia), che sarebbero scomparsi in un attacco dei partigiani alla loro caserma nella notte tra il 12 ed il 13 gennaio del 1944.

Se andiamo poi a vedere il periodo della scomparsa dei meritevoli di riconoscimento, poco più del 17% (56 persone) sono scomparse tra l'8 settembre ed il novembre del 1943 (nel periodo quindi delle sollevazioni popolari e del dissolvimento delle strutture dello Stato fascista seguiti all'Armistizio nei territori che sarebbero poi diventati la ZOLA), quasi il 22% (70 persone) sono scomparse nel periodo che va dal novembre '43 al 1° maggio 1945, data della liberazione di Trieste da parte dell'Esercito Popolare di Liberazione jugoslavo (EPLJ – va precisato che in alcune zone, anche nella stessa Trieste, i combattimenti continuarono almeno fino al 3 maggio), quasi il 56% (181 persone) sono scomparse nel periodo seguente alla Liberazione, mentre per il 5% circa (16) non abbiamo dati riguardo alla data di scomparsa. Più di 1/5 dei soggetti è quindi morto o scomparso DURANTE la guerra e la gran parte di loro apparteneva a formazioni militari o al fascismo repubblicano (i restanti sono vittime civili di operazioni dei partigiani o sono scomparsi non si sa bene per mano di chi).

Riguardo alle modalità/circostanze della scomparsa, 144 persone (44,44%) sono scomparse dopo essere state arrestate da unità dell'EPLJ, 24 (7,4%) dopo essere state catturate in combattimento da unità dell'EPLJ, 17 (5,26%) sono cadute in combattimento contro formazioni partigiane, 25 (7,74%) sono state soppresse in esecuzioni (in parte dopo un processo), 12 (3,1%) sono stati uccisi in maniera diversa (e non specificata), 7 (2,17%) sono morti in carceri jugoslave, mentre coloro i cui corpi sono stati gettati in una foiba sono 33 (10,22%). Abbiamo quindi un totale di 262 persone (81,11%) la cui scomparsa è effettivamente attribuibile all'EPLJ o a formazioni partigiane. D'altra parte abbiamo 6 persone (1,86%) morte nella strage di Vergarolla, 11 (3,4%) di cui non abbiamo notizie sulle circostanze della scomparsa, 41 (12,69%) disperse o scomparse senza specificazioni sui responsabili e 3 (0,93%) persone la cui scomparsa è avvenuta per mano dei nazisti, per un totale di 61 persone (18,89%) la cui scomparsa non è attribuibile alle formazioni della Resistenza e/o jugoslave. Per essere un elenco di vittime “...di un disegno annessionistico slavo..” che “… assunse i sinistri contorni di una "pulizia etnica"…” a danno degli italiani, come affermato dal bi-presidente Napolitano nel suo discorso in occasione del 10 febbraio 2007, mi pare ci siano un po’ troppe persone che NON sono state uccise dagli “slavi” (al di là del fatto che parecchi sono stati uccisi in combattimento). Ma la cosa non finisce qui.

Infatti, se andiamo a vedere dove sarebbero state uccise o sarebbero scomparse le persone in questione, troviamo innanzitutto che per ben 18 (5,54%) persone non abbiamo alcun dato sul luogo della scomparsa. Oltre a ciò ce n'è una (0,31%) per la quale gli unici dati riguardo al luogo della scomparsa si trovano nell'Albo caduti e nell'Elenco caduti, ed in entrambi si afferma che la persona in questione sarebbe caduta in combattimento dopo l'8 settembre '43 da milite della contraerea all'aeroporto di Cerveteri (Lazio). Abbiamo inoltre 9 persone (2,77%) che sono scomparse parecchio lontano dal “confine orientale”, e cioè nell'interno della Croazia, del Montenegro, in Serbia o in Albania; ma evidentemente i componenti la Commissione hanno interpretato il concetto di “confine orientale” in modo molto ampio.

In questa massa di nomi ci sono anche i “casi speciali”, per i quali sono disponibili dati provenienti da altre fonti che hanno consentito di avere un quadro biografico un po’ più dettagliato e molto diverso da quello rappresentato nelle motivazioni per la concessione del riconoscimento e/o negli elenchi consultati. Abbiamo così il caso delle 3 persone incluse con il già citato Ciuffarin negli elenchi spediti nel giugno del 1944 dal Commissario federale del PFR di Gorizia Frattarelli alla direzione centrale del partito, e tutte e tre vengono definite fasciste, mentre negli elenchi e nelle motivazioni del riconoscimento due vengono presentate come semplici civili, mentre il terzo, che il Frattarelli afferma fosse segretario del Fascio del suo luogo di residenza, viene qualificato come semplice “milite” non si sa bene di cosa.

Ci sono poi le 6 persone ritenute responsabili di crimini di guerra da parte della Commissione statale jugoslava per l'accertamento dei crimini di guerra. Il caso più noto è quello di Vincenzo Serrentino. Nella motivazione per la concessione del riconoscimento si dice di lui:”Ultimo prefetto di Zara italiana, recatosi a Trieste per espletare la sua attività istituzionale venne arrestato il 5 maggio 1945 dai partigiani titini. Deportato ed imprigionato in varie carceri, condannato a morte a Sebenico il 15/5/47”. Serrentino era in realtà molto di più. Siciliano di nascita, arrivò a Zara come ufficiale dell'esercito alla fine della Grande Guerra e vi si stabilì. Sarebbe stato tra i fondatori del locale Fascio di Combattimento, cosa verosimile, visto che la sua carriera successiva si svolse tutta all'interno della forza armata in cui vennero inquadrati gli squadristi, la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, nella quale raggiunse il grado di 1° seniore (corrispondente a quello di tenente-colonnello dell'esercito).14 Nel fascicolo che lo riguarda, custodito presso l'Archivio di Jugoslavia, viene ritenuto responsabile, in qualità di componente del Tribunale straordinario per la Dalmazia, della morte di almeno 18 persone a Sebenico e dintorni. Il tribunale di cui faceva parte venne istituito nell'ottobre 1941 per operare nei territori occupati della Dalmazia e dare una veste legale alle rappresaglie, condannando a morte a tutto spiano senza necessità di istruttorie o prove. I suoi componenti si spostavano in aereo per maggiore efficienza e la sua attività così viene descritta dallo stesso Procuratore militare italiano in Dalmazia: ”Esso girava per la Dalmazia, e dove si fermava le poche ore strettamente indispensabili per un frettoloso giudizio, pronunciava sentenze di morte; e queste erano senz'altro eseguite. Il suo presidente pare fremesse d'impazienza per aver gente da giudicare ("Prefetto, non avete da mandarmene altri?" aveva telefonato un giorno, sedendo a Spalato, a quel Prefetto, che mi riferì il truce aneddoto) né sembra ne avesse mai abbastanza (a Cattaro, a un Colonnello, che credo comandasse quel presidio, fece una partaccia, perché gl'imputati erano soltanto sei e, mi diceva questo colonnello, ancora stupefatto, il presidente gli aveva gridato che lui, per meno di dieci uomini non si muoveva; e non vorrei essere inesatto specificando che, come pur mi sembra, non alludesse a dieci imputati, ma a dieci fucilazioni)”.15 A Serrentino gli jugoslavi imputarono anche la responsabilità, proprio nella sua qualità di “ultimo Prefetto di Zara italiana”, degli arresti, delle uccisioni, delle torture e di quant'altro subito dalla popolazione civile della zona di sua competenza.16 Peraltro Serrentino, come affermato anche nella motivazione del riconoscimento, ebbe la sfortuna di essere uno dei pochi criminali di guerra italiani che gli jugoslavi riuscirono ad arrestare.17 Giudicato a Sebenico, venne condannato a morte e la sentenza venne eseguita. Sembrerebbe un caso da manuale di “compimento di delitti efferati contro la persona” accertato con sentenza,18 e invece nel 2007 il bi-presidente Napolitano in persona ha consegnato il riconoscimento per Serrentino ai suoi familiari, mentre nel paese natale del “martire”, Rosolini, gli hanno pure posto una lapide!19

Per non farsi mancare proprio nulla, tra i meritevoli di riconoscimento ci sono anche diversi appartenenti alle più famigerate formazioni fasciste: 9 Camicie Nere, 2 Brigatisti Neri e 1 squadrista “della prima ora”20. Tali loro “meriti” sono peraltro spesso taciuti nelle motivazioni di concessione del riconoscimento e nelle sintetiche biografie redatte da Papo, che preferiscono presentarli come insegnanti, impiegati, generici “militari”, caratterizzazioni peraltro smentite da quelle molto meno reticenti e “pudiche” riportate nei due elenchi più chiaramente schierati in senso apologetico del fascismo.

Nell'ansia di distribuire quanti più riconoscimenti possibile (che ha portato il Ministero degli Esteri, dato il numero deludentemente basso di richieste pervenute, a partire almeno dal 2009 a invitare ufficialmente le rappresentanze dell'Italia all'estero a pubblicizzare la possibilità anche per gli italiani all'estero di presentare domanda, con risultati altrettanto deludenti) la Commissione ha voluto mettere nel mucchio di tutto. Tra gli “infoibati” troviamo così persone la cui scomparsa non è addossata agli “slavocomunisti” nemmeno dal Papo, dall'Albo caduti o dall'Elenco caduti: Ferruccio Cavazzon (Papo lo include tra le “vittime di guerra per cause varie” e di lui scrive che sarebbe scomparso “…presso la Cava Faccanoni (Trieste) il 12.2.45…”) e Giuseppe Pescatori (di cui il Papo scrive solo “...partito per Raccia (Monte Maggiore) e scomparso il 16.1.1944”).

Ci sono poi le già citate vittime dei tedeschi che assumono un valore paradigmatico sotto diversi punti di vista. Da un lato abbiamo le motivazioni, in cui è esplicitato quello che la legge non dice su chi sarebbero stati – o meglio, chi è necessario siano stati – i responsabili delle scomparse e nelle quali si è scientemente rigirato quanto già si sapeva – che erano scomparsi per mano nazista – per addossarne la colpa ai “responsabili necessari” – gli “slavocomunisti”, i “titini”, gli “slavi”. Nella motivazione per la concessione del riconoscimento alla memoria di Ennio Andreotti (allievo Guardia di Finanza, di stanza in Montenegro) si afferma che venne fatto prigioniero dai tedeschi dopo l'8 settembre 1943 e che rimase in prigionia fino al 1 settembre 1944, data dalla quale risulta disperso. Fin qui appare chiaro che per la sua sparizione i principali imputati non possono che essere i nazisti (che non ci andavano certo leggeri con i “traditori” italiani), ma poi si aggiunge “… fu presumibilmente catturato da partigiani titini e soppresso…”, laddove l'unica ragione per poter presumere che venne catturato dai partigiani “titini” è che …. esistevano! Mentre per quanto riguarda la soppressione essa è scontata perché i “titini” gli italiani su cui riuscivano a mettere le mani non potevano che “sopprimerli”! Questo naturalmente stando al racconto storico (basato su pregiudizi di stampo razzista) delle organizzazioni degli esuli e dei loro sodali (evidentemente fatto proprio dalla Commissione), in base al quale si trattava di una guerra tra nazioni, nella quale i “titini” (naturalmente “slavi”) non potevano che sopprimere qualsiasi “italiano”, militare o civile, fascista o meno. Peccato che i “titini” non solo non uccidessero indiscriminatamente tutti gli italiani che capitassero loro a tiro, ma che già prima dell'8 settembre 1943 diversi italiani arrivati con le truppe d'occupazione o viventi nelle zone mistilingui del confine orientale, e dopo l'8 settembre due intere divisioni di italiani, la Divisione Garibaldi e la Divisione Italia, abbiano combattuto assieme ai “titini” e addirittura inquadrati nelle loro formazioni.21

Ancora più eclatante il caso di Fortunato Matiassi (di Pisino): la stessa motivazione dice che fu fucilato a Pisino il 4 ottobre dalle truppe tedesche, salvo poi specificare “…per rappresaglia sulla popolazione a seguito della precedente occupazione titina…”. Quindi si riconosce che ad uccidere materialmente il Matiassi furono i nazisti, ma la responsabilità vera della sua morte è da attribuire ai “responsabili necessari”, in questo caso definiti “titini”, che avevano provocato i tedeschi occupando Pisino!!!!22

Il caso più rivoltante è però quello di Antonio Ruffini. Ufficiale di complemento nativo di Termoli, venne stanziato con la sua unità lungo il confine orientale. Dopo l'8 settembre si sbanda e la famiglia non ha più sue notizie. Nel luglio del 1945 la famiglia di Ruffini riceve però una cartolina postale da Capodistria (Koper, Slovenia), in cui l'autore scrive di aver tenuto nascosto Antonio a casa sua assieme a due altri ufficiali, Renato Castiglione e Arturo Russo, fino al 23 marzo del 1944. In tale data una pattuglia partigiana venne a prenderli e i tre lasciarono la sua casa. Lo scrivente affermava di non aver più avuto notizie dei tre, ma che da alcune voci pareva che fossero “…stati fatti passare in Friuli con i garibaldini italiani…”. Aggiungeva anche che poteva essere successo “…che durante il tragitto siano stati fatti prigionieri dai tedeschi…”. Papo, nonostante probabilmente conoscesse il contenuto della cartolina, scrive però nel suo “Albo d'oro” che Ruffini sarebbe “scomparso il 23.3.1944 deportato dagli slavi”. Sulla base di questa sua affermazione nel 2008 qualcuno ha convinto l'anziana sorella di Antonio, mai rassegnatasi a non sapere la fine fatta dal fratello, a presentare domanda per avere il riconoscimento quale “infoibato”, che le venne consegnato il 10 febbraio 2009 in una solenne cerimonia.

Nel lontano 1982 era però uscito sulla rivista storica “Storia Contemporanea in Friuli” un saggio nel quale Luigi Raimondi23 cercava di fare un po’ di luce sull'eccidio di una ventina (chi dice 18, chi 23) di ex militari italiani sorpresi dai nazisti il 30 o 31 marzo del 1944 a Gragarske Ravne (nei monti della Slovenia sopra Gorizia) mentre si stavano trasferendo, disarmati e accompagnati da guide locali, verso le formazioni partigiane garibaldine stanziate in Friuli. Sconosciuti ai locali, i giovani vennero catturati dai nazisti e trucidati, alcuni sul posto, altri durante il tragitto di ritorno dal paesino di montagna alla base dell'unità nazista nella valle dell'Isonzo. I loro corpi venero recuperati dagli abitanti della zona e sepolti e negli anni '70 del secolo scorso la comunità locale pose una lapide in ricordo dei trucidati, senza però poter elencarne i loro nomi. L'articolo di Raimondi aveva il pregio di aver finalmente dato un nome a uno degli uccisi: Renato Castiglione – con il quale ci sarebbe stato in quella tragica giornata anche un altro ufficiale, un certo Ruffino o Ruffini. Venuto a conoscenza dell'articolo grazie ad Alessandra Kersevan, comunicai il suo contenuto ad un giornalista di Termoli, Giovanni De Fanis, che aveva scritto del conferimento del riconoscimento, esprimendo peraltro dei dubbi sulla reale fine del Ruffini. De Fanis fece la cosa più giusta e semplice: si recò in Slovenia, a Nova Gorica, e incontrò quella che era probabilmente l'unica testimone ancora in vita della vicenda, Vera Bitežnik (che all'epoca dell'eccidio aveva circa 13 anni). A Vera De Fanis lasciò una fotografia di Antonio Ruffini, fotografia che gli venne recapitata a casa per posta dopo il suo ritorno a Termoli con sul retro un testo in cui Vera affermava di aver riconosciuto nella foto l'ufficiale italiano che i nazisti avevano ucciso per primo, impiccandolo al balcone della casa in cui all'epoca viveva con la sua famiglia. Grazie a ciò De Fanis e la sorella di Ruffini sono riusciti ad ottenere, non senza notevoli sforzi, che nel 2013 la Regione Molise attribuisse una medaglia d'oro ad Antonio Ruffini “… impiccato quale partigiano, dalle truppe naziste, il 31 marzo 1944 a Gragarske Ravne (Slovenia)…”. Nonostante ciò la Commissione non ha mai revocato a Ruffini il riconoscimento quale infoibato.24 Ma la vicenda di Ruffini evidenzia quanto diffusi siano stati i casi di militari italiani stanziati al confine orientale scomparsi nel nulla, quanto diverse potevano essere le cause della loro scomparsa e come sia stato e continui ad essere semplicistico attribuire la loro sparizione a “infoibamenti”. Se nel caso in questione si è riusciti ad arrivare alle identità di due degli assassinati dai nazisti, ne rimane una ventina la cui identità resta ignota: quanti di loro sono stati inseriti con nome e cognome nelle varie liste di “infoibati dai titini” che circolano, visto che ci si trovano anche i due – Ruffini e Castiglione – dei quali oggi conosciamo la vera fine?

Da quanto esposto finora si possono trarre delle conclusioni. Innanzitutto che le persone da ricordare non sono state scelte a caso, ma si è voluto ricordare un ben determinato tipo di persone: sono gli appartenenti alle formazioni fasciste o collaborazioniste, della RSI (anche la Guardia di Finanza e la Polizia erano “Repubblicane”) o messe in piedi dai nazisti, i rappresentanti politici del fascismo, tutti attivamente coinvolti nella lotta contro il movimento partigiano, italiano o jugoslavo che fosse. Tutti gli altri sono di contorno, servono ad alzare i numeri. A scegliere quelle persone è stata una Commissione presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o da un suo delegato (da ultimo dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nonché Ministro delle Infrastrutture e Trasporti Delrio) e composta dai “capi servizio degli Uffici Storici degli Stati Maggiori dell'Esercito, della Marina, dell'Aeronautica e dell'Arma dei Carabinieri...”, da un funzionario del Ministero dell'Interno e dai rappresentanti delle organizzazioni degli esuli. A sceglierle sono stati quindi i rappresentanti delle massime istituzioni politiche e militari dello Stato, che nelle scelte operate non hanno fatto alcun errore o forzatura, perché è il testo della legge, con le sue ambiguità, genericità e (soprattutto) omissioni ad essere stato scritto appositamente per poter arrivare proprio a quelle scelte. Stiamo parlando di una legge la cui approvazione ha rappresentato, come hanno esplicitamente affermato coloro che l'hanno sostenuta, da Fassino a Fini e Casini, l'avvenuta pacificazione tra italiani ed in cui è l'assenza di riferimenti al fascismo e al collaborazionismo ad essere il punto chiave: una assenza che visti i risultati concreti nell'attribuzione dei riconoscimenti non ha il significato di una pudica omissione, ma significa che il fascismo ed i fascisti non sono più qualcosa di cui vergognarsi, anzi. Sono ora diventati i rappresentanti di “un altro modo” di amare l'Italia, di essere “al servizio dell'Italia”, e in quanto tali pienamente legittimati ad essere sussunti nella nuova ideologia della Nazione che è stata costruita quale fondamento della Seconda Repubblica.25 La presenza tra i premiati anche di militari caduti in luoghi remoti dei Balcani si inserisce appieno in tale costruzione ideologica, rappresentando la rivendicazione della legittimità e giustezza dell'intervento militare a difesa degli “interessi nazionali” italiani in qualsiasi luogo del mondo,26 indipendentemente dal regime al potere, e l'illegittimità e criminalità di qualsiasi opposizione a tale presenza. Ieri come oggi.

A ciò va aggiunto che dopo l'istituzione del Giorno del Ricordo l'Italia si è riempita – nonostante il testo della legge parli di semplici vittime – di vie e piazze dedicate ai “martiri delle foibe”. Le pubbliche istituzioni che hanno voluto tali intitolazioni hanno così fatto assurgere ufficialmente i c.d. “infoibati”, ed in primo luogo coloro a cui sono stati conferiti i riconoscimenti, a persone da indicare ad esempio di dedizione ad un “alto ideale”, quello dell'amore di patria, dell'amore per la Nazione.27 Si tratta della piena e definitiva legittimazione del fascismo come ideologia nazionale, anzi, del ristabilimento dell'equazione fascismo=italianità, e dell'inclusione dei fascisti nel pantheon della Nazione.

Non si tratta di una legittimazione esclusivamente a posteriori, ma anche attuale, che ha fatto del 10 febbraio la giornata dell'orgoglio fascista, in cui i fascisti di oggi sfilano per le vie delle città e organizzano mostre, convegni, dibattiti e quant'altro finanziati e sostenuti dalle istituzioni pubbliche. In cui a tenere i seminari del MIUR sul Confine Orientale è l'ex ducetto del gruppuscolo neofascista Generazione Europa, mentre a raccontare la “storia” del confine orientale nelle scuole vengono chiamati i reduci della X Mas. E in cui, grazie ai finanziamenti statali alle organizzazioni degli esuli previsti dalla legge istitutiva del Giorno del Ricordo e grazie alla legittimazione ricevuta, quelle stesse organizzazioni possono permettersi di elargire soldi per spettacoli, video, scritti che diffondano la loro “visione del mondo” e pretendono di avere l'esclusiva nel raccontare le “complesse vicende del confine orientale”. Come sorprendersi allora se ormai ogni personaggio più o meno pubblico, tanto più se “di sinistra”, si senta in dovere di vantare un parente (quasi)“infoibato”28 e che la narrazione degli “esuli di professione”, divenuta ormai verità di Stato, venga fatta propria da registi, attori e cantautori più o meno di talento, ma con il mutuo da pagare?29

 

 

 

Trieste, 16 gennaio 2017

 

da http://www.diecifebbraio.info

1

Le solennità civili (non sono festive ed è prescritto unicamente l'imbandieramento degli edifici pubblici) di carattere storico-politico istituite dallo Stato italiano di propria iniziativa (e spesso risalenti al periodo successivo alla 2^ guerra mondiale) sono: 11 febbraio, Patti lateranensi; 28 settembre, Insurrezione popolare di Napoli contro i nazifascisti; 4 novembre, Festa dell'Unità nazionale; 12 novembre, Giornata del ricordo dei Caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace. Ci sono poi le ben 28 giornate celebrative nazionali ed internazionali (che non sono festive, ma in cui le istituzioni pubbliche sono chiamate ad organizzare eventi collegati alla circostanza che si intende celebrare), delle quali quelle più importanti e legate ad eventi storici e/o politici sono: 7 gennaio, Giornata della Bandiera; 27 gennaio, Giornata della Memoria della deportazione nazista; 10 febbraio, Giorno del Ricordo delle vittime delle foibe, dell'esodo giuliano-dalmata e delle vicende del confine orientale; 11 marzo, Giornata europea in ricordo delle vittime del terrorismo; 17 maggio, Giornata dell'Unità nazionale, della Costituzione, dell'inno e della bandiera; 9 maggio, Giornata della memoria per le vittime del terrorismo interno e internazionale e delle stragi di tale matrice, ma anche Giornata d'Europa; 8 agosto, Giornata nazionale del Sacrificio del lavoro italiano nel mondo; 3 ottobre, Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'immigrazione; 4 ottobre, Giornata della pace della fraternità e del dialogo tra appartenenti a culture e religioni diverse; 12 ottobre, Giornata nazionale di Cristoforo Colombo; 24 ottobre, Giornata dell'Onu; 9 novembre, Giornata della libertà in ricordo dell'abbattimento del muro di Berlino.

2

Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, anno 157 n° 47, venerdì 26 febbraio 2016, Legge 26 febbraio 2016, n° 21, art. 12 ter (p. 9).

3

“Il Piccolo”, 12 novembre 1943, p. 1.

4

Si tratta dell'organizzazione per l'utilizzo del lavoro coatto al fine di realizzare opere di importanza bellica che operò in tutta l'Europa occupata dai nazisti.

5

“Il Piccolo”, 22 febbraio 1944, p. 1.

6

Per una sorta di autobiografia romanzata di Papo si veda Papo L., E fu l'esilio. Una saga istriana, Edizioni »Italo Svevo«, Trieste, 1997.

7

L'elenco è consultabile e scaricabile all'indirizzo web http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2015/04/Premiati-aprile-2015.pdf

8

Vedasi ad es. “Corriere della Sera”, 20 gennaio 1944.

9

Arhiv Republike Slovenije (Archivio della Repubblica di Slovenia), fondo AS 1829, scatola 64. Forse non a caso l'Elenco caduti afferma che sarebbe scomparso il 23 novembre del 1943 nei pressi di Branik (Rifembergo), nella valle del Vipacco.

10

Un’altra ipotesi potrebbe essere che a voler far credere di essere morto sia stato il Ciuffarin, forse perché un qualche congiunto potesse godere di eventuali previdenze in denaro da parte della RSI, oppure perché ne aveva fatte di cotte e di crude e temeva di doverne rispondere alla fine della guerra. Se la prima ipotesi appare molto contorta, nella seconda non si comprende come mai il Ciuffarin, se temeva tanto di essere perseguito, non abbia deciso di abbandonare Gorizia (dove risiedeva), ma sia rimasto in città finendo per essere catturato.

11

Spesso alle affermazioni in merito a Vergarolla delle organizzazioni degli esuli si accodano anche rappresentanti istituzionali, ad esempio la Presidente della Regione Friuli – Venezia Giulia e vicesegretaria del Partito Democratico Debora Serracchiani. Sulla strage di Vergarolla si veda Dato G., Vergarolla, 18 agosto 1946. Gli enigmi di una strage tra conflitto mondiale e Guerra Fredda, Gorizia, LEG, 2014.

12

Sulla storia dello Stato Libero di Fiume si veda Massagrande D., Italia e Fiume, 1921-1924: dal Natale di sangue all’annessione, Milano, Cisalpino Goliardica, 1982; si vedano anche gli Atti del Convegno di Studi” L’autonomia fiumana (1896-1947) e la figura di Riccardo Zanella” Roma, 1997.

13

Vedasi AA.VV., La guardia di finanza sul confine orientale (1918-1954), Paravia/Scriptorium, 1997.

14

Per una biografia apologetica di Serrentino vedasi Talpo O., Vincenzo Serrentino, ultimo prefetto di Zara (novembre 1943-ottobre 1944), Libero Comune di Zara in Esilio, Jesolo, 1997.

15

Cfr. http://www.criminidiguerra.it/TribunaleStraDalm.shtml. Oltre che da Serrentino, che era giudice assieme al suo pari grado, tenente-colonnello Pietro Caruso, il Tribunale era composto dal presidente, generale Gherardo Magaldi e dal Pubblico Ministero, sottotenente Francesco Centonze.

16

Arhiv Jugoslavije – fondo Državna komisija za ugotavljanje zločina okupatora i njih pomagača (Achivio di Jugoslavia – Commissione statale per l'accertamento dei crimini degli occupanti e dei loro collaboratori – in seguito ArhJU/DKUZOP), Fasc. 80.

17

Nella motivazione si afferma che Serrentino sarebbe stato arrestato a Trieste nel maggio '45 dove si trovava “per espletare la sua attività istituzionale”. Difficilmente Serrentino avrebbe potuto espletare una qualsiasi attività istituzionale nel maggio del '45, a Trieste o altrove, visto che Zara venne liberata dall'EPLJ già nell'autunno del 1944.

18

Serrentino non è l'unico ad essere stato giudicato e condannato tra i percettori del riconoscimento del 10 febbraio: accanto a lui ci sono Domenico Bruno (carabiniere a Rovigno, arrestato dopo l'8 settembre da membri – italiani – dell'autonominata CEKA insurrezionale, ucciso ai primi di ottobre del 1943 a Pisino dopo un giudizio davanti al locale Tribunale popolare), Giuseppe Comuzzi (maresciallo della Milizia Difesa Territoriale, condannato a morte dal tribunale della 4^ armata dell'EPLJ e fucilato a Tersatto nel giugno del '46) e Zaccaria De Petris (milite della Milizia Difesa Territoriale, fucilato a Veglia dopo un processo sommario nel maggio del 1945).

19

Gli altri nominativi presenti negli elenchi dei criminali di guerra sono quelli di Bergognini Giacomo (carabiniere, accusato di partecipazione a furti, fucilazione, terrorismo sulla popolazione, incendio del paese di Ustje con l'uccisione di 8 paesani – ArhJU/DKUZOP, Fasc. 24978), Cucè Luigi (brigadiere della Guardia di Finanza, comandante della stazione di Pasman fino al 8.9.'43, accusato dell'assassinio di almeno 8 persone, di torture e maltrattamenti sistematici e di spogliazioni – ArhJU/DKUZOP, Fasc. 5724), Luciani Bruno (Agente di PS a Trieste, accusato di assassini, torture, arresti, maltrattamenti sistematici di almeno 5 persone – ArhJU/DKUZOP, Fasc.24206), Privileggi Iginio (20.2.1921, tenente della milizia fascista di Parenzo e dintorni, accusato di aver ricostituito la milizia fascista dopo l'8.9.'43 e di rapine, torture, arresti, internamenti, uccisioni sistematiche, in particolare a Nova Vas, Vabriga e Visignana – ArhJU/DKUZOP, Fasc. 21168) e Stefanutti Romeo (milite fascista di Montona, accusato di partecipazione a crimini commessi dalla unità fasciste di Portole dal gennaio al giugno del 1944 nella zona di Pinguente, in particolare dell'assassinio di 8 persone individuate nominativamente – ArhJU/DKUZOP, Fasc. 24016). Interessante notare la presenza tra i ricercati, accanto ad appartenenti a formazioni fasciste, di appartenenti all'Arma dei carabinieri, alla Polizia di Stato e alla Guardia di Finanza. A conferma che tutte le forze armate o di polizia dello Stato furono parte attiva nella repressione e nei crimini e che l'appartenere a qualcuna di tali formazioni non può essere ritenuta di per sè una esimente.

20

Uno dei soggetti è stato prima squadrista ed è poi morto come membro delle Brigate Nere.

21

Sulla Divisione Garibaldi cfr. Mannucci L., Per l’onore d’Italia. La Divisione italiana partigiana "Garibaldi" in Jugoslavia dall'8 settembre 1943 all'8 marzo 1945, A.N.V.R.G., 1994, Sesto Fiorentino; Ravnich C. (a cura di), Martiri ed eroi della Divisione “Garibaldi”, Ufficio Storico e Statistico della Divisione “Garibaldi”, Padova, 1950. Sulla Divisione Italia si vedano invece ad esempio: Cozzolino I, Lotte e ricordanze della guerra partigiana in Jugoslavia, 9 settembre 1943 – 2 luglio 1945, Roma: La stampa moderna, 1957; Gardini O., Canta canta burdel (Canta canta ragazzo). Una storia tante storie 1943-1945, prefazione di Nilde Jotti, Maggioli Editore, Rimini 1987. Per quanto riguarda la presenza di italiani tra i partigiani jugoslavi nel periodo precedente l'8 settembre un raro racconto autobiografico è Cuccu G., Ivo e le stelle. Un partigiano sardo in Jugoslavia, CUEC editrice, Cagliari, 1991.

22

Definire ”occupazione” l'instaurazione dei c.d. Poteri Popolari a Pisino dopo l'8 settembre '43 è una “interpretazione” parecchio ardita della realtà dei fatti. Che parte dal presupposto che la cittadina fosse “italianissima”, mentre contava una maggioranza di popolazione croata, e che i “titini” (inteso come sinonimo per “slavi”) fossero estranei alla realtà della cittadina e che vi imposero il loro potere contro la volontà della gran parte della popolazione. In realtà i Poteri Popolari vennero istituiti dopo una vera e propria insurrezione popolare, che coinvolse buona parte dell'Istria (anche nelle parti prevalentemente italiane) e della sua popolazione, anche (e soprattutto) a Pisino e dintorni.

23

Raimondi L., L'eccidio di Rauna di Gargaro, in: Storia contemporanea in Friuli, n° 13, a. XII, 1982, pp. 85-95

24

Sulla vicenda di Antonio Ruffini vedasi Volk A., Un “infoibato” in meno, un partigiano trucidato dai nazifascisti in piu’ – la vicenda di Antonio Ruffini, http://www.diecifebbraio.info/2013/02/un-infoibato-in-meno-un-partigiano-trucidato-dai-nazifascisti-in-piu-la-vicenda-di-antonio-ruffini/.

25

Una Repubblica che ha fatto propria la narrazione di buona parte della dirigenza esule, che pretende che nei territori annessi all'Italia dopo la Grande Guerra il fascismo abbia avuto una valenza esclusivamente nazionale, di difesa contro il “...disegno annessionistico slavo..”, ed è stato in quanto tale lo sviluppo e l'approdo naturale dell'irredentismo e della lotta per l'affermazione dell'”italianità”. Insomma, il fascismo sarebbe stato lo strumento, estremo e sbagliato in alcuni aspetti, che ha affermato l'appartenenza all'Italia dei territori del confine orientale e chiunque fosse di quelle terre e tenesse all'Italia non poteva che sostenerlo. Chi ad esso si opponeva era un bandito e un criminale, che metteva a repentaglio le sorti della Nazione e lavorava, consciamente o inconsciamente, per lo “slavismo”: era uno “slavocomunista”, insomma. Va aggiunto che anche a livello nazionale il carattere principale del fascismo, quello di classe, viene del tutto dimenticato. Nel discorso pubblico si è affermata una interpretazione del fascismo che lo riduce a razzismo, assenza di elezioni pluripartitiche, propensione alla violenza (più dei singoli che come sistema) e gli imputa l'aver portato in guerra l'Italia (ma soprattutto l'averla persa). A parte questi errori il fascismo sarebbe quindi un regime del tutto accettabile. Anzi, come disse Berlusconi nel lontano 1994, fino al 1924 il fascismo aveva fatto molto bene!!!

26

Va sottolineato che gli apologeti del Giorno del Ricordo sostengono che l'occupazione della Jugoslavia nel 1941 sia stata in realtà una “missione di pace” per separare le varie etnie di quel paese che si stavano scannando tra di loro. In realtà a sostenere e armare le varie organizzazioni nazionaliste, già prima dell'occupazione, furono gli occupanti tedeschi e italiani (nonché bulgari e ungheresi). Durate l'occupazione la funzione principale che ebbero le varie milizie nazionali fu di sostegno e supporto per gli occupanti nella lotta contro il movimento partigiano. Formalmente ferocemente nemici (e di fatto tutte le milizie nazionali si macchiarono di crimini contro la popolazione civile di altra nazionalità) queste formazioni si trovarono a combattere fianco a fianco, spesso rivaleggiando in ferocia, contro il comune nemico, il movimento partigiano, unico a raccogliere nelle sue file appartenenti a tutte le nazionalità e a sostenere la ricostituzione della Jugoslavia sulla base dell'eguaglianza tra i popoli che la componevano.

27

Il Dizionario Treccani online definisce come vittima “ Chi soccombe all’altrui inganno e prepotenza, subendo una sopraffazione, un danno, o venendo comunque perseguitato e oppresso” (http://www.treccani.it/vocabolario/vittima/) mentre definisce martire “chi si sacrifica volontariamente, con piena coscienza delle pene o dei pericoli cui va incontro, per un motivo religioso, un alto ideale, una generosa causa e simili” (http://www.treccani.it/vocabolario/martire/).

28

Tra i tanti “sinistri” ad aver scoperto parenti esuli e infoibati o quasi, citerò Paolo Rossi e Gino Paoli.

29

Mi riferisco a Simone Cristicchi e al suo spettacolo teatrale “Magazzino 18”, ma anche a Leo Gullotta, principale interprete della fiction RAI “Il cuore nel pozzo” e assiduo frequentatore, a suo dire (ma non stento a credergli), di Bertinotti.

 

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