Di fronte alle trasformazioni che sta subendo l’Università sul piano nazionale e visti gli eventi accaduti negli ultimi mesi all’Università di Bologna, dall’installazione di meccanismi di controllo nella biblioteca di via Zamboni 36 fino all’intervento della celere all’interno dell’Università, riteniamo doveroso porci alcune domande e individuare alcune linee di ragionamento, anche a fronte dell’ondata di mobilitazione che questi fatti hanno prodotto.
È a partire dagli anni Novanta che si assiste al progressivo snaturamento del ruolo dell’università pubblica in Italia, dando il via al processo di aziendalizzazione dell’istruzione accademica attraverso varie riforme (tra cui spicca il Bologna Process) che hanno sancito l’autonomia degli atenei dal controllo diretto del Miur e il principio di concorrenzialità tra di essi, la creazione di corsi di laurea a numero chiuso, la nascita della famosa struttura 3+2, il riordino dell’attività di ricerca (tra le altre cose spariscono i contratti a tempo indeterminato per i ricercatori), a cui si sommano i drastici tagli al Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO).
Alla luce di queste cambiamenti, che tipo di università sta diventando l’Unibo?
Su cosa sta puntando nella sua offerta formativa?
Quali sono le conseguenze che produce?
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