E’ la tendenza finanziaria del momento.
E’ il modo in assoluto più inefficiente ed idiota di usare l’energia elettrica. Consuma l’equivalente di due centrali nucleari dedicate e continua a crescere esponenzialmente.
da https://aspoitalia.wordpress.com
Un mondo di meraviglie
Oggi parliamo di un mondo meraviglioso. Un mondo in cui è possibile guadagnare trasferendo via internet 20€, con una spesa elettrica di 20€ (si, avete capito bene), mentre si consuma l’energia che impiega un’auto elettrica per percorrere 1000km.
Oggi parliamo della bolla finanziaria del momento: il Bitcoin.
Ne avrete sentito parlare in qualche modo.
E’ nato nel 2009 ed è la prima di tantissime monete digitali ad avere mostrato al mondo come si possa fare a meno di una banca centrale. Usa una tecnologia chiamata ‘Blockchain’ (catena di blocchi, è una sorta di registro pubblico dei trasferimenti di valuta) che, mediante tecniche di cifratura ben consolidate, permette il trasferimento sicuro di una somma in Bitcoin da un ‘wallet’ (portafoglio o conto) virtuale ad un altro, evitando che un malintenzionato ‘bari’ in qualche modo. Il tutto avviene mediante protocolli informatici decentralizzati, per cui il singolo utente può fare tutto dal proprio pc, senza nessun intermediario: acquistare Bitcoin, trasferirli, spenderli per pagare beni e servizi, convertirli in altre valute. Può persino ‘crearli’ o ‘perderli’ per sempre, nel caso che perda la chiave segreta che permette l’accesso al portafogli su cui sono depositati.
Per l’uomo della strada i Bitcoin sono uno strumento poco comprensibile. Innanzitutto, non avendo un corrispettivo fisico in banconote e monete, non capisce come possano avere un valore. Non gli è chiaro a cosa possano servire e come possano essere spesi. Quando prova ad informarsi, scopre che il loro funzionamento è piuttosto complicato e hanno caratteristiche inaspettate[1]. Se ne osserva il prezzo, rimane stupito e spaventato dall’estrema volatilità. Infine, non si fida perché dai media sono spesso accostati alla pirateria informatica (i cosiddetti ‘hacker’, in realtà si dovrebbe dire ‘cracker’) e ad attività illegali che hanno rapidamente creato alcune leggende urbane. Una tra tutte è il perfetto anonimato che sarebbe garantito ai proprietari di Bitcoin[2].
L’uomo della strada però non è l’investitore tipico che investe in Bitcoin e altre criptovalute. Tecnologico, curioso, propenso al rischio e non di rado asiatico (Cina e Corea del Sud la fanno da padrone), non si fida delle istituzioni finanziarie sia perché non gradisce che sappiano tutto del suo conto, sia perché non si fida della loro solidità e della continua emissione di nuova moneta. Non per niente il Bitcoin è figlio della crisi del 2009.
Figura 1. Prezzo storico del Bitcoin in dollari statunitensi. Fonte: Blockchain.info.
L’investitore tipo in Bitcoin potrebbe aver iniziato la sua avventura anche solo nell’estate del 2015, acquistando 100 Bitcoin per l’equivalente di un 250 dollari l’uno, spendendo così 25.000$. Per 2 anni potrebbe essersi dimenticato del suo investimento ed ora potrebbe ritrovarsi con 400.000$ (vedi Figura 1). Se fosse stato un investitore della prima ora, diciamo nel 2011, avrebbe raggiunto la stessa cifra investendo solo 25$, perché all’epoca un Bitcoin costava solo un quarto di dollaro. Stiamo parlando di qualcosa come un aumento di 16.000 volte (1.600.000%) del capitale investito. Solo dall’inizio di quest’anno, il suo valore è cresciuto di 4 volte.
Pazzia speculativa?
Forse. Anche.
In realtà c’è una ragione precisa per cui il valore del Bitcoin ha una tendenza naturale all’aumento. E’ stato progettato in modo tale che il numero di Bitcoin circolanti non potrà mai superare i 21 milioni [3]. I Bitcoin sono quindi una risorsa virtuale scarsa, che nel tempo è soggetta naturalmente ad un effetto deflazionario, sia per l’aumento di popolarità e quindi della domanda, sia per la continua perdita effettiva di Bitcoin da parte di chi perde le chiavi del proprio conto.
Questa è una caratteristica sin dalla nascita dei Bitcoin molto apprezzata dagli investitori ed è la causa principale dell’esplosione del consumo elettrico associato.
Il Bianconiglio
Per capire quello che sta succedendo, è necessario entrare nel funzionamento del protocollo che governa i Bitcoin, spiegandolo senza tecnicismi.
Il grande merito attribuito al mitico Satoshi Nakamoto, l’inventore anonimo del Bitcoin, è di aver risolto un problema spinoso in un sistema monetario senza un’autorià centrale: evitare che una somma di denaro sia spesa due volte perché ciò equivarrebbe di fatto alla creazione di nuova moneta.
Facciamo un esempio classico: avete 1 Bitcoin sul vostro conto virtuale e volete provare a spenderlo due volte, inviandolo ad Alibaba in Cina per comprare un PC ultimo modello e, quasi in contemporanea, inviandolo anche ad Amazon negli Stati Uniti per comprarvi l’ultimo grido in fatto di robot giardinieri.
In un sistema come quello delle carte di credito non sarebbe un problema: essendoci un’autorità centrale che presiede a tutte le transazioni, la prima spesa che viene ricevuta è quella che viene registrata e la seconda viene rifiutata.
Il sistema che governa le transazioni dei Bitcoin invece è decentralizzato e coinvolge server e pc distribuiti su tutto il pianeta che, per normali problemi di latenza della rete Internet, possono essere in disaccordo su quale delle due spese sia quella legittima. Nel caso in oggetto supponiamo che per campanilismo la parte del sistema Bitcoin in Asia potrebbe essere convinta che la spesa lecita sia quella ad Alibaba, mentre quella in America che sia quella ad Amazon. Quale delle due ha ragione?
Per uscire da questa empasse il protocollo Bitcoin prevede un ingegnoso e devastante stratagemma, chiamato proof-of-work (prova-di-lavoro) che, per registrare (quindi rendere effettive) un certo numero di operazioni di transazione di Bitcoin, prevede che prima venga compiuto un lavoro ‘faticoso’. In termini informatici è un lavoro che prevede una enorme quantità di calcoli da parte di molti processori (da qui si origina il consumo spaventoso di elettricità) che gareggiano per scoprire un segreto matematico. La ricerca di questo segreto viene definita ‘mining‘ (estrazione mineraria) e viene svolta dai miners, in teoria qualunque utente abbia a disposizione un dispositivo intelligente. Chi trova il segreto per primo è quello che registra definitivamente un blocco di nuove transazioni nel registro pubblico (la Blockchain). Nell’esempio precedente sarà un miners in Asia o uno in America, derimendo così la questione su quale delle due spese vada accettata e quale rifiutata. Questo meccanismo inoltre evita che un miners disonesto possa accettare entrambe le spese registrandole nella Blockchain, perché per farlo dovrebbe scoprire il segreto prima di tutti gli altri utenti onesti e l’unico modo per avere qualche possibilità sarebbe avere a disposizione più processori (ed elettricità) di tutti gli altri.
Per chi volesse approfondire un poco di più il funzionamento, che ripeto è ingegnoso, più complesso di come l’abbiamo sinora spiegato (e appunto incredibilmente devastante), è invitato a leggersi la nota [4].
Il mining è un’attività, che garantisce il corretto funzionamento del sistema Bitcoin, ma che è onerosa in termini economici (hardware ed elettricità impiegati) per chi la compie e deve essere incentivata. Ecco quindi che i ‘miners’ sono ricompensati con nuovi Bitcoin ogni volta che individuano un segreto ‘chiudendo’ un blocco. In pratica l’attività di mining è l’unica che garantisce l’immissione controllata di nuovi Bitcoin. La quota immessa in questo modo si dimezza ogni quattro anni e attualmente è di 12,5 Bitcoin ogni dieci minuti(l’ultimo dimezzamento c’è stato nel 2016, quindi il livello dell’attuale ricompensa durerà sino al 2020). Ciò garantisce che ci sia un numero massimo teorico di Bitcoin (i 21 milioni citati sono il risultato di una serie geometrica convergente), sia un continuo incentivo per i miners che sostengono il sistema.
La corsa del Bianconiglio
Ora possiamo spiegare l’effetto perverso nei consumi elettrici in tutta la sua grandezza.
Il sistema Bitcoin è regolato internamente in modo tale che ogni 10 minuti parta una nuova corsa per registrare le ultime transazioni di Bitcoin ed individuare il nuovo segreto associato. La regolazione avviene modificando automaticamente la difficoltà del segreto: se la potenza di tutti i calcolatori che fanno mining aumenta, la difficoltà nell’individuare il segreto aumenta, per compensare ed evitare che venga in media trovato prima dello scadere dei 10 minuti; viceversa se cala la potenza di calcolo, cala anche la difficoltà.
Figura 2: in blu e verde, la potenza globale stimata di mining per il Bitcoin, calcolata in hash rate (il numero di tentativi al secondo per individuare il segreto) e, in rosso, la difficoltà automaticamente impostata negli ultimi nove mesi. Fonte: Bitcoinwisdom.com.
Ecco allora mostrato l’effetto perverso a catena:
1. se il valore del Bitcoin aumenta, a parità della ricompensa in nuovi Bitcoin immessi, aumenta il valore della retribuzione per i miners;
2. ai miners conviene allora comprare più hardware di calcolo e consumare più energia elettrica per unità di tempo;
3. il sistema Bitcoin individua l’aumento della potenza di calcolo del mining e cerca di compensarlo aumentando la difficoltà della ricerca del segreto, in modo da mantenere costante l’intervallo dei 10 minuti;
4. l’aumento della difficoltà del segreto, compensa l’aumento della potenza di calcolo e fa si che venga impiegata sempre al 100%, quindi al massimo consumo energetico possibile.
Questo fenomeno ha il punto chiave nell’aumento del valore dei Bitcoin. Dato un certo aumento, il fenomeno continua sino a quando l’attività di mining diventa svantaggiosa per il continuo aumento dei costi per l’hardware e l’elettricità, annullando il guadagno medio dalla ricompensa dei nuovi Bitcoin ottenuti scoprendo i segreti dei blocchi.
Purtroppo, questo punto di equilibrio sembra adesso assai lontano. La velocità con cui continua ad aumentare il valore del Bitcoin è tale che gli stessi miners faticano a scalare la propria capacità di calcolo per stare al passo. Dalla figura 2 si osserva che da febbraio a fine luglio la potenza complessiva impiegata nel mining è raddoppiata, passando da 4TH/s (migliaia di miliardi di hash, cioé di tentativi di indovinare il segreto, al secondo) a 8TH/s. Stiamo parlando di un tempo di raddoppio di meno di 6 mesi, avvenuto nonostante che la quota di Bitcoin immessi fosse stata appena dimezzata. Come abbiamo già osservato, il valore del Bitcoin nello stesso periodo è infatti quadruplicato. L’arretrato di lavoro dei miners nell’installare nuova capacità di calcolo (e di consumo elettrico) si sta quindi accumulando. Senza dimenticare che la crescita del valore dei Bitcoin è iniziata da anni e potrebbe continuare ancora, continuando ad aumentare l’incentivo per installare più potenza di calcolo.
Quanto è profonda la tana del Bianconiglio
Ma quanta energia elettrica consuma attualmente il sistema Bitcoin?
Innanzitutto la potenza di calcolo (hash rate, ogni hash è un singolo calcolo per tentare di indovinare il segreto) e il consumo elettrico sono fortemente correlati, quindi sono possibili un paio di metodi di stima.
La prima, potrebbe essere ricostruire il parco installato dei calcolatori dedicati al mining per determinare l’efficienza media di calcolo e moltiplicare per l’hash rate globale. L’ultima stima disponibile per fine luglio 2017 si attesta così sui 7-8TWh all’anno di elettricità, più o meno quanto produce una centrale nucleare da 1000MW. Si osservi che solo 5 mesi prima questo valore era esattamente la metà.
Un secondo metodo prevede di fare i conti in tasca ai miners con un modello economico. In tal caso l’ordine di grandezza non cambia, anche se si ottiene una stima doppia, attualmente intorno ai 16TWh/a. Per dare un’idea, è quanto consuma la Tunisia o la Corea del Nord, ed è pari a circa il 5% del consumo nazionale Italiano.
Se il sistema Bitcoin fosse una nazione, sarebbe la 78esima (su 195+1) per consumi di energia elettrica.
Figura 3: raffronto tra i consumi elettrici annuali di vari stati e il sistema Bitcoin, in TWh. Fonte: Digiconomist.net.
Il problema è che il sistema Bitcoin è ancora marginale nell’economia, e gestisce un numero basso di transazioni rispetto ai sistemi tradizionali: con circa 300.000 transazioni al giorno, per una sola transazione di Bitcoin si consumano ben 146kWh elettrici, per un costo che in Italia sarebbe di circa 20€ ed equivale al consumo giornaliero di 20 famiglie [5]. In altri termini, siccome un’auto elettrica percorre circa 100km con 15kWh, per consumare la stessa energia di una sola transazione di Bitcoin dovrebbe percorrere 1000km!
La beffa è che una transizione di bitcoin può essere di qualunque entità, anche di una frazione di Bitcoin. Ad esempio se si scorre le transazioni contenute nell’ultimo blocco creato nella Blockchain, se ne possono trovare alcune del valore di 0,005Bitcoin, cioé, ai prezzi attuali circa 20€. Quindi per trasferire 20€ in Bitcoin, se ne consumano 20€ in elettricità (in Italia), anche se mediamente per i miners un costo più verosimile si attesta sui 6-7€[6].
L’unica notizia leggermente positiva in tutta questa ordalia energetica, in cui utenti in giro per il mondo letteralmente gareggiano nel consumare più rapidamente l’elettricità, è che il consumo complessivo di energia non dipende dal numero di transazioni inserite in un blocco (e quindi evase al giorno), ma dal valore raggiunto dal Bitcoin, almeno sino al 2020.
IL BIANCONIGLIO FA MOLTA, MOLTA PAURA
Ciò che relamente spaventa di più è che questa follia energetica non dia segni di rallentamento. Uno studio di Aprile del Cambridge Centre for Alternative Finance, individua un guadagno di due miliardi di dollari per i miners nel solo 2016. Il costo per il consumo di energia elettrica viene invece stimato ora in circa 1 miliardo di dollari (in realtà meno, ma stiamo conservativi). Nel frattempo nel 2017 i profitti per i miners sono ulteriormente aumentati come da figura 4.
Figura 4: indice di profitto per i miners, che tiene conto sia della retribuzione in nuovi Bitcoin, sia delle fees che vengono pagate dagli utenti per dare priorità all’esecuzione delle transazioni. Fonte: Blockchain.info.
Quindi, in modo approssimativo, si può concludere che per i miners il 2017, in assenza di un calo del valore del Bitcoin, sarà profittevole almeno 3 volte di più rispetto al 2016. Avendo già un margine netto nel 2016 ben 2 volte superiori ai costi, il punto di equilibrio già menzionato oltre al quale i miners perdono la profittabilità sarà raggiunto solo dopo un incremento di 3×3=9 volte dei consumi elettrici! Ci possiamo aspettare spannometricamente un aumento delle potenza installata di almeno altre 8 volte ai prezzi attuali del Bitcoin.
Se l’attuale valore del Bitcoin dovesse aumentare ancora, se non altro per la spinta deflazionaria dovuta alla sua natura di risorsa scarsa e alla sua popolarità, la situazione sarebbe ancor più disastrosa in pochissimo tempo, visto che il consumo di energia elettrica attualmente ha un tempo di raddoppio di soli 6 mesi. Con un aumento del valore del Bitcoin nei prossimi due anni ad un tasso dimezzato rispetto a quello dei primi 6 mesi del 2017, il consumo di energia elettrica potrebbe raggiungere quello dell’Italia (314TWh nel 2016) al più tardi verso l’inizio del 2020 (Figura 5).
Figura 5: semplice proiezione del consumo in TWh elettrici all’anno del sistema Bitcoin, considerando un tempo di raddoppio di 6 mesi, messo a confronto con la produzione elettrica (non il consumo) di vari paesi. Gli anni si riferiscono in realtà al dicembre di quell’anno e il consumo di quest’anno è stato preso dalla stima più conservativa tra le due citate, supponendo un ulteriore raddoppio da qui alla fine del 2017. Fonte: autore con dati BP Statistical Review 2017.
Certo, da una parte è impossibile che questa crescita esponenziale dei consumi continui sino a saturare tutta la produzione elettrica mondiale. Come la crescita esponenziale dei batteri in una piastra di Petri, prima o poi collasserà e lo farà probabilmente in modo clamoroso. Ci sono alcuni motivi, almeno di speranza di un rallentamento nel prossimo futuro:
un calo del valore del Bitcoin
dopo il 2020 (ma potrebbe essere troppo tardi!), un ulteriore dimezzamento dei nuovi Bitcoin immessi e guadagnati dai miners
la continua sostituzione delle schede di calcolo (ASIC) usate dai miners con modelli via via più efficienti, anche se ormai i margini di miglioramento sono assai ridotti su questo fronte;
l’abbandono della follia energetica del proof-of-work, in favore di altre strategie che non prevedono di far lavorare a vuoto milioni di processori, come ad esempio il proof-of-stake; la seconda criptovaluta per capitalizzazione del mercato, l’Ethereum, si sta (troppo) lentamente muovendo proprio in questa direzione, anche se nel frattempo a sua volta consuma quasi 5TWhe;
In merito a questo ultimo punto c’è però da dire che per la sua natura decentralizzata, ogni modifica al protocollo Bitcoin è lenta e molto difficile [7] e nella community del Bitcoin il problema del consumo di energia… semplicemente non pare essere un problema. Quindi avanti così.
Anche la tendenza a lasciare inalterato il sistema Bitcoin e a sviluppare in sinergia nuovo sistemi di servizi basati su di esso (es. Lightenig Network) sarà del tutto inutile, anzi probabilmente dannosa, se favorirà ulteriori aumenti di popolarità del sistema Bitcoin e quindi di aumento del suo prezzo.
A peggiorare il quadro c’è poi l’esistenza di centinaia di criptovalute oltre al Bitcoin, che stanno crescendo addirittura più rapidamente: ormai hanno strappato al Bitcoin al 54% della capitalizzazione del mercato, quando solo nel marzo di un anno fa detenevano il 20%. La quasi totalità di queste criptovalute è un clone del Bitcoin per quanto riguarda il mining e l’esplosione dei consumi di energia. Ecco quindi che tutte le stime energetiche sinora qui presentate, appaiono fortemente sottostimate se si considera l’intero mercato.
Certo, prima o poi si arriverà ad un punto di equilibrio o almeno ad un rallentamento di questa folle corsa allo spreco elettrico, ma è improbabile che capiti nei prossimi due anni visti gli altissimi margini dei miners e l’enorme ecosistema di imprese e servizi che stanno costruendo il loro business sulle criptovalute. Quando un mercato arriva a capitalizzare quasi 150 miliardi di dollari, piaccia o meno, non è pensabile che si fermi da un giorno all’altro, se non altro a causa degli enormi guadagni che genera e che vi vengono reinvestiti almeno in parte.
Nel frattempo ogni aumento del valore del Bitcoin, o di una qualsiasi altra tra le centinaia di criptovalute che sono nate sulla sua falsa riga, spingerà i miners a comprare sempre più hardware in futuro e a spostarsi in segreto dove l’elettricità costa di meno (particolarmente gettonati sono i grandi invasi idroelettrici sottoutilizzati). Addirittura stanno nascendo criptovalute che cartolarizzano (e quindi finanziano), la nascita di nuove installazioni per il mining dei Bitcoin. Potremmo definirla come un esempio di “creativa distruzione ambientale“.
Un aspetto paradossale è che l’intero meccanismo del mining è stato pensato per evitare che qualcuno potesse prendere il controllo della rete Bitcoin e mantenerla distribuita. Nella realtà l’estremo successo del meccanismo ha spinto in parte verso l’esatto contrario: ha permesso favolosi guadagni ai miners, che hanno favorito la creazione di grande imprese specializzate, marginalizzando la possibilità per un privato di accedere con profitto a questa attività. Questo a partire già dalla fine del 2013. In pratica il mito della decentralizzazione della valuta pur non essendo caduto, è parziale, criticato e costantemente a rischio.
Insomma il Bitcoin è una totale follia, sfuggita completamente di mano, che garantisce grandi guadagni e attira enormi capitali per perpetuare una crescente ordalia energetica nel nome del Dio della decentralizzazione della sovranità monetaria, sulla cui reale esistenza c’è qualche dubbio.
E pensare che il circuito delle carte di credito VISA, nato nel 1958, gestisce un numero di transazioni al giorno che supera di 700 volte quello del Bitcoin e consuma complessivamente 30 volte di meno[8].
Viva la tecnologia!
Note
[1] Nell’era dei pagamenti istantanei con lo smartphone ci si aspetterebbe che per trasferire denaro con i Bitocin bastino pochi secondi, ed invece servono alcune decine di minuti a causa del funzionamento intrinseco del sistema.
[2] Tutte le transazioni da quando esistono i bitcoin devono essere pubbliche per garantire il funzionamento del sistema delle transazioni, solo i conti cui fanno riferimento sono anonimi avendo un codice identificativo. A meno che non vengano usati altri espedienti, tracciare il flusso di denaro è quindi piuttosto agevole e capire chi è l’intestatario di un conto è possibile non appena i Bitcoin vengono spesi in cambio di beni reali.
[3] In realtà è un valore asintotico che non verrà mai raggiunto, come spieghiamo più avanti.
[4] In pratica, tutte le richieste di transazioni di Bitcoin che ancora non sono state registrate vengono scritte in un unico documento pubblico (un blocco della Blockchain già menzionata) e parte immediatamente un corsa contro il tempo per indovinare un segreto legato a quel documento. L’utente che riesce a trovare il segreto per primo, ‘firma’ il documento(blocco) e vi inserisce il segreto mostrando al resto del sistema di essere stato il primo. Il Blocco è così aggiunto alla Blockchain e non può essere alterato da terzi successivamente perché è legato ai blocchi precedenti e sarà legato a quelli sucessivi, quindi alterarne uno in modo che sia riconosciuto pubblicamente valido dal resto del sistema Bitcoin vorrebbe dire ricalcolare tutti i segreti da quel blocco in poi, il che è impossibile perché nel frattempo continuano ad essere aggiunti nuovi blocchi. Come sarà spiegato più avanti, è necessario che l’intervallo di tempo con cui viene mediamente calcolato il segreto di un blocco sia mantenuto in un trade off (compromesso) tra la necessità di rendere il lavoro abbastanza difficile per evitare un attacco e permettere tempi di transazione della valuta intorno alla decina di minuti. Per progettazione è mantenuto sui 10 minuti. Blocco dopo blocco, tutte le transazioni di Bitcoin tra i conti vengono così man mano registratate e pubblicate in una lunga catena di blocchi che prende appunto il nome di Blockchain. Nell’esempio della doppia spesa, l’unico modo per ‘barare’, sarebbe quello di registrare entrambe le spese nello stesso blocco o in blocchi consecutivi, e, d’ora in poi, trovare il segreto di tutti i futuri blocchi sempre prima di tutti gli altri utenti, cioé si dovrebbe avere la Blockchain più lunga rispetto al resto del sistema Bitcoin ‘onesto’. Il che vorrebbe dire avere a disposizione almeno la stessa potenza computazionale (numero di processori che cercano contemporaneamente il segreto) di tutti gli altri utenti, cosa ovviamente praticamente impossibile. Nella realtà capiterà che un utente onesto in giro per il mondo troverà sempre il segreto prima inserendo nella Blockchain un nuovo blocco in cui è registrata la spesa ad Alibaba (e quindi non anche ad Amazon) oppure viceversa quella ad Amazon (scartando quella ad Alibaba), controllndo quindi che non avvenga una doppia spesa tra le transazioni che sta registrando con questo Blocco.
[5] Siccome nel periodo estivo in cui è uscito questo articolo il numero di transazioni di Bitcoin al giorno cala, vengono considerate le 300.000 transazioni medie del periodo gennaio-giugno 2017, mentre per il consumo elettrico si è fatto riferimento alla stima economica di Digiconomist.net che pone il consumo elettrico a 44GWh/d. Per il costo del kWh in Italia si assume 15 centesimi per le imprese. Per il consumo medio di una famiglia tipo si fa riferimento all’AEEG con 2700kWhe/a, cioé 7,4kWhe/g.
[6] Il costo del kWh è spesso intorno ai 5c€ per i miners, in quanto cercano di spostarsi in segreto in paesi a basso costo dell’energia e vicino a centrali idroelettriche di grandi dimensioni, in luoghi remoti e quindi poco utilizzate.
[7] Proprio a fine luglio 2017 si è assistito ad un aumento programmato della capacità del sistema Bitcoin di gestire le transizioni che non ha messo d’accordo tutti gli attori e ha portato allo sdoppiamento del Bitcoin in due valute (Bitcoin e Bitcoin Cash). Curiosamente queste due valute ora insieme valgono il doppio di quanto valeva prima il solo Bitcoin. Alla faccia del presunto effetto inflazionario nel creare nuova moneta! Così ora c’è spazio per i miners per guadagnare su due valute invece che su una, con tutti gli aumenti di consumi di energia conseguenti.
[8] Calcoli approssimativi ottenuti dai dati pubblicati da Digiconomist.net: 82G transazioni VISA all’anno con un consumo di 50.000/1486000 volte quello del Bitcoin.
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Manlio Padovan
Ho letto solo una piccola parte dell’articolo; ma sono certo che è roba per cacciatori di dollari che sono gli individui, non persone, più sqaillide che si possano incontrare, veri e prori criminali. Se ne incontrerò uno, se potrò gli romperò il culo nei modi che mi saranno possibili.
Gentaglia che già si prese i vituperi di Marx e di Mill.
Meloski
Ma non avete fatto considerazioni sul fatto che si sta togliendo alle banche il monopolio della gestione delle valute, anzi potenzialmente potrebbero in futuro sparire sostituiti dal circuito della blockchain?
loris
Dall’ultimo paio di generazioni dopo un lungo periodo di mera austerità dal dopoguerra e dal dolore e costrizione da essa provocata, è riesploso il fenomeno dei cercatori d’oro a caccia della ricchezza immediata, che con il loro comportamento hanno fatto esplodere varie bolle speculative.
Questi signori però non devono mai dimenticare che l’economia vera rimane quella reale, fatta dei veri bisogni primari e prima o poi la storia ci insegna che come sempre i cercatori d’oro salvo qualcosa raro esempio sono finiti per ammassarsi arrabbiati e disillusi in dispersi saloons lontani da ogni forma di civiltà a bere whisky di pessima qualità, mentre chi realmente beneficiava di tutto il benessere che ne conseguiva erano spesso i soliti che nel frattempo gli avevano procurato cibo e bevande di sopravvivenza attendendo pazientemente l’ora X in cui avrebbero preso dominio di ciò che restava.