La legge Minniti e Minniti-Orlando con le successive direttive di mezza estate non vengono certo dal nulla. C’è oramai nel nostro paese una nutrita storia di leggi per la repressione del conflitto sociale da un lato e dall’altro di norme liberticide antiimmigrati le quali, di fatto, sono una riproposizione, seppur in altra forma, della legislazione speciale degli anni ‘70. Ricordiamo che prima dell’avvento di Minniti, senza volere andare troppo in là nel tempo, sono state varate la legge Turco-Napoletano, la Bossi-Fini e vari pacchetti sicurezza tra cui il più famoso quello dell’allora ministro degli interni Maroni.
Tutta questa legislazione lesiva delle libertà democratiche è stata sempre accompagnata da campagne mediatiche allarmistiche sul terrorismo internazionale e relative suggestioni marcatamente xenofobe soprattutto contro gli immigrati accusati d’ogni nefandezza: “rubano, violentano, tolgono il lavoro agli italiani”, ecc. ecc.
Alla base di questa politica securitaria di quest’ultimo ventennio c’è indiscutibilmente la crisi generale del sistema capitalista internazionale. Fronteggiare questa crisi ormai epocale, costringe la politica dei governi del libero mercato globalizzato dei grandi capitali a praticare misure draconiane antisociali, da cui per forza scaturisce il conflitto di classe e le varie forme di opposizione politica. Per questa ragione la governance borghese non può fare a meno di accompagnare alle restrizioni economiche e dei diritti in generale, il varo di nuove misure repressive e in molti casi di vere e proprie guerre.
La legge Minniti e la successiva Minniti-Orlando, vorrebbero passare al solito come provvedimenti che cercano di dare sicurezza al paese. Per farle digerire meglio all’opinione pubblica, esse vengono accompagnate da dichiarazioni ottimistiche quanto menzognere, sul miglioramento della situazione economica.
Infatti il presidente del consiglio Gentiloni millanta spudoratamente una improbabile crescita del PIL, dell’occupazione giovanile, degli investimenti industriali e tutto questo, a loro dire, grazie alle misure politiche adottate in questi ulti tre anni. E’ ovvio che a tutto questo solo pochi illusi possono credere. I fatti sono ben altro.
A Napoli la legge Minniti e Minniti-Orlando ha già avuto le prime risposte da parte del variegato movimento sociale e politico antagonista, quello delle occupazioni, quello della lotta per il lavoro, quello del movimento antifascista e anti razzista. Sin dall’annuncio mediatico dell’ulteriore svolta reazionaria del governo in carica, si sono svolte diverse iniziative, che hanno avuto un prologo l’11 marzo con il grande corteo di protesta di migliaia di persone, con scontri, per cacciare il razzista Salvini da Napoli ben protetto dalla polizia del ministro Minniti. A partire da allora, nella città partenopea si sono susseguite numerose assemblea, convegni, riunioni e dibattiti sul significato di quelle nuove leggi che danno un altro giro di vite alle libertà democratiche. Tutti questi incontri hanno visto convolti una certa quantità di soggetti: parte dei settori politici e sociali in lotta e parte di elementi della società civile e delle istituzionali sensibili ai temi delle violazioni dei diritti, specie all’indomani della vittoria del NO al referendum contro la riforma costituzionale del dicembre scorso.
Nella città partenopea in più, questo nuovo avanzamento della politica repressiva, assume un significato particolare per quanto finora è passato nell’immaginario collettivo con l’amministrazione De Magistris considerata una “anomalia” e/o una “città ribelle”.
Ma come è ormai noto la legge Minniti si applica a Napoli come altrove, come a Milano, a Roma, a Torino, a Firenze, ecc.
In simili contesti urbani l’accattivante e mistificante demagogia sulla tutela del “decoro e della civile immagine delle città e dei suoi centri antichi e storici” diventa un elemento di azione e di gestione pubblica della Legge Minniti.
Una delle prime applicazioni, nella nostra città, di questa normativa è accaduta nel maggio scorso. L’applicazione del pre-daspo di 48 ore ha riguardato un fioraio ambulante che sostava con la sua mercanzia nel pressi di una stazione metro del centro città. È la classica situazione di “illegalità” prevista dalla legge Minniti. L’ambulante viene sanzionato in questo caso proprio dalla polizia municipale. Al fatto seguono le proteste del movimento napoletano e quello di una consigliera comunale della maggioranza. Qui le dichiarazione del sindaco è di condanna, ma nella pratica se la cava dicendo alla stampa che la legge Minniti va interpretata mantenendo le garanzie democratiche.
Da allora di episodi come quello capitato al fioraio si sono susseguiti e moltiplicati nei vari quartieri ai danni di altri ambulanti autoctoni e stranieri, a categorie come i parcheggiatori abusi, ai transessuali, barboni, rom, ecc. Ma ogni volta il sindaco pare arrampicarsi sugli specchi senza essere in grado di assumere una posizione e, soprattutto, una partica politica ed amministrativa netta contro questo disegno reazionario.
Anche di fronte al fenomeno sociale della criminalità alla cui base troviamo sempre il degrado economico, culturale e morale qual è la risposta a cui l’amministrazione De Magistris di fatto acconsente? Incremento della videosorveglianza, della militarizzazione dei punti di maggiore concentrazione come le stazioni, le vie principali dello shopping, i quartieri popolari. Tutto questo naturalmente accade in ottemperanza della nuova legge che oltre a dover affermare il controllo sociale deve garantire il cosiddetto decoro urbano.
Nel mentre la città e i territori sono attraversati da gravi problemi sociali ed ambientali: mentre operai licenziati come quelli della Hitachi sono costretti per il loro reintegro a salire sulle gru, mentre centinaia di disoccupati quotidianamente protestano per avere un lavoro o un reddito per vivere, mentre nei territori l’inquinamento e per i tagli alla spesa pubblica imposti dal governo e dalla UE la devastazione per incedi dilagano, negli ospedali si continua a morire e il trasporto pubblico urbano e regionale diventano una chimera.
In questa situazione appare del tutto evidente che le responsabilità non stanno unicamente nell’amministrazione comunale ma molte in quella dell’amministrazione regionale De Luca e nella politica economica e sociale del governo.
Non è un caso che a ferragosto scorso il Ministro degli Interni ha diramato una nuova circolare che assegna ai Sindaci e non solo al già collaudato Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza alcune funzioni di indirizzo e di applicazione concreta delle norme della Legge Minniti particolarmente nelle grandi aree metropolitane.
C’è da dire inoltre come elemento politico non di poco conto e che certamente afferisce con le nuove disposizioni autoritarie e criminalizzanti che a Napoli si concentrano due questioni strategiche per le potenze imperialiste.
L’istituzione della scuola di guerra per la formazione dei futuri quadri dell’esercito europeo che trasformerà l’antica Scuola Militare della Nunziatella nel centro di Napoli e l’inaugurazione, presso la mega base NATO di Giugliano/Lago Patria del centro di comando militare e spionistico puntato sui popoli del medio oriente e dell’Africa avranno bisogno di essere inserite in un territorio pacificato, scevro da tensioni sociali e da elementi di “degrado urbano” Anche su tale versante l’amministrazione De Magistris risulta con tutta evidenza in forte contraddizione con il grande striscione arcobaleno esposto, costantemente, sulla facciata del palazzo comunale su cui è scritto “pace”. Mai sono state espresse preoccupazioni da parte del sindaco in merito a questi due centri militari in sviluppo dove si studiano, si formano e si progettano azioni di aggressioni e di guerra contro i popoli oppressi.
Concludendo, a Napoli e più in generale nel territorio campano le contraddizioni sono numerose e varie e i movimenti di lotta esistenti sono un grande laboratorio molto reattivo alla politica di massacro sciale che si abbatte sulle masse lavoratrici e popolari.
La lotta alla repressione e in particolare la lotta contro la legge Minniti che Eurostop lancia con questo convegno, deve diventare un forte collante per la costruzione di un unico fronte di lotta generale che metta le basi materiali per una alternativa politica popolare all’involuzione reazionaria in atto e per la difesa di tutti gli spazi di agibilità, di organizzazione e di lotta.
Eurostop – Napoli
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