Il 19° congresso del Partito è tutto impostato per confermare il consolidamento del potere del presidente Xi Jinping. Tuttavia, per molti osservatori delle vicende cinesi ciò che più conta è se, calato il sipario su questo evento, verrà impressa un’accelerazione alle riforme economiche. Per i leader cinesi infatti rispettare le previsioni di crescita rappresenta la chiave per salvaguardare la credibilità del Partito comunista (Pcc). La legittimità di quest’ultimo a governare potrebbe essere messa in discussione se si verificasse un drammatico rallentamento della crescita, e non è ancora chiaro se verranno attuate politiche utili a prevenire quest’eventualità.
Ciò dipenderà probabilmente da quanto Xi riuscirà a risolvere la principale contraddizione insita nella dichiarazione conclusiva del terzo Plenum del Pcc del 2013. Quest’ultima suggerì che il mercato dovrebbe svolgere un compito “decisivo” nella distribuzione delle risorse, ma riaffermò anche che lo Stato avrebbe continuato a giocare un “ruolo guida” dell’economia. Quest’ambiguità ha da allora condizionato la formulazione e l’applicazione delle riforme.
Da questa contraddizione derivano tre problemi che la nuova leadership dovrà affrontare: una potenziale crisi finanziaria (e il ruolo, al suo interno, delle aziende di Stato, SOE); il passaggio a un processo di urbanizzazione più efficiente; aggredire i fattori sistemici della corruzione.
Da anni ormai la crescita del rapporto tra debito e prodotto interno lordo ha fatto suonare il campanello d’allarme per un’imminente crisi finanziaria. Il recente declassamento da parte di S&P, che segue una mossa simile da parte di Moody’s, rappresenta un ulteriore avvertimento. Il punto è che tutte le economie che hanno sperimentato un simile aumento del debito hanno poi patito una crisi finanziaria e che non c’è alcun motivo per cui la Cina dovrebbe fare eccezione.
Eppure la Cina è diversa, non perché sia immune da pressioni finanziarie, ma perché i rapporti all’interno del suo sistema economico e la struttura stessa di quest’ultimo sono differenti da quelli delle altre economie. Gli osservatori più ottimisti sottolineano che la maggior parte del debito della Cina è pubblico piuttosto che privato ed ha origine in patria invece che all’estero. Inoltre, i patrimoni delle famiglie sono generalmente solidi.
Ma né gli ottimisti né i pessimisti hanno riconosciuto che l’entità dell’attuale impennata del debito della Cina deriva dalla nascita, una quindicina d’anni fa, di un mercato immobiliare privato. Una volta creato quest’ultimo, l’impennata dei flussi di credito diede vita a valori di mercato per la terra, in precedenza erano nascosti in un sistema socialista. L’aumento del valore degli immobili di cinque volte negli ultimi dieci anni spiega perché è cresciuto il debito e non il prodotto interno lordo, dal momento che l’aumento dei prezzi della terra e il trasferimento di simili proprietà non sono inclusi nel Pil.
I rischi si annidano maggiormente nella concentrazione di crediti deteriorati all’interno di un gruppo di SOE che devono essere ristrutturate o chiuse. Tuttavia, poiché molte delle maggiori SOE sono considerate campioni nazionali della Cina, le necessarie riforme sono state rallentate. Quindi la questione non riguarda tanto il settore bancario, quanto piuttosto la necessità di tirare fuori le SOE da quelle che normalmente dovrebbero essere attività commerciali private in un contesto di mercato.
La fonte principale di crescita sostenibile nel medio termine è il processo di urbanizzazione, poiché nel prossimo decennio altri 150 milioni di residenti in aree rurali si trasferiranno in città. I pianificatori cinesi ritengono che questi migranti vadano incanalati verso le città piccole e medie e che deve essergli impedito di accedere a quelle maggiori, come Pechino e Shanghai. Lo Stato dirigerà dunque gli spostamenti di questi lavoratori attraverso politiche draconiane di residenza, invece di permettere alle forze di mercato e alle decisini individuali di orientare le migrazioni. La scelta di spedire i migranti nelle città minori però riduce la crescita economica, poiché la produttività è di gran lunga maggiore nelle città più grandi.
Anche se favorire una crescita accelerata continua a rappresentare una priorità per la leadership, Xi considera vitale per il mantenimento della legittimità del Pcc anche la sua campagna contro la corruzione. È opinione comune che il malaffare rallenti la crescita, poiché frena la spinta ad investire. Ma i due obiettivi della leadership potrebbero rivelarsi incompatibili in Cina, dove lo Stato controlla tutte le principali risorse, e i tassi di rendimento del settore pubblico sono molto più bassi di quelli privati.
Infatti, poiché spesso le privatizzazioni in Cina si rivelano irrealizzabili, la corruzione permette il trasferimento a interessi privati dei diritti di utilizzo di proprietà statali attraverso accordi formali o informali con funzionari che le controllano. L’unicità del sistema amministrativo della Cina quindi incoraggia una partnership tra interessi pubblici e privati per favorire una crescita dalla quale entrambi traggono guadagno. La leadership cinese non sembra voler ammettere che combattere la corruzione sostenendo allo stesso tempo la crescita richiederebbe che lo Stato rinunciasse al suo ruolo dominante nel controllo dell’attività economica.
Gli impressionanti risultati economici della Cina sono il frutto della scelta di contare gradualmente di più sulle forze di mercato per determinare i risultati economici da raggiungere, anche se è sempre lo Stato a dettare le priorità. La questione ora è se la nuova leadership saprà trovare il giusto equilibrio per permettere al mercato di svolgere il ruolo “decisivo” immaginato dal terzo Plenum mantenendo il ruolo “guida” del Pcc.
*Tratto da Eastasiaforum.org (traduzione da Cinaforum.it)
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