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Le posizioni dei politici italiani su Israele “dimenticano” il diritto internazionale

Perché, anche dopo le elezioni nazionali italiane, non è marginale e tutt’altro che inessenziale la posizione che un/a politico/a esprime su Israele?

Perché questo non è solo un segnale di come si intende collocare l’Italia nello scacchiere del Vicino Oriente e delle prospettive di pace, o di prosecuzione e incremento – ed in che modo – della guerra (l’occupazione è un atto di guerra, ed recente emergere sulla cronaca di quella del Golan ce ne mostra la valenza anche di nucleo di amplificazione del confronto armato). Né è solo segnale del posizionamento nel più ampio quadro internazionale nell’attuale fase di gravissime turbolenze e apparenti rimescolamenti, con frantumazioni e riaggregazioni parziali che apparirebbero inediti. Ma è in relazione più generale ai rapporti che si caldeggiano anche con altri Stati.

Esprimere vicinanza e solidarietà a Israele in questa fase storica costituisce molto di più, di meno estrinseco e di più profondo. Indica e propone un atteggiamento, prima ancora di una decisione di atti e politiche.

Recentemente sono emerse in modo eclatante le politiche di dominio e di conquista attuate da questo Stato ed anche le loro proiezioni future. Emblematico quanto emerso a febbraio in un episodio che riguarda le Colline del Golan siriane ed occupate dal 1967 da Israele, per le ripercussioni non solo sull’informazione, ma anche sul senso di legalità internazionale che attraverso di essa si coltiva nel società italiana.

In tale vicenda, le affermazioni di Netanyahu sull’intenzione di tenere le Alture del Golan “per sempre” sotto il controllo israeliano ridisegnano le basi stesse del diritto internazionale.

Già Repubblica del 10 febbraio esce con la solita illegale sineddoche nel sottotitolo: “Il caccia di Gerusalemme colpito durante un raid.” E nel testo: “dicono i portavoce militari di Gerusalemme”. L’ANSA si contraddice e, nella fumosità della formulazione, più lineare è il suggerimento della medesima idea che il Golan sia in Israele. “Lo scontro tra Israele e Iran sul Golan ha fatto almeno 6 morti tra “siriani e non siriani”, nella didascalia/sottotitolo; ma asserisce che il conflitto è “nato dal drone iraniano infiltratosi in Israele e dalla seguente doppia operazione dello stato ebraico in Siria e la caduta di un F16 centrato – secondo Damasco – dalla contraerea.” Queste informazioni così espresse, come nella quasi totalità dei giornali in qualsiasi formato, ci portano non solo lontano dalla conoscenza della situazione reale, ma anche dalla sensibilità per la dimensione del diritto internazionale.

Tra le pochissime testate, Nena News finalmente ci aiuta a chiarire: era Siria l’area su cui secondo Israele avrebbe sorvolato il drone abbattuto ed all’origine delle “risposte” israeliane di fuoco sulla Siria per preteso “sconfinamento” nello spazio israeliano! “Il drone iraniano abbattuto da Israele non si trovava nello spazio aereo israeliano ma sorvolava le Alture del Golan: territorio siriano occupato da Israele. Lo riferisce la tv libanese al Mayadin, vicina all’Iran. L’emittente cita fonti militari siriane secondo cui il velivolo senza pilota si trovava nello spazio “legittimo” siriano e non israeliano.”

La tendenza a compiacere Israele rischia di portarci molto lontano dalle nostre tradizioni politiche che affondano le radici nel migliore Illuminismo e di avvicinarci paurosamente a quelle altre, assai buie.

Sono anni che diversi intellettuali israeliani ci mettono in guardia sulle politiche e la natura stessa di questo Stato (Gideon Levy, Nurid Peled, Jeff Halper, Amira Hass)

Ciò impone di fare chiarezza su due piani. L’uno, quello più scontato, ma non meno importante, è come ci si pone in linea di principio verso le rivendicazioni legittime, in quanto riconosciute da tutti i pronunciamenti del diritto internazionale e conformi a quelle di carattere generale relative a tutti i popoli, e verso quelle specificamente rivolte al popolo nativo della Palestina. Ovvero: si ritiene che i suoi diritti debbano essere difesi ed affermata la loro realizzazione da parte della comunità internazionale o no? Se questi diritti sono calpestati da Israele, che quindi si pone in modo confliggente con essi, bisogna astenersi dalla loro attuazione o bisogna confliggere con il confliggente Israele?

L’altro piano è quello della difesa delle istituzioni internazionali. Numerose Risoluzioni ONU ed una sentenze della Corte Internazionale dell’Aja hanno colto e stigmatizzato violazioni israeliane della norma internazionale nelle numerose varianti che tali violazioni presentano: dalla sottrazione di terra con insediamento di popolazione dell’occupante (creazione ed ampliamento delle colonie), alle limitazioni alla libertà di movimento (costruzione del muro, checkpoint fissi e volanti), alla non garanzia delle condizioni di sopravvivenza (distruzioni di case, reiterati bombardamenti di Gaza, massiccio impiego di incarcerazioni prolungate senza capo d’accusa, carcerazione di minori in prigioni per adulti, alla deportazione degli stessi prigionieri sul suolo dell’occupante). E infinite altre azioni abituali, corroborate o meno da un diritto interno che non tiene in alcun conto quello internazionale.

L’unica risposta che tali pronunciamenti hanno ottenuto è stata la riconferma arrogante delle pretese israeliane, che costituisce un forte disconoscimento per le istituzioni stesse. Riteniamo che il tentativo di normare e contenere i rapporti internazionali sia fallito e vada abbandonato? Pensiamo che la stagione dei diritti universali e della loro difesa sia superata? O crediamo che nonostante i tanti limiti questa strada debba ancora essere percorsa e, magari, praticata con più determinazione e nuove misure?

Quella su Israele è materia che concerne l’idea stessa di democrazia e di rapporti tra i popoli. Lungi dall’essere una questione irrilevante o marginale, è problematica connessa sotterraneamente, lì dove nasce e trova alimento e soluzione, con l’atteggiamento che si ha e si propone che sia generale verso il diritto ed i criteri da assumere nelle relazioni tra Stati e, per estensione e riflesso sulle qualità che questi stessi Stati hanno o dovrebbero avere.

Riguarda gli sviluppi prevedibili e auspicati di democrazia e Stato di diritto, frutti ed eredità del colonialismo.

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