Le consultazioni svoltesi il 4 marzo hanno segnato-per i vistosi effetti che hanno prodotto sulla geografia politica del Paese e sulla composizione delle rappresentanze parlamentari- un momento di cesura netta e profonda, una svolta cruciale rispetto agli scenari che hanno caratterizzato gli ultimi 25 anni di storia repubblicana.
Dal ’93-‘94, con l’introduzione di sistemi di rappresentanza maggioritari (“Mattarellum” per Camera dei deputati e Senato, ed elezione diretta dei Sindaci per i Comuni ) – si è affermata, per lungo tempo, una competizione bipolare politico-elettorale (centro sinistra contro centro destra) che ha prodotto effetti deprimenti sulla qualità del dibattito politico-culturale, sciagurate politiche sociali e, soprattutto, disastri in economia, nonostante le tante ed inutili chiacchiere sulle possibilità di crescita del Paese.
La polarizzazione intorno ad un centro destra con la bussola orientata al Nord e un serbatoio elettorale cospicuo al Sud; e un centro sinistra privo di reale spinta al cambiamento- con varie anime, caratterizzato da una marcata tendenza a far proprie politiche economiche e sociali di orientamento neoliberista- ha pesantemente condizionato il confronto politico ed escluso, di fatto, la possibilità di qualsiasi incisiva rappresentanza dei conflitti sociali a livello istituzionale.
Il Mattarellum” (Legge n. 276 Norme per l’elezione del Senato della Repubblica; e Legge n.277 Nuove norme per l’elezione della Camera dei deputati.), come è noto, fu discusso e approvato nell’estate del 1993, dopo la prima tornata amministrativa con il nuovo sistema elettorale maggioritario (andarono al voto Milano e Torino).
Nel 1992, l’ultimo Parlamento eletto con il sistema proporzionale recepì” in maniera creativa” l’esito del Referendum popolare svoltosi il 18 aprile del 1993 (meglio noto come Referendum Segni) ed estese gli effetti di quella consultazione- che riguardava esclusivamente la richiesta di abrogazione di alcune parti della legge sull’elezione del Senato- anche alla Camera dei deputati.
L’eccezionale risultato (82.74% di Si) ottenuto il 18 aprile del ’93 dal referendum promosso da Segni, Occhetto, Pannella, e sostenuto dal coro della grande stampa, rappresentò una forte spinta all’introduzione del sistema maggioritario, nei cui confronti si accesero entusiasmi che travolsero anche alcuni partiti del vecchio centro sinistra (ad esclusione dei socialisti di Craxi, molto tiepidi nei confronti della riforma, ma nell’impossibilità di reagire efficacemente per effetto dei colpi giudiziari subiti da Tangentopoli).
Il “Mattarellum” passò, infatti, con il voto favorevole della Democrazia Cristiana, registrando il voto contrario di Rifondazione comunista, della Rete di Leoluca Orlando, del Movimento sociale italiano.
L’entusiasmo fu tale che quando a Montecitorio, il 4 agosto del 1993, fu approvata la legge n.276 (passata con 287 voti favorevoli, 78 contrari e 15 astenuti) i deputati democristiani applaudirono compiaciuti, sicuramente non presagendo che l’introduzione del maggioritario avrebbe, dopo pochi mesi, scritto la parola fine alla loro storia cinquantennale.
Il “Mattarellum” e il “Porcellum” del 2005, leggi concepite e formulate secondo criteri tecnicamente differenti, hanno inciso sugli equilibri del sistema politico italiano, determinando snaturamenti e modificazioni istituzionali (ad esempio, i nomi dei leader di coalizione stampati sulla scheda elettorale) che hanno fatto parlare, anche se in maniera non corretta, della nascita di una “Seconda Repubblica” a Costituzione invariata.
Entrambe le leggi, infatti, (maggioritario per i due terzi e proporzionale per il resto il primo; proporzionale, distorto dal premio di maggioranza e dalle soglie di esclusione multiple, il secondo) hanno favorito -per poco meno due decenni- la competizione tra due coalizioni contrapposte che si formavano- diversamente da quanto era accaduto dal ’48 al ‘92- non dopo ma prima del voto.
Il bipolarismo, che appariva consolidato, ha mostrato, però, tutti i suoi già evidenti limiti, quando la crisi economica- manifestatasi a livello internazionale nel biennio 2007-2008- è esplosa violentemente in Italia nell’estate 2011, portando, in autunno, alla formazione di un governo “tecnico”(sostenuto da entrambi i poli) che avrebbe dovuto condurre, secondo i suoi fautori, il Paese fuori dalla tempesta finanziaria, raddrizzando i conti pubblici, e adeguandosi convintamente alle prescrizioni della Troika europea.
Quel sistema bipolare nato nel ’94 avrebbe potuto reggere in una situazione di gravi difficoltà economico –finanziarie e di crisi sociale, fenomeni che pur aveva contribuito a determinare con le sue politiche restrittive?
I sacrifici imposti alle classi popolari dalle scelte del governo “tecnico” avevano provocato, infatti, un profondo malessere per la evidente ingiustizia di tutti i drastici provvedimenti assunti da Monti con il sostegno del PD e del PDL; e in tanta parte della popolazione si faceva sempre più forte la convinzione che il “risanamento” dei conti pubblici colpisse soltanto i ceti più deboli, accrescendo situazioni di forte disagio sociale.
La volontà di spezzare, in qualche modo, la gabbia imposta dal bipolarismo si affacciava anche in settori del mondo imprenditoriale e degli affari perché l’alta borghesia, che aveva guardato con simpatia al governo Monti, andava maturando l’idea che la formula di quella esperienza governativa, gradita all’Europa e alla Germania, potesse e dovesse in qualche modo proseguire (purché però passasse attraverso la legittimazione del voto alle politiche).
Si arrivò, così, allo scioglimento, anticipato di qualche mese, delle Camere e alla campagna elettorale, alla quale presero parte nuovi soggetti politici (il Centro di Monti, La Lista dei 5Stelle, la lista Rivoluzione Civile Ingroia) che ambivano a svolgere o la funzione di principale opposizione o quella di “socio di minoranza”, ma dotato di un forte potere d’interdizione, in un esecutivo di “larghe intese”.
Naturalmente, i nuovi attori politici erano consapevoli che il generoso premio di maggioranza previsto dal “Porcellum” avrebbe comunque conferito ad uno dei due contendenti maggiori una cospicua forza parlamentare, almeno a Montecitorio.
Nel 2013, quindi, dopo la tormentata legislatura iniziata nel 2008 con la schiacciante vittoria del centro destra di Berlusconi e conclusasi con il governo “tecnico” di Mario Monti, si presentarono al giudizio dell’elettorato ben 3 coalizioni e 2 liste (più una serie di piccole formazioni, prive di qualsiasi realistica possibilità di superare la soglia di sbarramento del 4% alla Camera e dell’8% al Senato).
Le coalizioni erano: il centro sinistra (Pd con Sinistra Ecologia e Libertà, Centro democratico e Svp); il centro destra (Pdl, Lega Nord, Fratelli d’Italia e altre 6 liste minori); moderati con Monti (Scelta civica, Udc, Futuro e Libertà). Le due liste singole erano: Movimento 5 Stelle e Rivoluzione Civile-Ingroia (Prc, Pdci, Idv, Verdi e associazioni varie).
L’esito della consultazione – pur assicurando alla Camera dei deputati una solida maggioranza di seggi al Partito democratico, a Sinistra Ecologia e Libertà e al Centro democratico di Tabacci –non consentiva però la formazione di un governo stabile perché il meccanismo del “Porcellum”,prevedendo l’assegnazione del premio di maggioranza al Senato a livello regionale, aveva determinato, a Palazzo Madama, una situazione molto incerta dal punto di vista dei numeri, tale da non garantire una navigazione tranquilla al nuovo esecutivo, o addirittura il varo dello stesso.
Il meccanismo bipolare, che aveva funzionato per 5 consultazioni politiche generali (’94, ’96,2001,2006,2008), entrò in crisi principalmente per effetto dell’affermazione del Movimento5 Stelle, divenuto il primo partito nei consensi degli elettori, sebbene superato dal voto espresso a favore di 2 delle 3 coalizioni: quella di centro sinistra- risultata vincente, sia pur di poco – e quella di centro destra.
La XVII legislatura ha rimescolato le carte del sistema politico italiano, con l’affacciarsi sul proscenio di nuovi effimeri soggetti politici (il Nuovo Centro Democratico, l’Alleanza Liberal popolare Autonomie di Denis Verdini) che hanno dato vita ad un diverso quadro di alleanze. Le maggioranze hanno proseguito il loro cammino anche, e forse soprattutto, grazie a cambi continui di casacca di decine e decine di parlamentari che hanno svuotato alcuni gruppi gonfiandone altri. Poi, dopo il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, vi è stata la scissione che ha diviso il Partito democratico.
In 5 anni di legislatura si sono succeduti 3 governi (Letta, Renzi e Gentiloni), sorretti da maggioranze diverse. Ma la condizione dell’Italia non è certamente migliorata; inoltre, gli indirizzi seguiti dall’esecutivo guidato da Matteo Renzi hanno contribuito con il Jobs Act, la “Buona scuola” e, infine, con la sciagurata riforma costituzionale, sonoramente bocciata dagli elettori, ad alimentare il clima di giustificata indignazione delle classi popolari.
La nuova legge elettorale(approvata nel 2017, dopo la sentenze della Corte costituzionale sul “Porcellum” e sull’” Italicum “e alcuni tentativi di riforma andati a vuoto) il “Rosatellum” ( una pessima rivisitazione del meccanismo del “Mattarellum”, di cui ha fortemente ridotto l’impianto maggioritario aumentando la quota proporzionale ed introducendo il cosiddetto voto congiunto) ha determinato- in concorso con altri fattori di carattere strutturale- un quadro diverso dei rapporti di forza tra le liste in competizione.
Soffermiamoci ora sugli aspetti che hanno principalmente caratterizzato l’ultima consultazione elettorale. Le tabelle di seguito riportate e le considerazioni e comparazioni con altre consultazioni politiche si riferiscono al solo risultato della Camera dei deputati. E, pertanto, non riguardano gli esiti del voto per il Senato.
Premesso che l’elettorato italiano è passato dai 46.905.154 del 2013 ai 46.505.499 del 2018, con una contrazione di 399.655 elettori, il primo dato che emerge dall’analisi è quello relativo alla diminuzione dei votanti. La partecipazione al voto, infatti, è risultata in calo di 2,3 punti percentuali rispetto al 2013, e si è attestata al 72,93 %. Se poi si tiene conto del cosiddetto voto inespresso, o altrimenti definito astensionismo attivo, cioè del fenomeno delle schede bianche e nulle, il tasso di partecipazione è sceso al 70,60%.
Siamo di fronte al risultato più basso del dopoguerra. Nel 2008, appena dieci anni fa, alle elezioni per la XVI legislatura repubblicana, la partecipazione si attestò all’80,51%. Se poi si tiene conto delle schede bianche e nulle, che ammontarono a 1.417.315, i voti validamente espressi risultarono allora corrispondenti al 77,50% degli elettori aventi diritto. In un decennio, dal 2008 al 2018, quindi, i voti validamente espressi sono passati dal 77,50% al 70,60% del corpo elettorale.
Le regioni che hanno partecipato maggiormente al voto sono state il Veneto (78,72%), l’Emilia Romagna (78,27%), e l’Umbria (78,23%); quelle che hanno votato di meno la Sardegna (65,51%), la Calabria (63,63%) e la Sicilia (62,75%). Il calo più alto si è registrato in Trentino Alto Adige, dove la partecipazione è scesa notevolmente, passando dall’81,02% del 2013 al 74,33% del 4 marzo (6,69% in meno). Nel Mezzogiorno la diminuzione dei partecipanti più vistosa si è verificata nel Molise (6,51% in meno, dal 78,13% al 71,62%).
Il risultato delle consultazioni del 4 marzo, come abbiamo visto in precedenza, ha prodotto un diverso scenario politico. L’asse Nord Sud si è polarizzato, con il Meridione che ha votato compattamente per il M5 Stelle; il centro destra, a trazione leghista, che ha conquistato il Nord e, diversamente da quel che si prevedeva alla vigilia del voto, anche parti rilevanti del Centro Italia.
Il risultato del 4 marzo, analizzato circoscrizione per circoscrizione, fa registrare l’affermazione del Movimento 5 Stelle come primo partito in 18 circoscrizioni : Abruzzo; Basilicata ;Calabria; Campania1(Napoli e provincia) e Campania2(Avellino, Benevento, Caserta e Salerno con relative province); Emilia Romagna;Lazio1(Roma e 85 comuni della Città metropolitana) e Lazio 2(comprendente le province di Frosinone, Latina ,Rieti e Viterbo, più 36 comuni della Città metropolitana di Roma Capitale); Liguria;Lombardia1(quasi tutto il territorio della Città metropolitana di Milano e le province di Monza e della Brianza);Marche;Molise;Piemonte1(l’intera Città metropolitana di Torino);Puglia;Sardegna;Sicilia1(province di Palermo, Trapani, Agrigento, Caltanissetta); Sicilia2(Catania-Messina-Siracusa-Ragusa-Enna); Umbria.
Il centro destra (Forza Italia, Lega, Fratelli d’ Italia, Noi con l’ Italia Udc) è risultato la prima coalizione, superando il Movimento 5 stelle anche dove questo si è affermato come prima lista, in 15 circoscrizioni: Emilia Romagna;Lazio1;Lazio2;Liguria;Friuli Venezia Giulia; Piemonte 1 e Piemonte 2( che comprende tutto il Piemonte con la sola esclusione della Città metropolitana di Torino); Lombardia1;Lombardia 2(Como, Lecco, Sondrio e Varese, più 35 comuni della provincia di Bergamo);Lombardia3( tutta la provincia di Bergamo, tranne 35 comuni inseriti in Lombardia 2 più la provincia di Brescia, tranne 10 comuni inseriti in Lombardia 4) ;Lombardia4(Cremona, Lodi, Mantova e Pavia, più 10 comuni della provincia di Brescia e 11 comuni della città metropolitana di Milano);Umbria;Veneto1(Venezia, Treviso e parte della provincia di Udine); Veneto 2(Verona-Padova-Vicenza-Rovigo).
Il centro sinistra si afferma come prima coalizione soltanto in 2 regioni: la Toscana e il Trentino Alto Adige.
La Lega di Salvini diventa il primo partito in 7 circoscrizioni: Friuli Venezia Giulia; Lombardia 2,3 e 4; Piemonte 2; Veneto1 e 2.Il Partito democratico è il primo partito soltanto nella circoscrizione della Toscana; mentre la SVP è la prima lista in Trentino Alto Adige.
I due vincitori delle elezioni del 4 marzo sono, quindi, il Movimento 5 Stelle, che è diventato il primo partito italiano con 10.697.994 voti, pari al 32,66% e la Lega di Salvini, terzo partito italiano con il 17,37% e 5.691.921 elettori.
La distanza tra il Movimento 5 Stelle e il secondo partito, il Pd è di 13,94 punti percentuali. Nel 1987, la distanza tra la Dc di De Mita (34,31%) e il Pci di Natta (26,58%) fu di 7,73 punti percentuali. Nel 1992, le ultime con la legge proporzionale, la distanza tra la Dc di Forlani (al 29,66%) e il Pds di Occhetto (al 16,11%) fu di 13,55 punti percentuali.
Il 4 marzo la distanza tra la coalizione di centro destra (37%) e quella di centro sinistra (22,85%) è stata di 14,15 punti percentuali. Nel 2013 la coalizione di centro sinistra, risultata vincente, ottenne il 29,55% e quella di centro destra il 29,18%, la differenza fu dello 0,37%. Nel 2008 l’alleanza di centro destra prevalse su quella di centro sinistra di 9,26 punti percentuali.
Nel 2013, i voti ottenuti dal Movimento furono 8.691.406, l’incremento, pertanto, nel 2018 è stato di 2.012.449 in termini assoluti e del 7,10% in percentuale.
La crescita è stata molto consistente al Sud, dove i pentastellati hanno raccolto il consenso di 4.577.591 elettori, il 42,76% del risultato realizzato dal Movimento in tutta Italia. Rispetto al 2013, l’incremento è di 1.917.431 voti in termini assoluti, mentre in valori percentuali si attesta al 18,90.
La regione meridionale in cui l’avanzata grillina è più consistente è la Campania, dove il partito di Di Maio ottiene il 54,13% a Campania 1, rispetto al 23,16 % del 2013, crescendo in termini percentuali del 30,97; e il 44,53 % a Campania 2 rispetto al 21,13% del 2013, crescendo in termini percentuali del 23,40%.
Il risultato migliore viene realizzato, in termini percentuali, nella circoscrizione Campania 1 dove il Movimento si attesta al 54,13%. Seguono 8 circoscrizioni, tutte meridionali, in cui i pentastellati sono al di sopra del 40%: Basilicata, Calabria, Campania2, Molise, Puglia, Sicilia1 e Sicilia 2.
In altre 5 circoscrizioni si attesta tra il 30 ed il 40%: Abruzzo, Lazio 1, Lazio 2, Liguria e Marche. In altre 11 il Movimento è tra il 20 ed il 30%: Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia1, Lombardia2, Lombardia4, Piemonte1, Piemonte 2, Toscana, Umbria, Veneto 1 e Veneto 2. Soltanto in due circoscrizioni i grillini sono al di sotto del 20%: Lombardia3 e Trentino Alto Adige.
Il Movimento 5 Stelle conquista 51 collegi dell’Italia meridionale:4 in Abruzzo,2 in Basilicata,6 in Calabria,21 in Campania,2 in Molise e 16 in Puglia; mentre nelle isole prevalgono in 19 collegi in Sicilia e 6 in Sardegna. Nell’Italia centrale sono 6 i collegi conquistati nel Lazio e 5 nelle Marche. Al Nord il bottino è molto magro: appena 3 collegi, di cui 2 in Liguria e 1 in Piemonte.
CIRCOSCRIZIONI IN CUI I 5 STELLE SUPERANO IL 40%
BASILICATA
44,35
CALABRIA
43,39
CAMPANIA1
54,13
CAMPANIA2
44,53
MOLISE
44,79
PUGLIA
44,94
SARDEGNA
42,48
SICILIA1
48,15
SICILIA2
49,26
CIRCOSCRIZIONI IN CUI I 5 STELLE SONO TRA IL 30 E IL 40 %
ABRUZZO
39,85
LAZIO1
32,27
LAZIO2
34,45
LIGURIA
30,12
MARCHE
35,55
CIRCOSCRIZIONI IN CUI I 5 STELLE SONO TRA IL 20 E IL 30
EMILIA ROMAGNA
27,54
FRIULI VENEZIA GIULIA
24,56
LOMBARDIA1
23,20
LOMBARDIA2
20,66
LOMBARDIA4
22,67
PIEMONTE1
28,54
PIEMONTE2
24,27
TOSCANA
24,68
UMBRIA
27,52
VENETO1
25,03
VENETO2
23,91
CIRCOSCRIZIONI IN CUI I 5 STELLE SONO AL DI SOTTO DEL 20
LOMBARDIA3
17,97
TRENTINO ALTO ADIGE
19,50
Se il Movimento 5 Stelle prevale in maniera netta nel Meridione, la Lega, l’altro vincitore delle consultazioni del 4 marzo, conquista percentuali molto alte al Nord, si consolida nelle regioni rosse, o, per meglio dire, ex rosse e penetra nel Sud in territori dove nel 2013 aveva raccolto pochissimi consensi.
Nel 2013 il partito di Matteo Salvini era al 4,09% e aveva ottenuto 2.131.537 voti, arretrando rispetto al 2008. Il 4 marzo i voti raccolti dalla Lega sono stati 5.692.510, pari al 17,37%; la crescita è stata di 4.302.416 voti in termini assoluti ed in termini percentuali del 13,28. E’ il miglior risultato ottenuto dalla nascita del Partito, che soltanto nel 1996 era riuscito a superare il 10% (quando si presentò fuori dall’alleanza di centro destra).
Al Nord i voti raccolti sono stati 3.982.555, con un incremento, rispetto al 2013, di 2.644.546.
Le regioni in cui la crescita è stata particolarmente significativa sono state la Lombardia con 826.203 voti; il Veneto con 690.005 voti; il Piemonte con 430.930; l’Emilia Romagna con 417.787 voti; il Friuli Venezia Giulia 119.779.
La crescita al Centro è stata di 1.002.837 voti, con una punta massima registrata in Toscana di 355.183 voti. Nel Sud, sebbene non sia verificato lo sfondamento di cui hanno parlato alcuni commentatori, l’incremento rispetto al 2013 è abbastanza consistente: 562.592 voti, di cui 103.525 in Abruzzo e 133.547 in Puglia.
Nella coalizione di centro destra, la Lega supera Forza Italia di 1.101.171 voti, prevalendo al Nord in 12 circoscrizioni su 12, al Centro in 5 su 5, mentre al Sud il partito di Berlusconi prevale in tutte le 9 circoscrizioni e in Sardegna.
La Lega, nelle regioni del Nord, elegge suoi rappresentanti in 45 collegi :5 in Emilia Romagna, 2 in Friuli Venezia Giulia,1 in Liguria,16 in Lombardia,6 in Piemonte,3 in Trentino e 12 nel Veneto. Nell’Italia centrale conquista 1 collegio nel Lazio, nelle Marche e nell’Umbria e 2 in Toscana.
E veniamo agli sconfitti.
Il Partito Democratico perde complessivamente 2.509.889 elettori. Al Nord, si sono verificate perdite corpose quasi ovunque: nelle quattro circoscrizioni della Lombardia (287.296 voti in meno); in Emilia Romagna (321.144 voti in meno); nelle due circoscrizioni del Piemonte (142.750 voti in meno); in Liguria (89.000 persi); in Veneto (151.141 persi). Nelle circoscrizioni del Nord Ovest (Liguria, Lombardia e Piemonte) il Pd si attesta poco sopra il 20%(20,44%). Nel Nord Est (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Trentino Alto Adige) il Partito democratico è al 18,69%.
Al Centro, nella circoscrizione Lazio 1(Roma e provincia) la perdita è consistente (254.946 voti in meno), ma anche in Toscana 207.957 elettori hanno abbandonato il partito che fu di Renzi. Nell’ Italia centrale (Toscana, Umbria, Marche e Lazio) la percentuale media raggiunge il 22,24.
Nel Mezzogiorno la sconfitta è pesante ed assume il profilo di una vera e propria disfatta: nelle sei regioni meridionali (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise e Puglia) oltre 555.000 hanno abbandonato il Partito democratico. Nelle due circoscrizioni della Campania il cedimento di consensi è abbastanza consistente: in 5 anni 257.000 elettori hanno compiuto una scelta diversa ed hanno indirizzato le proprie preferenze verso altre forze politiche.
Nel 2013, a Campania 1 (Napoli e provincia) il Pd si era attestato al 21,83%, e a Campania 2 (Avellino, Benevento, Caserta e Salerno e relative province) al 21,93%. Il cedimento è stato di ben 9,64 punti percentuali a Campania 1, e, a Campania 2, di 7,75 punti percentuali. In Puglia l’arretramento, pur se numericamente cospicuo, è più contenuto: il Pd passa, infatti, dai 407.279 voti del 2013 ai 298.710 del 4 marzo, con una perdita percentuale del 4,79% (dal 18,46 al 13,67%). In definitiva in nessuna delle sei regioni del Mezzogiorno peninsulare (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise e Puglia) il Pd raggiunge il 20%, attestandosi mediamente tra il 14 e il 15 %.
Lo stesso quadro si presenta nelle due Isole, dove il fenomeno della disaffezione manifestato dall’ elettorato che nelle precedenti consultazioni aveva votato i dem è molto consistente: in Sicilia il calo è di circa 190.000 elettori; mentre in Sardegna si avvicina ai 105.000.In Sicilia il Partito democratico supera di poco l’11%(era al 18,62%); mentre in Sardegna è al 14,82(aveva nel 2013 il 25,20%).
Nel 2013 la coalizione di centro destra, formata da 9 liste, raccolse 9.923.600 voti, pari al 29,19%, e fu superata dal centro sinistra- che aveva ottenuto 10.049.393 voti ed il 29,55%,- per 125.793 voti, con una differenza in termini percentuali dello 0,36.
Sempre nel 2013 la coalizione di centro destra aveva 9 liste, ruotanti intorno all’allora Pdl, che raccolse 7.332.134 voti, pari al 21,56%, seguito dalla Lega Nord di Bossi e Maroni, con il 4,09%. E 1.390.534 voti. Terzo partito della compagine era Fratelli d’ Italia, con 666.765 voti e 1,96%. Tutte le altre liste della coalizione non parteciparono al riparto dei seggi per il mancato raggiungimento del quorum previsto dal “Porcellum”.
Nel 2018, la coalizione di centro destra si è presentata con un minor numero di alleati, soltanto 4 liste, che insieme hanno totalizzato 12.137.557 voti, pari al 37,03%. Alla Lega di Salvini, a Forza Italia e a Fratelli d’ Italia si è aggiunta la Lista Noi con l’Italia –Udc.
Delle 4 formazioni politiche, soltanto la lista centrista Noi con l’Italia non ha raggiunto il 3%, avendo ottenuto 428.298 voti, pari all’1,30%, percentuale non sufficiente per conquistare un seggio, tuttavia utile agli altri componenti della coalizione per poter ottenere un maggior numero di deputati nel riparto proporzionale.
Mentre Fratelli d’Italia ha migliorato sensibilmente la propria posizione rispetto al 2013, passando da 666.765 voti a 1.426.564, con un incremento in termini percentuali di 2,39 punti, Forza Italia ha perso sia in valori assoluti sia in relativi.
Il partito di Berlusconi, uscito sconfitto dalle urne, si è fermato al 14,10%, confermando soltanto 4.590.774 dei 7.332.134 voti dell’allora Pdl. La perdita è stata di 2.741.360 voti e di 7,46 punti percentuali. Forza Italia ha perso il 37,39 % del proprio elettorato. Le perdite sono state molto significative nelle circoscrizioni del Nord: in Lombardia 416.071 voti, in Piemonte 178.382, in Friuli Venezia Giulia 60.520, in Emilia Romagna 182.700, in Liguria 65.661. La sconfitta è stata pesante anche nel Lazio, 354.424 voti in meno, in Campania 317.041 voti in meno, in Calabria 34.004 in meno.
Il partito di Berlusconi oggi è al 12,22% al Nord, all’11,825% al Centro, al 16,89 %al Sud e al 18,69% nelle Isole.
Anche la sinistra, che nel 2013 competeva con 4 liste, sia pur diversamente collocate, subisce una seria sconfitta.
Nel 2013 erano presenti: Rivoluzione civile che raccolse il 2,25% e 765.189 voti; Sel che ottenne 1.089.231 voti, pari al 3,20%; il Partito comunista dei lavoratori di Ferrando che totalizzò 89.643 voti e il Partito di alternativa comunista con 5.196 voti, pari allo 0,02.
Mentre Sel era nella coalizione di centro sinistra, le altre formazioni non avevano alleati e correvano da sole. Il risultato complessivo fu di 1.949.259 voti, pari al 5,73%.
Nel 2018 le liste della Sinistra sono state 5: Liberi e Uguali, Potere al Popolo, Partito Comunista (Marco Rizzo), Per una Sinistra Rivoluzionaria (riuniva il gruppo Sinistra, Classe, Rivoluzione e il Partito Comunista dei Lavoratori di Marco Ferrando) e la Lista del Popolo di Ingroia. Le prime due erano presenti in tutte le circoscrizioni, mentre le altre tre soltanto in alcune. Sono state qui accomunate perché, benché esse fossero distinti e distanti per cultura politica e programmi, erano tutte collegate, in qualche modo, a precedenti esperienze elettorali maturate a sinistra del Partito democratico.
Il risultato complessivo raggiunto è stato inferiore a quello delle liste di Sinistra presenti nel 2013: i voti raccolti sono stati 1.624.739, pari al 4,93% così distribuiti: Liberi e Uguali 1.109.198. 3,38%; Potere al Popolo 370.552, 1,13%; Partito Comunista 106.261,0,32%; Per una Sinistra rivoluzionaria, 29.176 pari allo 0,08%; Lista del Popolo Ingroia 9.532, 0,02%.
La perdita rispetto al 2013 è di 324.520 voti, con un calo percentuale dello 0,80%. Bisogna considerare che in Liberi e Uguali vi sono consensi provenienti dal Pd, perché la lista, come è noto era composta in parte da fuoriusciti dal partito che fu di Renzi.
Lo studio svolto dall’ Istituto Cattaneo sui flussi elettorali ha evidenziato che, in alcune città Brescia, Parma e Firenze, Livorno etc., Leu capitalizza una parte dei voti fuoriusciti dal Pd. E’ stato calcolato, ad esempio, che a Brescia il flusso dal Pd verso Leu è pari all’1,8% del corpo elettorale, vale a dire degli elettori aventi diritto. Secondo questa stima, a Brescia sarebbero arrivati a Leu dal Partito democratico più del 50% dei consensi raccolti in città. Anche a Parma si sarebbe verificato lo stesso fenomeno: i voti usciti dal Pd avrebbero costituito gran parte del bottino raccolto dalla lista di Fratoianni e Bersani. Mentre a Brescia i voti ceduti dal Partito democratico a Leu sono stati inferiori a quelli andati verso il Movimento 5 Stelle (il cui risultato è stato determinato per più di un terzo da elettori provenienti dal partito che fu di Renzi), a Parma, invece, sarebbe stata Leu a raccogliere quote considerevoli dell’ex elettorato dem.
Le formazioni di centro hanno ottenuto nel 2018 un risultato nettamente inferiore a quello raccolto nel 2013. Nelle precedenti elezioni, infatti, erano 5 le liste definite moderate e centriste:3 di queste erano insieme nella coalizione montiana (Scelta civica, Futuro e Libertà e Udc); una era in coalizione con il Pd (il Centro democratico di Tabacci); un’altra ancora, Fare per fermare il declino, di Oscar Giannino, correva da sola. A queste 5 si può aggiungere una sesta lista, Amnistia giustizia e libertà vicina a Marco Pannella. Il risultato complessivo fu di 4.203.935 voti, di cui 3.591.541 raccolti dalla coalizione montiana.
Nel 2018 l’offerta di Centro è stata più limitata:4 liste di cui 3 in coalizione con il Pd (Più Europa, Italia Europa Insieme e Civica Popolare Lorenzin) e una, Noi con l’Italia Udc, collegata al centro destra. Il risultato di queste liste, sia pur collocate in alleanze diverse, è stato nettamente inferiore a quello del 2013: 2.564.209 voti in meno.
Una parte consistente del voto centrista (in particolar modo quella proveniente da Scelta civica) si è diretta verso il Partito democratico; nel centro destra, Forza Italia ha beneficiato dell’apporto degli elettori fuoriusciti dal recinto moderato, sia pur in misura nettamente inferiore a quanto raccolto dal partito che fu di Renzi.
La geografia elettorale e politica italiana è stata, come abbiamo visto, profondamente modificata dal voto espresso il 4 marzo. L’ Italia appare spaccata in due tra centro destra a trazione leghista nel Nord e Movimento 5 Stelle al Sud, con al Centro il Partito democratico che prevale soltanto in Toscana. Siamo di fronte, quindi, a Italie diverse non soltanto nei comportamenti elettorali, ma anche dal punto di vista sociale ed economico. Molto hanno inciso la pesantezza della crisi economica, il crescere delle diseguaglianze sociali, l’impoverimento di ampi settori del ceto medio, l’abbandono in cui versano le periferie urbane.
Per riassumere, secondo l’Istituto Cattaneo il Pd perde quote rilevanti di voti a favore del Movimento5 Stelle, ma anche in direzione di Leu, della Lega e dell’astensione. Il Movimento 5 Stelle acquista voti dal Pd, ma nelle città del Nord e del Centro, subisce significative perdite che favoriscono principalmente la Lega. Al Sud, il Movimento 5 Stelle riesce a prendere voti anche dalla destra.
IL VOTO DI NAPOLI
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LA PARTECIPAZIONE AL VOTO
A Napoli il 4 marzo la percentuale dei partecipanti al voto è salita leggermente: dal 60,12% del 2013 al 60,52 del 2018.Va precisato che gli elettori aventi diritto sono passati dai 771.305 delle politiche del 2013 ai 746.750 del 2018, un calo di 24.555.
L’area del non voto (astenuti, bianche e nulle) rappresenta il 40,83 del corpo elettorale, in termini assoluti 304.851 elettori.
Il numero degli elettori votanti diminuisce di 11.818: il 4 marzo si sono recati alle urne 451. 924 elettori.
In 11 dei 29 quartieri nei quali è divisa la città, è stata superata la media del 60,52%: Arenella con il 70,27%; Bagnoli con il 62,67%; Chiaia con il 67,33%; Chiaiano con il 65,83%; Fuorigrotta con il 64,88%, Posillipo con il 67,90%; San Carlo all’ Arena con il 61,17%, San Giuseppe con il 64,07%, Soccavo con il 60,69%; Vicaria con il 60,96% e Vomero con il 70,57%.
La partecipazione è scesa sotto il 50% in due quartieri del centro storico: Mercato (48,58%) e Pendino (49,65%).
I quartieri dove la partecipazione è risultata più alta sono stati: Vomero (70,57%), Arenella (70,27%), Posillipo (67,90%) e Chiaia (67,33%).
Complessivamente l’area del non voto raggiunge a Napoli il 40,83 % se si sommano gli astenuti, le 7.905 schede nulle e le 2.120 schede bianche.
Il non voto supera il 40% nelle realtà più disagiate del centro storico, della periferia orientale e di quella settentrionale: Mercato (53,35%), Pendino (51,28%), Montecalvario (49,39%), San Lorenzo (49,31%) nel centro della città; San Giovanni a Teduccio (47,14%), quartiere della periferia est, un tempo roccaforte della cintura rossa; Scampia (46,26%) e Secondigliano (45,86%) della zona nord.
Se si confrontano le percentuali relative al non voto con i tassi di occupazione maschile e femminile dei quartieri si osserva che il non voto è stato prevalente dove la disoccupazione è maggiore: Mercato, Pendino, Barra, Ponticelli, San Giovanni a Teduccio, Scampia, San Pietro a Patierno, Secondigliano.
Nei quartieri definiti agiati, invece, il non voto supera di poco il 30%: al Vomero è al 30,97%, ad Arenella al 31,44%, a Posillipo al 33,49%.
La maggiore disaffezione elettorale si manifesta, pertanto, nelle zone popolari della città, quelle che un tempo assicuravano al Pci il maggior numero di consensi.
Se si osserva l’andamento storico della partecipazione al voto dei napoletani, si rileva che, dalle elezioni politiche del 1953 sino a quelle del 1979, l’area complessiva del non voto oscillò tra la punta minima del 9,40% del 1958 alla massima del 15,82% del 1979. Dalle elezioni del 26 giugno 1983 la disaffezione crebbe oltre il 20,30% per attestarsi, in un arco temporale che supera i 3 decenni (per l’esattezza 35 anni) al 40,83% del 4 marzo 2018.
Se poi si analizzano gli andamenti relativi ai singoli quartieri, balza agli occhi il dato del Vomero, dove sino al 1992 si registrò una percentuale di non voto altalenante, nel ’53, ’63, ’68’, 72, ’83 superiore, anche se pochi decimi, al dato medio cittadino. Dal 1994 la partecipazione al voto è stata sempre tra le più alte, sino a giungere al 70,57% del 4 marzo 2018.
LA PARTECIPAZIONE AL VOTO DAL 1994 AL 2018
Elezioni: Politiche, Europee, Regionali, Comunali.
Referendum: Acqua pubblica, Trivelle, Costituzionali(2006-2018)
La punta massima di partecipazione,relativamente alle elezioni politiche ed anche per ogni altro tipo di consultazione, fu raggiunta nel 1994 ,quando i votanti si attestarono al 75.50%.
Le elezioni regionali del 2015 furono caratterizzate dalla più bassa partecipazione per il rinnovo del Consiglio regionale negli ultimi 20 anni: appena il 40.61%.
Alle elezioni comunali del 2016,si recò ai seggi al primo turno il 54.12% e al secondo il 35.97%,con un calo del 6.21% e del 14.61% rispetto al voto del 2011.
Per quanto riguarda le consultazioni referendarie di maggior rilevanza, la più bassa percentuale di partecipazione si è verificata nel 2016 (Referendum Trivelle),la più alta,sempre nel 2016,il 4 dicembre, quando si recò alle urne,per difendere la Costituzione repubblicana dalla manipolazione renziana,il 53.86% degli aventi diritto(percentuale più bassa del 14.63 rispetto alla media nazionale)
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I RISULTATI DEL VOTO
Per quanto riguarda il risultato uscito dalle urne l’analisi deve prendere le mosse dal rilevante successo del M5S. Dal 1948 non era mai accaduto che un partito ottenesse una percentuale tanto alta di consensi (52,44%) con 223.455 voti di lista.
Nella storia elettorale della città, alle politiche, troviamo soltanto due precedenti che si avvicinano al risultato ottenuto da 5Stelle: il 48,43% conseguito dalla Dc il 18 aprile del 1948, e il 40,86% ottenuto dal Pci il 20 giugno del 1976(vedi tabella)
Dall’analisi del voto alle coalizioni si evince il progressivo calo del centro destra e del centro sinistra e l’affermarsi di un nuovo soggetto: il Movimento 5 Stelle.
Nel 1994 le due principali coalizioni (Progressisti e Casa della Libertà) totalizzarono l’87,05% dei consensi, mentre la terza (il Patto tra Segni, Popolari, PRI e indipendenti) si fermò all’8,76%.
Nel 1996, il 97,55% dei votanti indirizzò le proprie preferenze verse le coalizioni maggiori (Ulivo e Polo delle Libertà).
Nel 2006, la tendenza si rafforzò perché l’Unione di Romano Prodi e la Casa delle Libertà di Silvio Berlusconi insieme rastrellarono il 99,77% dei consensi. Nel 2008, il centro sinistra di Veltroni e il centro destra dell’ex cavaliere, per effetto della presenza della Lista Arcobaleno a sinistra e della lista dell’Udc al centro, persero complessivamente il 12,64%.
Nelle elezioni del 2013, la coalizione capeggiata da Bersani e quella guidata da Berlusconi rappresentarono poco più del 60% dei votanti, calo attribuibile, in larga misura, all’ingresso tra i competitori della lista 5 Stelle, dell’Alleanza montiana di Centro e della lista Ingroia a sinistra ma anche, sebbene soltanto in maniera marginale, alla contrazione dei votanti rispetto al 2008.
Nel 2018 lo straordinario successo dei pentastellati (52,44%) ha relegato le due coalizioni complessivamente al 39,93%, con un distacco pari al 12,51%.
Nel comune partenopeo, i candidati del Movimento hanno raccolto, come si è già rilevato, complessivamente oltre il 50% dei voti validi, conquistando i quattro collegi uninominali della Camera in cui è divisa la città. Confrontando questo dato con quello del 2013, l’avanzata del M5S è particolarmente clamorosa: ha guadagnato 122.885 voti e in termini percentuali il balzo è stato del 27,89%.
In 3 dei collegi uninominali della Camera i candidati di 5 Stelle hanno distanziato il secondo arrivato di alcune decine di punti percentuali:
1) a Napoli Vomero-San Carlo all’ Arena il rappresentante dei 5 Stelle ha ottenuto il 48,02%, mentre il candidato del centro sinistra, arrivato secondo, si è fermato al 21,57%;
2) a Napoli –Ponticelli il candidato 5 Stelle si è attestato al 62,10%, superando il secondo arrivato(centro-destra) di 41 punti percentuali;
3) a Napoli-San Lorenzo il candidato 5 Stelle ha ottenuto il 43% e ha sconfitto il miglior perdente (centro destra) che ha raccolto il 26,72%;
4) a Napoli-Fuorigrotta, Roberto Fico ha vinto con il 57,58%, con 37,41punti percentuali sul secondo arrivato (centro destra).
Nel collegio plurinominale(proporzionale) Campania 1-02, corrispondente all’intera città di Napoli il Movimento 5 Stelle, come si è detto, si attesta al 52,44%.
Nel valutare questo dato bisogna tener presente, inoltre, che nelle elezioni tenutesi successivamente al 2013 (Europee 2014, Regionali 2015 e Comunali 2016) i risultati ottenuti dai pentastellati erano stati buoni nel 2014 e 2015, quando raccolse rispettivamente 84.628 voti, pari al 26,46%, e 70.945 pari al 24,85%, ma decisamente negativi nel 2016, quando il trend di crescita si arrestò (9,66% e 36.959 voti).
Il partito di Di Maio ha superato il 60% in 7 quartieri della periferia Est e Nord della città (Barra, Secondigliano, Pianura, Ponticelli, Scampia, Miano e San Giovanni a Teduccio). In 13 si è attestato tra il 50 ed il 60%( Bagnoli, Fuorigrotta, Chiaiano, Mercato, Stella, San Carlo all’ Arena, San Pietro a Patierno, Piscinola, Vicaria, Pendino, Poggioreale, San Lorenzo e Soccavo), in 4 è tra il 40 e il 50% (Arenella, Avvocata, Montecalvario e Porto), in 5 si attesta sotto il 40%( Vomero, Posillipo, Chiaia, San Ferdinando, San Giuseppe).
Il quartiere dove ha ottenuto la percentuale più bassa è Posillipo con il 27,26%, quello in cui ha raggiunto la percentuale più alta è Barra con il 65,38%.
Nel quartiere Barra, la prevalenza del PCI fu netta dal 1958 sino al 1987; poi, dal 1992 al 2013, primo partito si è affermò il Pds, Ds, Pd.
Nel quartiere Posillipo, vi fu invece, un’egemonia della Democrazia cristiana dal 1948 sino al 1992; dal’94, per 2 elezioni, primo partito fu Alleanza nazionale che, nel 2001 cedette il posto a Forza Italia. Soltanto nel 2006 vi fu una leggera prevalenza del centro sinistra con l’Ulivo. Nel 2008 e 2013 primo partito è risultato il Pdl, mentre nel 2018 ha prevalso il Movimento 5 Stelle con il 27.26%.
Un altro utile confronto per una migliore comprensione dell’andamento delle recenti consultazioni politiche è quello relativo ai risultati registrati in 3 grandi città: Milano, Torino e il capoluogo campano.
Come si evince dalla tabella, il Partito democratico si afferma come primo partito a Milano e Torino, superando sia il Movimento5 Stelle, sia la Lega, anche se con maggiore margine nel capoluogo lombardo: 8.51 punti percentuali di differenza rispetto ai pentastellati e 9.74 punti percentuali rispetto al partito di Matteo Salvini. La distanza è inferiore a Torino, dove il Partito democratico supera il Movimento Stelle di 2.11 e la Lega di 9.39 punti percentuali.
La partecipazione al voto si è attestata, a Milano e Torino, rispettivamente al 73.25% e al 73.22%. Di poco superiore alla media nazionale del 72.93%, mentre a Napoli non è andata oltre il 60,52%, ben 12.41 punti percentuali al di sotto del dato complessivo.
Si conferma, quindi, il divario, ad ogni appuntamento elettorale, della partecipazione dei napoletani alle votazioni rispetto ad altre grandi città. Alle amministrative 2016, ad esempio, al ballottaggio per l’elezione del sindaco, i cittadini che a Napoli si recarono ai seggi furono il 35.97%, mentre a Torino si attestarono al 54.41% e a Milano raggiunsero il 51.80%: 18.44 punti percentuali di differenza con Torino e 15.83% con Milano.
Nelle 3 città prese in considerazione per il confronto, la coalizione guidata dal Partito democratico conquista i maggiori consensi nei quartieri agiati del centro: a Milano il centro sinistra vince in 3 collegi cittadini; a Torino in 2 collegi; a Napoli, come si è visto, la coalizione non ottiene collegi uninominali, ma registra percentuali più alte nei quartieri del Vomero, di Posillipo, di Chiaia
IL VOTO AL PARTITO DEMOCRATICO
Il 4 marzo a Napoli hanno perso voti quasi tutti i partiti, tranne M5 Stelle, Lega, e, in parte molto marginale, la Destra (presente con 2 liste, L’Italia agli italiani e Casapound). Il Partito democratico ha perso 50.083 elettori pari al 44,47% dei consensi raccolti nel 2013, e si è fermato al 14 67% con 62.528 voti.
Le perdite più vistose si registrano nei quartieri della periferia est, della zona nord e della periferia ovest.
A Bagnoli la perdita è di 1.786 voti pari al 53% dei consensi ottenuti nel 2013; a Fuorigrotta il calo è di 5.205 voti pari al 47,20% dei voti ottenuti nel 2013; a Barra la perdita è di 2.784 voti pari al 60,52% dei consensi conquistati nel 2013; a Chiaiano 938 elettori hanno abbandonato i dem, il 40,11% di quelli che lo votarono 5 anni fa. Particolarmente significativo è il voto di Pianura, dove il partito che fu di Renzi perde 3.115 elettori di quei 5.319 che lo votarono nel 2013(pari al 58,56%).
A Chiaia, invece, il Pd va avanti in termini assoluti, guadagnando 135 voti, ed aumentando la percentuale del 3,21%. A Posillipo si verifica lo stesso fenomeno: i dem si attestano al 24,12%, conquistano 150 nuovi elettori e avanzano di quasi 4 punti percentuali. Al Vomero la perdita dei consensi è limitata: 1.687 voti in meno e un arretramento del 3,23%( 21% in meno dei voti realizzati nel 2013).
Nel 2018 il Partito democratico ha subito, rispetto al massimo storico ottenuto nel 2008, una perdita di 20,32 punti percentuali e di 119.724 voti in termini assoluti.
Il Partito Democratico della Sinistra, nel 1992, si attestò al 16.60%,10,15 punti percentuali rispetto al PCI di Natta, che, nel 1987, pur calando nei consensi, era al 26.75%. Il 5.20% di Rifondazione Comunista attenuò la perdita complessiva di voti, dovuta alla sciagurata conclusione dell’esperienza storica e politica del PCI.
Dall’osservazione dell’andamento storico del voto al Pds, Ds, Pd emerge un’iniziale tendenza alla crescita del Pds, attestatosi, come si è detto in precedenza, al 16.60% nel ‘92 e giunto al 26.60% nel ‘94(incremento attribuibile in parte alla vittoria di Bassolino alle elezioni del novembre’93 e al clima favorevole creatosi in città nei confronti della nuova esperienza amministrativa).
Nel ’96 e 2001 si registrò un calo rispettivamente dell’1.10% e del 3.41%, il primo probabilmente dovuto all’incremento dei consensi di Rifondazione comunista, e il secondo in linea con la sconfitta nazionale del centro sinistra in quella consultazione.
Nel 2006, Pds e Margherita, con forze minori del riformismo italiano (liberaldemocratici, cristiano sociali etc.) diedero vito alla lista Uniti nell’Ulivo, che, in Campania, diversamente da quel che accadde in altre regioni fu presente soltanto alla Camera e non al Senato, dove i due principali partiti parteciparono con i propri simboli.
A Napoli, “Uniti nell’Ulivo” raccolse il 33.69%, con una crescita, rispetto al 2001, quando Democrazia e Libertà e Ds erano in 2 liste separate, di 2.67 punti percentuali.
Poi, dopo il 34.99% del 2008, la progressiva perdita di consensi nelle votazioni del 2013 e del 2018.
L’apporto della componente centrista alla coalizione di centro sinistra è stata complessivamente più che modesta. Delle 3 liste, soltanto + Europa(Bonino) riesce a superare, a Napoli città, l’1%, attestandosi all’1.83% con 7.789 voti. Civica Popolare Lorenzin e Italia Europa Insieme raccolgono, rispettivamente, lo 0,31% e 1.323 voti, e lo 0.36% e 1.521 voti.
+ Europa ottiene a Napoli un risultato nettamente inferiore a quello conseguito a Milano e Torino, dove si attesta, rispettivamente, al 7.96% e al 6.63%. Il successo della lista di Emma Bonino a Milano e Torino è attribuibile sia alla sostanziale tenuta del centro sinistra nelle due città, sia al profilo della formazione politica, che ha attratto consensi prevalentemente nei ceti medio borghesi che non hanno voluto dare il proprio consenso al PD renziano.
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IL VOTO ALLA SINISTRA
La sinistra con Liberi e Uguali, Potere al Popolo e Sinistra rivoluzionaria si attesta complessivamente al 6,20%: Leu 13.637 voti pari al 3,20%; Per una Sinistra rivoluzionaria 568 voti 0,13% e Potere al Popolo 12.227 voti pari al 2,87%.
Rispetto al 2013, quando erano presenti Rivoluzione Civile e Sinistra Ecologia e Libertà la perdita è stata di 11.045 voti (il 29,47 degli elettori ha abbandonato le liste di sinistra).
Continua a Napoli il trend negativo delle liste a sinistra del Partito democratico, trend iniziato nel 2008, con la sconfitta dell’Arcobaleno a livello nazionale.
Dal 2006, la perdita di consensi (molto forte nel 2008) si arresta nel 2013, ma l’effimera inversione di tendenza è attribuibile in larga parte a due fattori:
a) l’ampia composizione della lista “Rivoluzione civile”, di cui fa parte anche l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro;
b) la scelta nazionale di Sinistra, Ecologia e Libertà di collocarsi all’interno della coalizione di centro sinistra (con sbarramento al2%, attraendo, in tal modo, settori della sinistra sensibili cosiddetto “voto utile”).
Il 4 marzo 2018, i risultati migliori sono stati ottenuti, in termini percentuali, da Potere al Popolo in alcuni quartieri del centro storico e nella zona collinare: a Porto il 6.21%(punta massima raggiunta in città), a San Giuseppe il 5.81%, a Bagnoli il 4.61%, a Montecalvario il 4.39%, al Vomero il 4.40% e ad Arenella il 4.35%. I risultati più negativi sono stati, invece, quelli della zona nord e della periferia est: Miano 1.09%, Barra 1.35% Ponticelli 1.37%. Piscinola –Marianella 1.58%.
Anche Liberi e Uguali fa registrare un andamento positivo nella zona collinare dove si attesta al 5.82% al Vomero e al 5.80% ad Arenella, nel centro storico è al 5.22% ad Avvocata, a San Giuseppe5.26%. e a Porto al 4.47%. A Bagnoli ottiene il 5.03%, mentre nella periferia est e nella zona nord incontra molte difficoltà.
Le periferie costituiscono per le liste della sinistra, ma anche per il Partito Democratico, un punto di debolezza. Si è spezzata la “connessione sentimentale” tra i quartieri popolari napoletani e le forze che provengono dall’ esperienza del PCI, anche quelle che hanno preso, anche sul piano locale, le distanze dal Pd dopo la disfatta subita nel 2008.
Il voto delle periferie napoletane, negli anni della ricostruzione e del laurismo, fece da argine alla valanga di consensi che, soprattutto alle amministrative, si riversava sulle lista monarchica del Comandante. Dopo la luna parentesi laurina, il PCI riuscì a contrastare la Democrazia Cristiana grazie alla forza che gli veniva conferita dalla cintura rossa di Barra, Ponticelli, San Giovanni a Teduccio, e, ad ovest, da Bagnoli.
Nel 1972, grazie ai risultati ottenuti nei quartieri periferici, il PCI riuscì a tenere testa al Movimento sociale italiano –Destra nazionale (allora in fase nettamente ascendente) che conquistò enormi consensi nel centro di Napoli, a Posillipo, al Vomero e all’ Arenella. Fu quel vasto tessuto democratico a limitare il successo del partito di Almirante, che, in quelle elezioni, aveva candidato come capolista nella circoscrizione Napoli-Caserta, l’ammiraglio Gino Birindelli, già comandante navale Nato del Sud Europa, seguito dal segretario nazionale della Cisnal Gianni Roberti e da Achille Lauro, confluito nel Movimento sociale italiano con il piccolo Partito monarchico.
Negli anni Novanta, dopo Tangentopoli e la scomparsa delle principali forze politiche italiane, il voto delle periferie si è andato al Pds-Ds, ed ha premiato, in misura minore, anche Rifondazione comunista ed i Comunisti italiani: nel 2006, ad esempio, a San Giovanni a Teduccio il Prc era al 9.23% e il Pdci al 4.71%, a Ponticelli, il Prc era al 9.34% e il Pdci al 3.47%; a Barra, il Prc era all’8.58% e il Pdci al 3.37%. I due partiti comunisti, insieme, si attestavano altre il 10%.
Dal 2008, come si è detto in precedenza, l’andamento ha subito una netta inversione, con una perdita progressiva dei consensi, accentuatasi nelle due ultime consultazioni politiche.
Nella tabella sottostante è riportato l’andamento del voto napoletano alla sinistra dal 1992 sino alle elezioni del 4 marzo.
IL VOTO AL CENTRO DESTRA
Il centro destra perde, rispetto al 2013, complessivamente 39.588 voti.
Nel 2013, 9 liste componevano la coalizione berlusconiana: di queste, 6 (che raccolsero complessivamente 14.299 voti) non hanno partecipato alle recenti consultazioni politiche.
La Destra di Storace, sciolta nel 2017 nel Movimento Nazionale Sovranista fondato con Gianni Alemanno, ha presentato propri candidati nella Lega di Salvini, in larga parte al Sud; tale alleanza, ha favorito, in concomitanza con altri fattori, al discreto risultato ottenuto a Napoli da questa lista.
Forza Italia perde 42.675 voti, il 37,89% dei consensi raccolti nel 2013.
Le 4 liste di Centro, di cui 3 coalizzate con il Pd, e 1 con il centro destra raccolgono complessivamente 14.716 voti, con una perdita, rispetto a 5 anni fa, di 29.112 voti.
IL VOTO A FRATELLI D’ITALIA, ALLA LEGA E NOI CON L’ITALIA-UDC
Le 3 formazioni minori del centro destra hanno ottenuto insieme il 6.35% dei voti validi (in valori assoluti 27.055) che, aggiunto al 16.41% di Forza Italia, ha portato il risultato complessivo del centro destra al 22.76%, collocandolo di 5.59 punti percentuali al di sopra del centro sinistra.
Fratelli d’Italia migliora leggermente la sua posizione rispetto al 2013, sia in percentuale sia in termini assoluti: passa, infatti, dal 2,01% al 2.80%, con una crescita di 2.912 voti. La Lega di Salvini aumenta sensibilmente i propri consensi rispetto a quelli di 5 anni fa( furono appena 637,pari allo 0,14%,)attestandosi al 2.59% con 11.028 voti .La formazione di centro Noi con l’Italia Udc-nata dalla fusione di spezzoni dei partiti centristi variamente collocatisi nel corso della XVII legislatura- ha ottenuto un risultato molto modesto,4.083 voti pari allo 0.96%, rispetto a quello conseguito da Intesa Popolare e Mpa Grande Sud che si attestarono rispettivamente allo 0.14% ,631 voti, e all’1.26%,5.592 voti ,complessivamente l’1.40% e 6.223 consensi.
QUALCHE OSSERVAZIONE SUI FLUSSI A NAPOLI
Vediamo adesso alcuni flussi elettorali. L’analisi degli spostamenti di voti tra partiti è molto delicata e complessa e va condotta con metodo scientifico. Come è noto, alcuni centri di studi elettorali analizzano i dati città per città, partendo dai seggi di alcuni quartieri per giungere, poi, a conclusioni che possano avere un valido fondamento.
Per quanto riguarda Napoli, l’Istituto Cattaneo ha preso in esame due collegi: Napoli 5(San Carlo all’Arena, Vomero, Arenella, Piscinola Marianella e Miano) e Napoli 6(Barra, Poggioreale, Ponticelli, San Giovanni a Teduccio, San Pietro a Patierno, Scampia, Secondigliano e Vicaria).
I valori dei movimenti di voto sono stati calcolati sul totale del corpo elettorale, includendo, quindi, gli astenuti, chi ha votato scheda bianca o nulla.
Nel collegio di Napoli 5, secondo le stime dei ricercatori del Cattaneo, il Movimento 5 Stelle riceve l’1,3% dei consensi ottenuti dagli ex elettori di Rivoluzione civile (2.419 voti), il 3,6% dal Pd (6.669), il 6,8% dal Pdl (12.654), il 12,4% (23.075) da 5Stelle, lo 0,5% (930) da altri e il 5,8% dall’area del non voto(10.793). Il partito democratico non riceve voti dal Pdl e da 5 Stelle e il suo elettorato risulta composto da 13.212 elettori che nella precedente consultazione avevano votato i dem, da elettori provenienti da Sel 1,7 % (3.163) e da elettori provenienti da Scelta civica3,70%8 (6.885).
Nel collegio di Napoli 6 il Movimento 5 Stelle riceve lo 0,6% da Rivoluzione civile (1.178 voti),1,6% da Sel (3.143 voti), il 5,9% dal Pd (11.591 voti), il 10,4 da 5Stelle (20.431 voti), il 5,2% dal Pdl(6.286voti), da altri lo 0, 6%(1.178 voti) e 24.164 voti dall’area del non voto. Il Pd riceve voti da elettori dem del 2013 9.233 voti, da Scelta civica 1.1375 e da 5 Stelle 1.375, nessun flusso in entrata dal Pdl.
Secondo il Cise (Centro italiani studi elettorali) quote rilevanti e simili di tutti i bacini elettorali del 2013 si sono riversate sul M5S lo scorso 4 marzo. In particolare, hanno scelto il Movimento un quinto di quanti avevano allora votato la coalizione guidata da Bersani (27.015 elettori), un quinto di quanti avevano scelto i partiti del centrodestra cinque anni fa(27.317), e un quinto di coloro che non avevano votato nel 2013(58.965). L’unica eccezione è l’elettorato di Monti, per il quale il voto al Movimento non è stata una opzione.
Anche in virtù di forti defezioni verso il non voto, i tassi di fedeltà per gli elettorati delle due ex poli del bipolarismo italiano non raggiungono il 50%: 49% per il centrodestra, addirittura il 39% per il centrosinistra.
Il centrosinistra 2018 è stato più appetibile per l’elettorato 2013 di Monti (il 43% lo ha votato, contro il 36% che ha scelto il centrodestra), di quanto non lo sia stato per chi cinque anni fa votò Bersani.
CONCLUSIONI
L’esito del voto del 4 marzo ci ha consegnato un Italia profondamente divisa e spaccata, in cui i ceti popolari, come i dati elettorali ampiamente dimostrano, hanno affidato le loro speranze alla Lega di Matteo Salvini e ai 5 Stelle di Luigi Di Maio, due formazioni politiche che insieme hanno sfiorato il 50% dei votanti, mentre il voto moderato si è indirizzato prevalentemente verso il Partito democratico e Forza Italia.
Come si è osservato in precedenza, l’esito delle votazioni ha sconvolto vecchi equilibri, ha prodotto un nuovo quadro, ma non ha indicato una strada da percorrere. Molti commentatori sostengono che la situazione determinatasi sia attribuibile al ritorno ad un sistema prevalentemente proporzionale. Ma le cose non stanno affatto così, perché il Rosatellum ha escluso dal riparto dei seggi le liste, coalizzate e non coalizzate, che non hanno raggiunto il 3%, inoltre, nei collegi uninominali, si è votato con il sistema maggioritario e sono risultati eletti i candidati che hanno superato gli avversari anche soltanto per un numero limitato di consensi.
La situazione di stallo prodottasi che, a quasi 2 mesi dal voto, ha reso problematica la formazione di un governo dipende in larga misura dall’ assenza, ormai da troppo tempo, di partiti seriamente radicati nei territori, da una partecipazione alla vita politica sempre più debole, asfittica e superficiale, dalla mancanza di un vero confronto sui temi dell’economia e della crescita civile e sociale del Paese.
Occorre una riflessione profonda da parte di tutte le componenti della sinistra che sono andate incontro ad una sconfitta bruciante, ma occorre, in questa fase, l’iniziativa politica dei comunisti, la loro presenza nei luoghi del conflitto.
*segretario Pci di Napoli
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Nicola Vetrano
Pubblico l’articolo, citando la fonte, Contropiano, e l’autore, Antonio Frattasi, su Nicola scrive, il mio blog