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I 43 studenti di Ayotzinapa, simbolo del Messico dei desaparecidos

Quattro anni fa il massacro dei 43 studenti della scuola rurale di Ayotzinapa nella città di Iguala, nello stato messicano del Guerrero. Polizia locale, polizia federale e narcos in azione congiunta con il 27esimo battaglione dell’esercito messicano di stanza a Iguala assaltarono gli studenti della Escuela Normal Rural Raúl Isidro Burgos, uccidendone sei, ferendone venti e facendone scomparire quarantatre, tutt’ora desaparecidos.

Le autorità, dopo avere attenzionato gli studenti nel pomeriggio, tra le 21 e l’ una di notte del 26 settembre, per oltre 4 ore, svolsero una vera e propria caccia all’uomo avvalendosi dei corpi speciali paramilitari – i così detti “bélicos”- e di gruppi di criminali legati al narcotraffico per compiere il massacro. Su 43 studenti, ad oggi, solo uno di loro, Alexander Mora, è stato identificato.

Per il giornalista messicano Luis Hernàndez Navarro “di giorno i criminali lavorano in uniforme e di notte in abiti civili”, riferendosi alle squadracce congiunte di narcotrafficanti e poliziotti che massacrarono i normalistas della Federación de Estudiantes Campesinos Socialistas de México, con l’avallo del sindaco e del governatore dello stato del Guerrero, ambedue esponenti Partido de la Revolución Democratica (PRD) i quali si avvalsero della complicità delle più alte cariche dello Stato messicano.

Ma perchè quell’agguato a degli studenti inermi di ritorno da una colletta di autofinanziamento per poter partecipare alla marcia in ricordo della strage di Tlatelolco del 2 ottobre 1968?

Lo stato del Guerrero è stato il primo luogo dell’America Latina ad inaugurare quell’atroce pratica dei voli della morte che fu poi attuata massicciamente dalla dittatura militare argentina. Dopo il massacro dei normalistas, Iguala è stata definita la capitale del “fascismo alla messicana” in cui narcos,  partiti politici istituzionali (Partido Revolucionario Institucional e Partido Acción Nacional) ed oligarchia finanziaria costituiscono un tutt’uno.

Enrique Peña Nieto aveva iniziato la sua campagna elettorale nel periodo della contestazione del movimento studentesco #YoSoy132. Gli studenti imputavano a Peña Nieto la responsabilità della violenta repressione scatenata contro la gente di Atenco, avvenuta nel 2006  che si era mobilitata contro la ostruzione del nuovo aeroporto di Città del Messico, quando Peña Nieto rivestiva la carica di governatore. Il 1° dicembre 2012 vi fu una massiccia protesta studentesca contro la sua elezione appoggiata dalle principali televisioni del paese. Nei confronti delle organizzazioni studentesche Peña Nieto scatenò una violenta repressione in seguito allo sciopero dell’Instituto Politécnico Nacional contro la riforma dell’istruzione che si sommò alle numerose proteste studentesche che chiedevano giustizia per i desaparecidos di Iguala, oltre che contro la Reforma Educativa.

La Procura Generale ha sempre negato le responsabilità del 27esimo battaglione militare di Iguala e dell’esercito nel Guerrero che potrebbe aver fatto sparire gli studenti nei forni crematori di cui incredibilmente ancora  dispone. Esperti internazionali, giornalisti ed attivisti messicani hanno fatto a pezzi la versione ufficiale che sostiene che i 43 sono stati rapiti e bruciati da narcotrafficanti nella discarica di Cocula, nei pressi di Iguala. Le geolocalizzazioni dei cellulari indicano che gli studenti sono stati trasportati in strutture militari come il campo n. 1 a Città del Messico.

Il primo processo è stato annullato perché viziato da irregolarità, dalle ripetute torture ai detenuti e dalla evidente mala fede nella conduzione delle indagini.  Il 30 maggio 2018 in esito ad un nuovo processo avviato in seguito ai ricorsi presentati dai detenuti per il caso Iguala, è stata emessa una sentenza storica in cui sono state ammesse le irregolarità commesse e con cui è stata richiesta la costituzione di una Commissione di Indagine per la Verità e  la Giustizia e la possibilità di un intervento dell’ONU, della Corte Interamericana dei Diritti Umani e del gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti che già aveva demolito la verità ufficiale tra il 2015 e il 2016.

Ma Ayotzinapa non è stato affatto un caso isolato. Il Messico è il paese dei desaparecidos: 37.000 scomparsi tra il 2006 ed il 2018 durante la guerra sporca condotta da Peña Nieto contro il popolo messicano. Un numero superiore a quelli causati dalle dittature argentine e cilene degli anni Settanta. Per i familiari delle vittime la maggior parte di questi crimini sono stati compiuti dai narcos ma quasi sempre in combutta con le autorità locali e con la complicità attiva delle forze di polizia. I comitati dei parenti delle vittime, dopo numerose mobilitazioni, hanno costretto, nel 2017, il governo ad ammettere la cifra spaventosa di 32.318 persone desaparecidos.  

Un dato suffragato dalle ricerche, dai dati e dalle testimonianze raccolte/i dagli attivisti, dai giornalisti e dagli accademici che hanno dato vita in questi anni ad un vasto movimento di sensibilizzazione e che hanno così descritto la situazione del Messico:”Per la comunità internazionale il Messico è un paese democratico con un governo legittimamente eletto. È solo un travestimento che nasconde, in maniera neanche troppo velata, sparizioni forzate, pratiche di tortura, complicità fra criminalità organizzata e governo. Oggi possiamo affermare che la “desaparición forzada” è stata una pratica usata in maniera sistematica dallo Stato». Dunque, ogni sparizione non è mai stata un evento casuale e isolato ma è inserita in una strategia articolata di controllo sociale. In ogni sparizione c’è stato l’intervento dello Stato colluso con i cartelli della droga che ha coperto ed addirittura fornito il proprio sostegno logistico e operativo alle sparizioni forzate.

Dalle ricerche indipendenti è emerso che molti desaparecidos messicani prima di essere fatti sparire sono stati sequestrati dai cartelli della droga e rinchiusi in una delle cosiddette “casas de seguridad”  che sono veri e propri campi di concentramento  di cui è disseminato tutto il territorio messicano e che sono organizzati secondo una rigida e funzionale struttura che serve ai narcos per scopi diversi quali sequestrare ingegneri, elettricisti o persone che conoscono più di una lingua, schiavizzarli e dove organizzano il traffico di esseri umani o di organi.  Ma molto spesso è l’esercito stesso o la polizia a sequestrare e consegnare ai cartelli della droga le persone sequestrate da utilizzare come  manodopera da schiavizzare. In questi centri di detenzione clandestini, le persone sequestate vengono sistematicamente torturate ed infine assassinate con l’occultamento delle salme in fosse comuni oppure mediante la cremazione.

«Incontriamo resti di ossa, crani, femori», raccontano i familiari che cercano, scavando a mani nude, quel che resta dei corpi dei desaparecidos e a ogni frammento riescono poi a dare un nome grazie alla prova del dna. Le famiglie che si auto organizzano e riescono a a trovare le prove vengono sistematicamente minacciate di morte. Una delle ultime vittime di questa rappresaglia è stata Miriam Elizabeth Rodríguez Martínez, uccisa nel maggio 2017. Miriam dirigeva un collettivo di familiari a San Fernando e stava cercando la figlia sparita qualche tempo prima. Aveva appena scoperto e denunciato tutte le connessioni tra sparizioni, narcos ed istituzioni locali.

Attualmente in Messico ci sono oltre 22.000 corpi non identificati nelle fosse comuni del servizio medico forense. La Commissione per i Diritti Umani ha registrato la presenza di 1.306 fosse clandestine con circa 4.000 corpi sepolti dentro. Il nuovo presidente Andrés Manuel López Obrador, ha promesso la creazione di  una Commissione Nazionale sulle sparizioni e  la risoluzione del caso in un comizio proprio ad Iguala al quale hanno partecipato sul palco i genitori dei 43 desaparecidos.

La sparizione forzata  è stata riconosciuta come “crimine contro l’umanità” dall’articolo 7 dello Statuto di Roma del 17 luglio 1998 per la costituzione del  Tribunale Penale Internazionale e dalla risoluzione dell’ONU numero 47/133 del 18 dicembre 1992.

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