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“La Galizia è una colonia, dal punto di vista psicologico ma anche economico”

Pubblichiamo questa Intervista di Albert Botran, storico e saggista catalano, eletto nelle file della CUP al Congresso; e a Rubén Cela, membro dell’Esecutivo Nazionale del Bloque Nacionalista Galego (BNG) e Presidente della Fondazione Galizia Sempre.

L’intervista è un ampio excursus del percorso dell’indipendentismo galego e della sua strategia complessiva, oltre che dare un giudizio sulle recenti dinamiche elettorali.

Al di là delle specificità storiche ci sembra estremamente interessante la stratificazione dell’intervento “a fronti”, il ruolo rivestito dal sindacalismo combattivo della Confederacion Intersindacal Gallega (CIG) – aderente alla FSM – e la critica alla UE che va al cuore della polarizzazione del rapporto tra centro/periferia sviluppato dall’Unione.

Noi combattiamo contro la NATO. E l’Ue non è mai stata vista come lo spazio della libertà e della giustizia sociale, ma come la concretizzazione del capitalismo in una fase di globalizzazione, in uno spazio concreto, per costruire un ampio mercato. Ciò che prevarrà sempre sarà il traffico di merci e l’unità monetaria. Il tempo ci ha dato ragione. Siamo stati molto critici nei confronti dell’ingresso della Spagna nell’UE, compreso Maastricht, abbiamo condotto una grande campagna contro il Trattato di Lisbona … abbiamo sempre capito che si tratta di uno strumento al servizio delle oligarchie economiche del centro dell’Europa e che avrebbe avuto conseguenze negative per una nazione periferica come la nostra. Il ruolo periferico della Galizia in Spagna è già terribile, ma ancora di più all’interno dell’UE

Le elezioni “regionali” che si sono svolte il 12 luglio in Spagna, in due Comunità Autonome: Paesi Baschi e Galizia hanno confermato la leadership dei partiti che governano a livello locale – rispettivamente il PNV e il PP – l’exploit delle formazioni della sinistra indipendentista basca e galega, la scomparsa di fatto delle articolazioni regionali di Podemos, che addirittura è fuori dall’assemblea regionale in Galizia, e la crisi della “destra liberista” di “Ciudadans”, oltre al peso marginale dell’estrema destra di “Vox” a livello di consenso popolare.

Sulle elezioni nella CAV basca abbiamo pubblicato in precedenza un intervento dell’organizzazione marxista-leninista basca Herri Gorri http://lnx.retedeicomunisti.net/2020/07/23/chi-vince-alle-elezioni-della-comunita-autonoma-basca/.

In Galizia il voto ha confermato Alberto Núñez Feijóo del Partito Popolare che per la quarta volta consecutiva ottiene quasi il 48% e 41 seggi su 75 sociali, assicurando alla storica formazione di “centro-destra” una solida maggioranza in regione e una ottima base di partenza per contestare la leadership di Pablo Casado.

Il BNG passa da 6 a 19 seggi, divenendo il maggior partito di opposizione e conquistando quasi un quarto dei consensi contro il poco più dell’8% del 2016, superando i socialisti che conquistano solo 15 seggi e “scalzando” Podemos che nella declinazione di “En Marea” aveva ottenuto in precedenza quasi il 19% e meno del 4% oggi.

Il voto, caratterizzato da una astensione elevatissima, conferma la strategia organizzativa della sinistra indipendentista galega che ha posto al centro le rivendicazioni di giustizia sociale complessiva (includendo la parità di genere, ecologia e questione giovanile sono state alcuni dei focus principali) senza rimuovere la questione dell’indipendenza nazionale.

Con la guida di Ana Pontón – divenuta portavoce nel 2016 – il BNG fa il pieno di consensi tra i giovani divenendo la formazione più votata fino ai 25 anni con il 24% di intenzioni di voto secondo un indagine pre-elettorale del CIS, citata dal quotidiano “El País”.

Un risultato dovuto anche al protagonismo dell’organizzazione giovanile “Galiza Nova” che vede entrare nelle file dei deputati regionali alcuni suoi “storici” militanti.

Il BGN può vantare un “capitale” di governo locale relativamente esteso con una trentina di comuni, e co-governa con presidenti socialisti tre delle quattro “diputaciones”.

La formazione ha maturato una profonda auto-critica della sua precedente esperienza di governo regionale con i socialisti, come appare anche nell’intervista.

Mentre Podemos non si è “radicata” nonostante i successi elettorali, la traiettoria del BNG è stata specularmente diversa: nonostante le precedenti sconfitte elettorali ha continuato a radicarsi.

Come ha spiegato la politologa Berta Barber, editorialista di Politikon: “la struttura territoriale non ti permette di vincere le elezioni, però ti permette di cadere in piedi”.

Il BNG è un partito che ha una strategia precisa, l’orizzonte di “una nueva Galicia”, ed una vocazione maggioritaria ed egemonica aspirando a governare tra 4 anni la regione, con un progetto che coniuga la giustizia sociale con un “nazionalismo inclusivo” che da la priorità alla difesa del proprio blocco sociale.

Podemos è un “marchio elettorale” che ha dato la priorità nelle scelte di fondo alla Realpolitik della sua alleanza di governo a Madrid con i socialisti di Pedro Sánchez.

L’esempio paradigmatico è il caso di Alexandra Fernández che nel febbraio del 2019 ha votato contro il suo gruppo parlamentare al Congresso votando contro il progetto del Presupuestos Generale del Estato che prevedeva un taglio del 20% di fondi alla Galizia, votata dal resto da Unidos Podemos. Abbandonò il Congresso poco dopo e decise di candidarsi in queste elezioni con il BNG diventando deputata.

Buona lettura

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A seguito dei risultati delle elezioni regionali galiziane e basche, la mappa politica dello Stato Spagnolo è stata decisamente alterata, dando un rilievo senza precedenti alle sinistre sovraniste come la BNG e l’EHBildu. Dopo il fallimento generalizzato della sinistra centralista, la possibilità di una trasformazione sociale e di un cambiamento politico dello Stato richiede e necessita l’articolazione e la comprensione reciproca tra le forze sovraniste di sinistra.

Questa pubblicazione è una traduzione in spagnolo [in italiano, ndt] della versione pubblicata in catalano dell’intervista apparsa sulla rivista Catarsis.


Nei Paesi Catalani, l’indipendentismo basco è ben conosciuto da sempre; quello galiziano invece è una grande incognita. Per iniziare questa intervista, potrebbe dirci brevemente qualcosa sulla storia del movimento galiziano e sull’origine del BNG?

La tradizione del movimento nazionale in Galizia, proprio come quello catalano, ha radici profonde, risalenti a secoli fa. Con precursori come Rosalía de Castro, Manuel Murguía, finirà per prendere forma, all’inizio del XX secolo, in un movimento già propriamente politico con le Irmandades de Fala e il Partido Galeguista.

Il colpo di Stato del 1936 iniziò proprio il giorno in cui lo Statuto approvato dal popolo galiziano doveva essere discusso in Parlamento. A differenza di Euskal Herria e dei Paesi Catalani, la Galizia è stata un fronte della guerra civile, ma con il trionfo del colpo di stato iniziò un periodo di terrore.

Tutti i sindaci del Partido Galeguista furono fucilati, a cominciare dal sindaco di Santiago, Ánxel Casal. Castelao e altri leader galiziani andarono in esilio in Sud America, soprattutto in Argentina.

Il Partido Galeguista era molto ben organizzato e vantava militanti come Alexandre Bóveda, Vicente Risco o Castelao, personaggi brillanti e irripetibili. Ma la repressione e la dittatura furono la causa di una rottura: nel 1964, furono fondati l’Unión do Povo Galego, un partito marxista-leninista, e il Partito socialista galiziano.

L’UPG fu creato primariamente da giovani e dal “nulla”, e a differenza di altri movimenti comunisti, non era affatto eurocentrica: guardava più ai processi di liberazione nazionale (Cuba, Angola, Libia, Vietnam…) che all’URSS.

Bautista Álvarez, che è stato presidente dell’UPG per molti anni, ha detto spesso di aver bevuto da due fonti: Castelao e Marx. Ma sempre in quest’ordine. La lotta di classe in una nazione oppressa come la nostra si concretizza necessariamente in movimenti di liberazione nazionale. Questa è la contraddizione principale: la questione sociale non può essere dissociata dalla questione nazionale.

Per capire tutto ciò che accadrà in seguito, dobbiamo ben capire il principio dell’auto-organizzazione: per noi vuol dire non organizzarsi in partiti, sindacati o piattaforme “di portata spagnola”. Perché in ciò che dipende solo da te, agisci già come una nazione libera, è già un rivendicare la tua autodeterminazione. Ed è per questo che dal nulla sono nate entità e organizzazioni galiziane come i partiti, i sindacati dei lavoratori e i sindacati agricoli.

Queste sono alcune delle poche strutture di Stato che il Paese possiede. Visto dal punto di vista contemporaneo tutto ciò sembra poca roba, ma gli anni Settanta furono una grande battaglia, soprattutto contro il PCE. Molti tra gli studenti rivoluzionari galiziani, per esempio, venivano fischiati mentre parlavano in galiziano nelle assemblee, da quelli per cui “il nazionalismo è un fatto piccolo-borghese”.

Nel 1982 è stato creato il Bloque, seguendo uno schema “a fronte” che per l’epoca era molto innovativo. Plurale ideologicamente ma con un comune denominatore: la Galizia è una nazione e ha diritto all’autodeterminazione. Ci sono indipendentisti e altri che non lo sono; marxisti e altri che non lo sono. Le organizzazioni politiche e la militanza individuale coesistono.

Nella fase iniziale i collettivi avevano più peso, ma oggi la maggior parte della militanza è solo quella della BNG. Storicamente, oltre all’UPG, hanno fatto parte del Bloque organizzazioni come il Movimento Comunista e la Lega Comunista Rivoluzionaria (insieme, nel collettivo Inzar); il Partito Nazionalista Galiziano; persone socialiste che non volevano aderire al PSOE, ecc. All’interno del Bloque è stata creata anche una corrente, Esquerda Nacionalista.

Questo modello è servito da riferimento per altre organizzazioni, come il Bloco de Esquerda in Portogallo. Si potrebbe dire che nel già 1982 abbiamo fatto quello che Bildu ha fatto anni dopo.

La componente sociale del nazionalismo galiziano è diversa da quella catalana in Catalogna, più simile a quella della Valencia. Non esiste una borghesia galiziana, siete d’accordo?

La Galizia è una colonia. Questa terminologia può stupire, ma sono sempre più convinto che sia appropriata. Quando ho letto per la prima volta “Ritratto del colonizzato e del colonizzatore” di Albert Memmi ho detto: questo è il mio paese.

Da un punto di vista psicologico (è il caso dell’odio che si prova per se stessi) ma anche economico: siamo un paese con risorse, materie prime, ha una lingua che potrebbe metterti in contatto con una comunità di oltre 200 milioni di parlanti… ma che è povero. Forniamo manodopera a basso costo (come l’Irlanda all’epoca, siamo un paese di emigrazione) e materie prime a basso costo: soprattutto energia, ma anche le grandi piantagioni di eucalipto per l’industria della carta ENCE.

In questo momento stiamo difendendo con tutte le nostre forze i lavoratori del gruppo Alcoa, ma questo non ci impedisce di essere molto critici nei confronti del modello di industrie-enclave che questo tipo di produzione rappresenta: i processi più contaminanti sono stanziati qui da noi, il plusvalore che si genera se ne va in altri luoghi e la ricchezza direttamente all’estero.

In Galizia non c’è una borghesia indigena, la comunità imprenditoriale è straniera. La difesa del paese, che piaccia o no, è popolare. Non c’è un’élite che possa difendere il paese. Quando ho letto la biografia di Jordi Pujol mi ha divertito il contrasto tra il nostro concetto di auto-organizzazione e il suo, perché anche lui pensava in termini di strutture statali, ma mentre noi decidevamo che avevamo bisogno di un sindacato di classe, un sindacato agricolo, un’organizzazione studentesca …

Pujol cercò di creare una banca, una chiesa catalana che fosse direttamente collegata al Vaticano, uno studio universitario. E questa componente sociale influisce sul prestigio della lingua, naturalmente.

Non si può capire la diglossia senza considerare la componente di classe. La mia famiglia per esempio è catalana: i miei zii vedevano bene che i medici o gli avvocati parlavano catalano, mentre erano gli immigrati, i “currelas”, quelli che non lo conoscevano. Conoscere il catalano significava prestigio sociale.

Il caso della Galizia è l’opposto: i miei genitori, galiziani monolingui, hanno fatto un grande sforzo per farmi imparare lo spagnolo. Quando ho iniziato a parlare galiziano, però, mia madre era molto turbata. E ho avuto una discussione ai limiti dell’assurdo con mio padre: mi ha difeso che il galiziano non dovrebbe essere insegnato nelle scuole… ma lo ha fatto parlando in galiziano, naturalmente.

Questo aspetto è solo una parte del più generale processo di spagnolizzazione.

Qui i galiziani monolingui, per esempio quelli della zona rurale, quando vanno dal medico cercano di parlare in spagnolo. E l’altro elemento chiave è che non abbiamo avuto, con l’autonomia, un sistema di immersione linguistica nelle scuole, a differenza dei Paesi Baschi e della Catalogna.

Uno dei settori in cui il nazionalismo ha messo radici è il sindacalismo. Poche persone al di fuori della Galizia sanno che la CIG [Confederacion Intersindacal Gallega, fa parte della FSM] è la forza sindacale trainante in termini di membri e delegati. Il fronte sindacale, quello dei lavoratori, è sempre stato essenziale, anche se non è mai stato facile, la nascita della CIG è stata una nascita difficile. Ma oggi è l’organizzazione sindacale più potente e, per darvi un’idea, ha 80.000 membri in un Paese che non raggiunge i 3 milioni.

Ci sono settori, come l’istruzione, in cui è ultra-maggioritaria. Ma soprattutto quello che la CIG ha è un grande prestigio sociale: se hai un conflitto di lavoro incasinato, tutti sanno che sono quelli a cui devi chiedere.

Al di là delle preferenze politiche di qualcuno (e questo spesso ci sorprende) la gente sa che la CIG è quella che non avrà mai un atteggiamento pacifico, quella che non ti deluderà mai. Ha un impatto positivo sui risultati del GNB [Consiglio della Comunità della Galizia].

In queste elezioni, per esempio, abbiamo potuto vederlo bene nella zona di La Mariña, dove non abbiamo una grande presenza nei municipi, ma con la lotta di Alcoa siamo cresciuti fino a raggiungere il 35% dei voti. Anche a O Grove, dove abbiamo vinto le elezioni. Il CCOO e l’UGT non si sono guadagnati un grande prestigio, e questo per la loro pratica sindacale, per il loro pacifismo.

Un’altra questione poco conosciuta è che il BNG e tutto il nazionalismo galiziano sono sempre stati esplicitamente contro l’UE.

È legato a uno dei principi del Blocco: l’antimperialismo. Noi combattiamo contro la NATO. E l’Ue non è mai stata vista come lo spazio della libertà e della giustizia sociale, ma come la concretizzazione del capitalismo in una fase di globalizzazione, in uno spazio concreto, per costruire un ampio mercato. Ciò che prevarrà sempre sarà il traffico di merci e l’unità monetaria.

Il tempo ci ha dato ragione. Siamo stati molto critici nei confronti dell’ingresso della Spagna nell’UE, compreso Maastricht, abbiamo condotto una grande campagna contro il Trattato di Lisbona … abbiamo sempre capito che si tratta di uno strumento al servizio delle oligarchie economiche del centro dell’Europa e che avrebbe avuto conseguenze negative per una nazione periferica come la nostra.

Il ruolo periferico della Galizia in Spagna è già terribile, ma ancora di più all’interno dell’UE. La PAC è stata letale per una potenza come era la Galizia in termini di produzione di latte o di pesca (non prendendo in considerazione il settore delle conserve). E, inoltre, le politiche di riconversione industriale: ci hanno relegato a porti per le navi militari, non è possibile sviluppare il settore delle navi civili.

Naturalmente sono arrivati anche i fondi di coesione, ma sono stati gestiti male, non sono stati investiti in ricerca e sviluppo. Nonostante questi fondi quindi, il risultato netto è disastroso.

Infine, dobbiamo tenere presente che l’UE è un club di Stati e che si proteggono a vicenda. La questione catalana è stata chiara. Ci sono state persone che hanno teorizzato che “più Europa” sarebbe stata “meno Spagna”, e questo si è dimostrato sbagliato.

Ora guardiamo al presente e parliamo delle ultime elezioni: perché il PP continua a vincere in Galizia?

Per il pubblico catalano va detto che il PP in Galizia ha poco a che fare con il PP nel resto della Spagna. Potrebbe assomigliare, semmai, al PP delle Baleari. I leader, come Feijóo, non sono per nulla diversi da Casado: neoliberali e centralisti.

Ma la sua base sociale non è tale, ed è per questo che tatticamente cercano di assomigliare il meno possibile al PP spagnolo. Per esempio, nascondono l’acronimo o hanno fatto in modo che Casado in quest’ultima campagna non sia passato per la Galizia. Hanno una rete di clientele e un controllo dei media che, nel caso dei media pubblici, diventa totalizzante. E quelle private non sono migliori. E così creano un’opinione pubblica a loro favorevole. Questa è un’altra differenza rispetto alla Catalogna o ai Paesi Baschi.

Nel caso di queste elezioni, per esempio, ciò che è stato valorizzato è stata la contingenza dell’epidemia, non quanto accaduto negli ultimi quattro anni. E qui dobbiamo notare che Feijóo ha annullato le elezioni, ma non la campagna elettorale: ogni giorno era in prima serata sulla TVG ma, senza il Parlamento, non c’era controllo su quello che faceva.

E poi ha saputo anche approfittare di un’idea forte, che è la seguente: considerando che l’epidemia continuerà e che si dovranno prendere decisioni, quale opzione tra le due preferite: un governo con esperienza, che governerà dal minuto zero, o un governo di neofiti, che si batteranno tra loro e in cui ci vorrà tempo per avviare l’azione politica?

L’ultima volta che c’è stata un’alternativa al PP è stato nel 2005-2009, con l’alleanza di governo tra il PSOE e il BNG. Qual è la sua valutazione di quel periodo? Quali sono stati i problemi, i limiti? Perché il BNG ha perso così tanti voti dopo?

(ride) … È una domanda complicata. Penso che sia stato, obiettivamente e di gran lunga, il miglior governo che questo Paese abbia mai avuto. Questo non vuol dire che non siano stati commessi grossi errori. Il primo è confondere l’avere il governo con l’avere il potere.

Per i poteri reali siamo stati degli abusivi all’interno della loro proprietà privata. Le potenze economiche e mediatiche erano chiare sul fatto che questa doveva essere una tappa breve e ci hanno schiacciato.

Vi faccio un esempio: abbiamo creato un’intera rete di asili nido per bambini da 0 a 3 anni, che erano pubblici, con infrastrutture e personale di alta qualità… e li abbiamo chiamati “Galescola”.

Mi hai chiesto di un errore: guarda, è stato un errore. Gliel’abbiamo servita su un vassoio d’argento: “indottrinamento”, “questi arrivano anche nelle ikastole [le scuole per l’infanzia, ndt]” ecc. E la gente c’ha creduto: mia madre è arrivata a credere che stavamo facendo “scuole per terroristi”.

E abbiamo fatto altre cose rivoluzionarie, come la banca della terra o una vera gara d’appalti per l’energia eolica. E il Capitale non ci ha perdonato per questo.

Lo sfruttamento del vento è di proprietà dei galiziani e quindi non può essere che ne beneficino sempre e solo le quattro aziende elettriche di sempre, ma deve essere indetto un concorso pubblico e sarà vinto da chi lega i parchi eolici a progetti produttivi radicati sul territorio. Le grandi aziende elettriche non ci hanno perdonato per questo.

Ma l’errore fondamentale è quello di non aver tenuto conto che il primo obiettivo che si deve avere è quello di continuare a governare. So che suona un po’ strano a sinistra. Nessuna trasformazione che valga veramente la pena può essere fatta in soli quattro anni. Costruire è molto difficile e distruggere è molto più facile. In campo comunale, dove possiamo governare in cicli più lunghi, facciamo meglio. Un altro errore è stato quello di ignorare che il nemico non va in mezze misure. Eravamo troppo ingenui.

E non diresti che la gestione delle istituzioni ha assorbito tutte le forze della GNB?

Sì, lo ammetto. Questa è un’altra lezione che abbiamo imparato completamente. Non riusciremo mai ad avere successo per via esclusivamente istituzionale. È di fondamentale importanza: solo governando si possono fare certe cose. Ma non basta. In America Latina, solo i processi che hanno creato un vero potere popolare, dal basso, hanno retto meglio. Questa è la differenza tra il Venezuela e i progetti di Evo, Lula o Correa.

Qui il problema è che quando si cresce rapidamente e si è una piccola organizzazione, si è costretti a dedicare i migliori quadri all’ambito istituzionale. Questo porta a una confusione tra governo e organizzazione, e all’incuria di quest’ultima: azione sindacale, cultura (case editrici, ecc.), pensiero, formazione, proselitismo, crescita dell’organizzazione.

Questo è successo a noi e ora vedo che è anche uno dei problemi di Podemos. Non c’è niente sotto. I suoi migliori collaboratori sono nel governo. Sei un gigante con i piedi d’argilla e quando decideranno di attaccarti non lo reggerai.

Non deve succedere di nuovo a noi: badate alla militanza, alla formazione. Perché ciò che ci permette di sopportare e costruire è il radicamento territoriale e settoriale: non c’è nessuno in Galizia che non conosca qualcuno che sia direttamente del BNG.

Ora il BNG ha raggiunto il massimo storico a livello di numero di parlamentari. Questo significa superare un periodo negativo che ha portato il BNG a toccare il fondo con le spaccature del 2012, con il conseguente emergere delle coalizioni di sinistra [le Maree, unione tra comitati civici, Podemos e Izquierda Unida, che si muovono nell’ambito della democrazia partecipativa e del socialismo democratico] che nel 2015 hanno conquistato tre grandi città (Santiago, Ferrol e Coruña) e che vi hanno portato ad essere lasciati fuori alle elezioni statali del 2016. Mi parli di questi ultimi anni, dell’uscita di Beiras, delle elezioni municipali del 2015 ecc.

La prima vittoria sulle Maree è stata ideologica: al nostro principio di auto-organizzazione si opponeva l’idea che siamo un Paese con poca coscienza nazionale e che quindi c’era un’alleanza strategica (non temporanea, non tattica, ma permanente) con la sinistra spagnola. Che un progetto chiaramente sovranista non poteva avere successo.

Invece con la sinistra spagnola, o con il PSOE, possiamo condividere il governo, gli spazi politici, anche su un piano di parità … ma dobbiamo sempre andare alle elezioni come progetto auto-organizzato.

Quel che non va bene è avere una retorica plurinazionale, confederale, e che poi la pratica sia totalmente l’opposto, come ha fatto Pablo Iglesias con il Reddito Vitale Minimo, andando oltre ogni competenza delle Autonomie.

Storicamente questo è ciò che aveva fatto il PCE. E l’apice della sfrontatezza intellettuale è quello che ha detto Monedero [ex Podemos] l’altro giorno: che i buoni risultati di Bildu e BNG sono arrivati perché siamo stati “podemizzati”.

Queste elezioni per noi chiudono la fase della XIII Assemblea Nazionale, l’Assemblea di Amio del 2012, con le due divisioni che abbiamo avuto in quel momento. Da una parte c’erano quelli che dicevano che il nazionalismo galiziano era troppo di sinistra e che voleva che il BNG si separasse dalle organizzazioni marxiste e si dissociasse dalla CIG.

E poi l’altra scissione, quella guidata da Beiras, che diceva che la contraddizione sociale prevaleva sulla contraddizione nazionale e che quindi bisognava dare priorità all’unità con la sinistra spagnola.

È stato un ciclo molto duro. Non è stato facile sopravvivere come alternativa. Sapevamo che, in pratica, eravamo gli unici a difendere i diritti nazionali della Galizia, ma dovevamo combattere le Maree per aver ben salda questa bandiera. Ora si sta aprendo un nuovo ciclo in cui dobbiamo dare priorità ad un maggiore impatto sociale e ad una maggiore implementazione che si tradurrà nella possibilità di guidare un governo alternativo. Perché dobbiamo governare.

Ma la verità è che le Maree sono un vero e proprio fenomeno in Galizia, no? Perché non ha funzionato del tutto?

Pochi lo sanno, ma Podemos, in un certo senso, nasce in Galizia. Qui c’è il nucleo della Complutense. Dobbiamo ricordare che leader importanti, come Bescansa, erano di qui. E che Pablo Iglesias è stato consigliere dell’Alternativa Galiziana di Esquerda, che si è candidata alle elezioni del 2012 riunendo l’ANOVA di Beiras con l’UI e gli ecosocialisti. Fu un successo brutale e quell’esperimento lo influenzò.

Penso che l’esperienza delle Maree non abbia funzionato perché il sistema ha una grande capacità di gonfiarti e sgonfiarti attraverso i media.

Le elezioni riflettono uno stato d’animo in un dato momento ed è questo il senso dei media. Credo che, all’epoca, “gonfiare” Podemos fosse funzionale al sistema. Ma quando non si è più funzionali, o si ha una vera e propria struttura di base, o non si regge il colpo. E sono passati da 14 membri a 0.

Pensate che una parte di questo spazio possa finire per convergere con o nella BNG?

Mi auguro che il BNG sia il punto di riferimento per tutta la sinistra di questo paese, per tutti coloro che si muovono a sinistra del PSOE e che allo stesso tempo riconoscono il diritto della Galizia di decidere del suo futuro.

A novembre, il BNG ha recuperato la sua presenza al Congresso dei deputati spagnoli dopo averla persa nel 2015, e sembra che questo sia stato uno dei fattori che hanno influenzato i buoni risultati della scorsa settimana …

C’è qualcosa di interiorizzato nella società galiziana: se c’è il Blocco, c’è la Galizia. Ci sono persone che non votano per noi ma che sono felici che siamo rappresentati perché è oggettivamente un bene per il Paese. Perché la nostra unica disciplina di voto è con il popolo galiziano, non con un partito spagnolo. Perché noi facciamo esistere la Galizia politicamente. Con la nostra assenza, la Galizia è stata ridotta all’irrilevanza, mentre ora le questioni vengono messe all’ordine del giorno.

Infine, un paio di domande sulle prospettive di indipendenza. Il primo: come vede il processo di indipendenza della Catalogna?

Lo guardiamo con grande attenzione ed entusiasmo. E ci sono alcune cose che possiamo considerare come lezioni apprese.

La prima lezione riguarda le istituzioni. Mi è chiaro che l’indipendenza di un Paese non sarà raggiunta dalle istituzioni, senza un popolo organizzato, come ho detto prima. Ma non è meno sbagliato non vedere che le istituzioni sono la chiave. Senza il governo catalano nella precedente legislatura il referendum non si sarebbe tenuto.

Secondo: il quadro giuridico non può essere un ostacolo insormontabile. La storia dell’umanità, dalle suffragette a Mandela, non può avanzare senza conflitti, lotte e superamento di schemi giuridici ingiusti. Le strategie di insubordinazione e disobbedienza sono fondamentali.

E terzo: il ruolo della Catalogna come avanguardia teorica. Oggi chi studia l’attuazione del diritto all’autodeterminazione deve prestare attenzione a ciò che sta accadendo in Catalogna, è uno dei più avanzati.

Al contrario, credo che il processo catalano abbia avuto dei limiti significativi quando si tratta di valutare il ruolo degli Stati, della comunità internazionale, dell’UE, di come la Spagna gioca… se prima ho detto che eravamo troppo ingenui, lo stesso si potrebbe dire di una parte di questo movimento.

E il secondo: cosa dovrebbe succedere perché la Galizia diventi indipendente?

Siamo in una fase preliminare. Ogni nazione ha un punto di partenza diverso. La prima cosa di cui abbiamo bisogno è un’iniezione di autostima. Tanti anni di colonizzazione fanno pensare che non potremmo essere indipendenti. Vi faccio un esempio: la campagna referendaria in Scozia non è stata molto patriottica, per usare un eufemismo: si è parlato di scuole, pensioni… di una società migliore che era impossibile nel Regno Unito. Ed è stato un discorso credibile.

Ma noi siamo ancora in una fase precedente, dobbiamo ancora rendere credibili i vantaggi di avere strutture statali proprie, in termini di finanza, cultura, lingua… Ma dico anche una cosa: le opinioni superficiali che dicono che la Galizia è di destra sono sbagliate. Nel mio paese VOX non ha nulla. E neanche Ciutadanos.

C’è un’enorme consapevolezza primaria: siamo un popolo diverso. Il passo successivo è quello di trasformarlo: abbiamo il diritto di decidere e sarà fondamentale per poter vivere meglio.

Questo è credibile in Catalogna perché è associato all’idea di una nazione avanzata, industriale… ma in Galizia c’è ancora tanto lavoro da fare e in particolare bisogna imporre una rottura mentale con lo schema coloniale.

***

L’intervista è stata pubblicata in catalano su www.catarsimagazin.cat il 21 luglio e tradotta in castigliano su www.elsaltodiario.org alcuni giorni fa

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