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Gli interessi turchi (e non solo) nel Caucaso

Era attesa per il 15 dicembre la firma del memorandum turco-azero sul gasdotto Igdir-Nakhičevan, per portare 550 milioni di metri cubi di gas azero alla Repubblica Autonoma di Nakhičevan (RAN; enclave azera che confina con Armenia, Turchia e Iran) attraverso la Turchia, in parallelo alle forniture che si effettuano attraverso l’Iran secondo schemi di scambio.

Un gasdotto di cui si era parlato dopo l’apertura della linea Baku-Tbilisi-Erzurum (gasdotto del Caucaso meridionale) nel 2007; quindi, nel 2010 era stato firmato l’accordo, con i lavori di progettazione da completarsi entro inizio 2021.

È questo uno degli effetti – non il principale, ma indicativo – del “fronte” Baku-Ankara nel Caucaso. Un fronte che aveva minacciato un nuovo scoppio degli scontri armeno-azeri anche pochi giorni fa e che, al momento, sembra fortunatamente fermo.

Anche secondo il Ministero della difesa russo, il cessate il fuoco del 9 novembre lungo la linea di contatto in Karabakh starebbe tenendo, dopo gli scontri dei 11-12 dicembre scorsi per il controllo di alcuni villaggi – Tager e Khtsaberd, in particolare – della provincia di Hadrowt’, poche decine di km a nord del confine iraniano, cessati solo con l’intervento delle forze di interposizione di Mosca.

Si era trattato di una sorta di nuova edizione della conquista turco-azera di Šuši (Šuša per gli armeni) la cui perdita aveva significato di fatto la capitolazione di Erevan e il trasferimento all’Azerbajdžan delle regioni di Aghdam, Gazakh, Kelbajar e Laçin.

Baku aveva “giustificato” l’attacco azero come un’operazione “anti-terroristica” contro “ripetute provocazioni armene”. Sta di fatto che l’attacco era partito il giorno dopo la “parata congiunta” turco-azera del 10 dicembre a Baku, durante la quale Erdogan aveva dichiarato che “la guerra non è ancora finita e nella regione comincia una nuova era, se il popolo armeno trarrà lezione da quanto accaduto in Karabakh”, arrivando a citare Enver Pasha, iniziatore del genocidio armeno del 1915.

Oggi è il giorno in cui assistiamo al valore dei soldati di Nuri Pasha ed Enver Pasha, l’Esercito islamico caucasico“, aveva detto Erdogan. Per la cronaca, Enver Pasha fu ucciso il 4 agosto 1922 in uno scontro con reparti dell’Armata Rossa nel villaggio di Čagan, a 25 km dalla città di Baldžuan, nel territorio dell’attuale Tadžikistan.

L’agenzia Realist, osserva che un tale richiamo testimonia che “la moderna leadership turca si sta allontanando dall’eredità di Ataturk e dal concetto di stato laico” e si sta spostando verso un “neo-ottomanismo, misto a idee pan-turche e islamiste”.

Secondo gli analisti di South Front, vari media turchi soffiano sul fuoco, rappresentando aree del territorio armeno come parte dell’Azerbajdžan, ad esempio, raffigurando come interamente azero tutto il segmento tra Azerbajdžan e RAN, nella parte della catena montuosa Zangezur.

Osservatori locali notano che il richiamo di Erdogan a Enver Pasha potrebbe significare però anche una certa apertura al “popolo armeno” – “la Turchia non ha problemi col popolo armeno, ma solo col governo armeno”, ha detto – nel segno delle raccomandazioni fatte dallo stesso Pasha a Mustafa Kemal, di stabilire nell’Anatolia orientale un cosiddetto “focolare armeno”, invece dell’autonomia armena promessa ai Dašnaki turchi nell’impero ottomano nel 1912-1913, che portò al genocidio armeno.

Secondo Enver, l’emergere di un “focolare armeno” nella Turchia kemalista avrebbe potuto allentare la pressione dell’Intesa su Ankara e contribuire anche all’allontanamento di Kemal da Mosca, verso l’Occidente. Così come dovrebbe avvenire oggi, nei disegni erdoganiani.

Non volendo esser da meno delle esternazioni di Erdogan, nella stessa occasione Ilham Aliev aveva parlato di “Erevan, Zangezur, Sevan” come “nostre terre storiche“, e aveva addirittura menzionato Tabriz e le montagne Sabalan, quale messaggio alla forte comunità azera in Iran, tanto che Teheran aveva subito convocato l’ambasciatore azero.

Sembra che Baku abbia deciso di saggiare le intenzioni iraniane, oggi che Teheran, a differenza del conflitto di trent’anni fa, quando aveva sostenuto attivamente l’Armenia, ha preferito defilarsi, schierando comunque proprie forze al confine con il Karabakh, pronta a colpire le bande di terroristi filo-turchi di “Hayat Tahrir al-Sham”, “Furkat Khamza” o “Sultan Murad”, con cui Ankara è intervenuta nel conflitto armeno-azero.

In vena di “gentilezze”, poi, Erdogan aveva citato versi del poeta azero Bakhtiyar Vahabzadeh, sulla suddivisione dei territori a sud e a nord dell’Araks in seguito ai trattati del 1813 e 1828. Teheran aveva qualificato le citazioni di Erdogan come “simbolo separatista di panturchismo”, dato che i versi di Vahabzadeh si riferirebbero “al sequestro forzato dei territori iraniani a nord del Araks“, il fiume che segna i confini di Turchia, Armenia, Iran, Azerbajdžan e anche Artsakh.

Dopo di che, era stato convocato l’ambasciatore turco, si erano inscenate manifestazioni anti-turche a Tabriz, capoluogo dell’Azerbajdžan orientale iraniano e varie pubblicazioni iraniane hanno pubblicato una mappa storica dell’Iran safavide dei secoli XVI-XVIII, menzionando il trattato di pace del 1555, in base al quale era stata effettuata la prima divisione delle terre tra Safavidi e Ottomani: Georgia e Armenia occidentali, insieme alla maggior parte dell’Iraq, andavano alla Turchia, mentre Georgia e Armenia orientali e tutto l’Azerbajdžan ai Safavidi.

In questo modo, l’Iran cerca di ricordare alla Turchia che la maggior parte dell’odierna Transcaucasia rientra alla zona di interessi storici di Teheran.

Sorda agli ammonimenti iraniani, l’agenzia governativa turca Anadolu ha scritto che “Azerbajdžan e Turchia hanno dimostrato al mondo intero un’alleanza militare incrollabile” e Ankara, in “cambio della assistenza prestata a Baku, si aspetta di ricevere alcuni diritti speciali sul territorio dell’Azerbajdžan“.

E infatti, uno dei punti del cessate il fuoco sottoscritto il 9 novembre, prevede l’apertura di vie di comunicazione tra Azerbajdžan e Nakhičevan, e da qui verso la Turchia, attraverso il territorio armeno: pur sotto controllo del FSB russo.

Il nodo delle comunicazioni è centrale nell’attuale situazione. Baku e Ankara starebbero premendo anche su Tbilisi per lo sviluppo di collegamenti tra Armenia e Russia, attraverso il territorio georgiano. Inoltre, se prima la strada dall’Azerbajdžan a Nakhičevan attraversava il territorio iraniano, il nuovo corridoio, attraverso l’Armenia, da un lato riduce l’influenza di Teheran su Baku, e dall’altro Ankara ottiene l’accesso al territorio azero, senza dover attraversare Iran o Georgia.

Con ciò, la Turchia mette le mani sulle vie di comunicazione di una grossa regione. Baku sta già portando avanti i lavori per un’autostrada a quattro corsie da Hadrowt’ a Šuša e c’è chi suppone che possa venire poi allungata fino a Ağdam.

Secondo l’agenzia Lragir.am, non è stata casuale la scelta della direttrice dell’attacco turco-azero: proprio dall’Iran, attraverso Hadrowt’ a Šuša, passava in origine uno dei rami della Via della seta.

Le strade attraverso il Karabakh e Nakhičevan cambieranno molto nella regione; chiunque abbia studiato la mappa dei trasporti nell’area, scrive Lragir.am, si è sempre chiesto come mai non ci siano comunicazioni e collegamenti diretti tra i paesi che si affacciano su una regione così piccola.

I nuovi collegamenti, cui ora Ankara prenderà parte attiva, sono tutti nel solco della centenaria politica turca per il controllo di strade, fonti d’acqua – l’area del lago Sevan, in Armenia, dove si trovano le più grandi riserve di acqua dolce della regione – e potere militare, indipendentemente dai confini.

In conclusione, a parere del politologo armeno Artašes Gegamjan, provocando l’Iran il “Sultano” intende compiacere il neoeletto Joe Biden, mentre, provocando la Russia, con rivendicazioni territoriali verso l’Armenia, alleato strategico di Mosca, Ankara e Baku vogliono compiacere sia la nuova leadership USA, sia la UE.

In una parola, scrive Gegamjan, Turchia e Azerbajdžan stanno preparando il terreno per scatenare una guerra nella regione del Caucaso meridionale con il coinvolgimento non solo di Armenia e Iran, ma soprattutto della Russia, con Israele che non rimarrà indifferente, quantomeno in termini di equipaggiamento delle forze armate azere con i più moderni droni, veicoli corazzati radioguidati, sistemi di difesa aerea, carri armati.

Non indifferente, diciamo noi, anche se abbastanza defilata riguardo al diretto conflitto azero-armeno, e con gli occhi puntati piuttosto su un appetitoso – quanto, al momento, fantasioso – scenario che veda Tabriz e Urmja sotto controllo turco, il che offrirebbe a Tel Aviv maggiori possibilità nei confronti dell’Iran.

In ogni caso, Ankara sta cercando di mettere un’ipoteca propria, sul controllo euro-americano delle risorse energetiche azere (la produzione azera è quasi raddoppiata rispetto al 2005), guardando soprattutto alla ricca area del mar Caspio, e possibilmente, anche oltre. Al momento, si attendono risposte più convincenti da Mosca e da Pechino.

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