La parola più ripetuta ad ogni angolo del mondo, sotto qualsiasi regime politico, è proprio libertà. Del resto, chi vorrebbe esser schiavo o al servizio di un altro essere umano, magari pure spaccapalle e sfruttatore?
Beh, sembra proprio che la stragrande maggioranza delle persone – proprio qui, nell’Occidente “libero” – sia fatta di servi. Contenti e non, ben pagati e non, incazzati o remissivi. Ma servi.
Così il concetto di libertà ha finito per essere uno straccio da sventolare nelle occasioni più improbabili, o addirittura quando la prudenza consiglierebbe due attimi di riflessione prima di aprire bocca.
Sappiamo che proprio con la pandemia questa parola è stata usata soprattutto a sproposito. Contro le inevitabili restrizioni – mal pensate, mal organizzate, non rispettate, con troppe “eccezioni” per lenire le sofferenza padronali – ed ora, come già prima, contro i vaccini.
Abbiamo ricevuto questo breve saggio che giustamente bastona senza pietà lo pseudo-pensiero che sta dietro questa idea bislacca di “libertà”. Evidenti anche i suoi limiti: coglie esattamente il problema dal lato concettuale, nell’opposizione individuo/società, ma non si addentra nella radice di classe di quel concetto di libertà.
Che è poi l’unica “libertà” che conti da queste parti: quelle delle imprese private che devono comunque far profitti, anche a costo di milioni di morti (quasi due milioni nel mondo, oltre 80.000 – per ora – in Italia).
Nonostante questo limite, però, l’argomentazione logico-scientifica risulta utile. Anche ai tanti compagni, magari di fresca adesione all’antagonismo politico e sociale, che si trovano quotidianamente a sacramentare con soggetti che ripetono a pappagallo frasi sentite in tv, o peggio ancora sui social, che risultano tanto più persuasive quanto semplici e, in definitiva, prive di senso.
Come è capitato di battibeccare a noi, nei botta-e-risposta ai commenti ai nostri pezzi, l’argomento più convincente è però risultato una minaccia: “se vuoi la libertà di circolare anche da contagiato o di rifiutare la vaccinazione, fregandotene dei possibili effetti su chi incontri, allora devi riconoscere anche la mia libertà di spararti a vista per non essere contagiato“.
“Severo ma giusto”, ci hanno detto in tanti. Del resto, là dove il pensiero non riesce ad entrare, un po’ di spavento aiuta a capire…
Buona lettura.
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Negli ultimi giorni si è sviluppato sui social un vivo dibattito sul vaccino contro il Covid. Un dibattito che vede da una parte chi con varie ragioni rifiuta di sottoporsi alla vaccinazione e dall’altra chi lo ritiene essenziale.
Quelli che per diffidenza, per tesi complottiste o per semplice disinformazione rifiutano il vaccino trovano risposte tratte dalla letteratura scientifica da parte di chi vede nel vaccino la fine di questo lungo anno di pandemia globale.
Ma la discussione appare più un dibattito tra sordi: nonostante un secolo di storia vaccinale e il parere quasi unanime degli scienziati, i contrari non cambiano le proprie ragioni e anzi aumentano di numero all’avvicinarsi della vaccinazione.
Continuare a risponde a chi in varia misura si oppone alla vaccinazione con argomentazioni sulla bontà e l’utilità dei vaccini significa non aver compreso la radice della “malattia”.
Si sta in sostanza cercando di curare un tumore con un’aspirina che al più ne maschera i sintomi più evidenti, mentre purtroppo il cancro si divora silenziosamente il corpo.
Infatti l’opposizione ai vaccini sostenuta da argomentazioni chiaramente deboli, se non totalmente fantasiose, è solo l’ultimo episodio di una serie di resistenze che sono cominciate prima della pandemia ma che sono diventate evidenti e socialmente pericolose dopo la diffusione del virus. Il percorso logico va invertito se si vuole fare una diagnosi corretta e cercare una terapia adatta.
L’opposizione al vaccino, così come alla mascherine prima, e prima ancora al distanziamento sociale, alla chiusura di bar, ristoranti, palestre, cinema e teatri, a quella delle discoteche, o ai tanti divieti sorti negli ultimi mesi infatti è un’opposizione alle limitazioni in quanto tali.
La libertà viene intesa al contempo come libertà assoluta (cioè come assenza di limiti) e come conseguenza della concezione dell’individuo come monade che si autodetermina attraverso la propria volontà attuata grazie alla massima capacità di agire.
Nulla può limitare la libertà assoluta: sarebbe inaccettabile e l’effetto sarebbe che l’individuo si troverebbe ad essere determinato da scelte prese da altri (o anche solo insieme ad altri).
E’ interessante vedere come su Facebook la concezione quasi unica di libertà è quella che vede in qualsiasi limitazione alla stessa un segno di una dittatura.
Questa tendenza non è nuova, era presente già prima della pandemia. Ma con questa pandemia questa idea di libertà si è dovuta scontrare con fatti oggettivi che ne hanno richiesto un drastico ridimensionamento per la tutela di un interesse collettivo, la salute pubblica, la salute “di tutti”.
Davanti a questo la libertà assoluta ha generato mostri. L’esplosione di complottismi (l’epidemia è un complotto per restringere la libertà, quindi è giusto ribellarsi e difendere la libertà assoluta), e di negazionismi (il fatto che si neghi l’esistenza del virus o la sua virulenza, o l’efficacia delle misure prese per limitarlo) ne è la diretta conseguenza.
Decenni di ideologia libertaria hanno portato all’incapacità di elaborare la realtà; tutto dipende esclusivamente da me, da quello che faccio, da quello che io decido “per me stesso”, non c’è quindi bisogno di sapere da dove vengo, o dove vanno gli altri.
L’unica reazione, a fronte di questa incapacità, è la negazione stessa della realtà e la generazione conseguente di fantasiose teorie, di interpretazioni estemporanee di dati scientifici, di analisi farlocche: ci si inventa virologi, esperti di epidemie, farmacologi, pur di non riconoscere una realtà che obbliga a limitare la libertà di ciascuno per il bene di tutti.
In sostanza non si riconosce la società, non si riconoscono “gli altri”. Come diceva la Tatcher: “la società non esiste, esistono gli individui.” Da qui nasce il rifiuto del lockdown. Poi il rifiuto delle mascherine; e in seguito quello delle chiusure; e poi contro le limitazioni; e poi contro il vaccino. E ne risulta un’incoerenza logica che però non intacca il sostegno a queste negazioni della realtà: chi era contro il lockdown e sosteneva l’”immunità di gregge” a Marzo, oggi nega che l’immunità di gregge esista per opporsi alla vaccinazione di massa.
Ma mostrare questa incoerenza significa curare un tumore con un’aspirina: il problema non è se esiste o meno l’immunità di gregge, il problema è il rifiuto a qualsiasi limitazione della libertà, anche quando socialmente necessario, e in definitiva il rifiuto del riconoscimento dell’Altro.
Questo tipo di pensiero è il frutto dei passati decenni ed è ormai in evidente declino. La pandemia gli darà un colpo di grazia. Va riconosciuto che alla sua diffusione “a sinistra” ha contribuito non poco il pensiero di Toni Negri (ma anche tutta la nuova sinistra nietszchiana degli anni ’70), tutto orientato alla liberazione del desiderio: un libertarismo anti-oppressivo e anti-autoritario che ha portato una parte di sinistra a vedere nelle limitazioni legate alla pandemia una nuova dittatura contro la quale ribellarsi e organizzare una “nuova resistenza”.
Tutto questo porta a non capire la Cina. E in generale l’oriente. Abbiamo visto in questi giorni le immagini del Capodanno a Wuhan e in Cina, e li abbiamo visti senza mascherine, festanti e felici.
Questo è stato possibile perché in Cina hanno operato due soggetti:
– lo Stato, che ha messo in moto strutture, spesa pubblica, che ha pianificato la risposta dotandosi degli strumenti per farlo;
– la società cinese che responsabilmente ha agito in maniera coordinata e cooperativa per affrontare le conseguenze e limitare i danni.
Tutti e due questi elementi sono il risultato di una concezione diversa della società rispetto a quella occidentale. Anzi, sono la conseguenza del fatto che si riconosce l’esistenza di aggregati sovra-individuali a cui si aderisce anche senza volerlo e che determinano l’esistenza dei singoli in maniera estremamente maggiore rispetto alle scelte individuali.
E’ la società tutta che può determinare la vita o la morte di una persona, a seconda che abbia o meno i mezzi per rispondere alla pandemia e se ciascuno agisce facendo ciò che è necessario.
In sostanza la libertà delle persone è limitata non solo dalla libertà degli altri, a dall’autocoscienza di essere parte della società e di essere responsabili pro quota della risposta collettiva.
Proprio il fatto che si riconosce che la società esiste, che “l’altro” esiste, e si è coscienti dell’influenza che questa ha sulla vita collettiva, la sanzione sociale per i comportamenti scorretti è fortissima: la società sanziona chi non la riconosce, sanziona chi mette la propria libertà sopra quella altrui e sopra la libertà generale della società stessa.
Una concezione che in Occidente appare oppressiva e autoritaria. Ma soprattutto che è sconosciuta in Occidente e che quindi non viene riconosciuta: come se mancasse un programma nel nostro elaboratore, non si capiscono i comportamenti cinesi.
Il risultato è che questa mancanza, unita alla difesa totale della libertà assoluta, porta, anche nel caso cinese, a negare la realtà: la reazione al capodanno in Cina è stato il rilancio della teoria del complotto.
La Cina vive normalmente non perché ha dato una risposta collettiva alla pandemia, una risposta che grazie a una limitazione della libertà individuale ha garantito il diritto collettivo alla vita, ma “perché ha inventato il virus e ha quindi l’antidoto”.
Inutile rispondere razionalmente che questi stessi negavano fino al 31 dicembre l’esistenza del virus; o che fin da Marzo la Cina ha annunciato che avrebbe offerto il proprio vaccino al mondo intero gratuitamente mentre da noi, da mesi, ci sono porzioni consistenti di società che si ribellano alla vaccinazione.
La Cina, e più in generale l’Oriente, hanno reagito meglio alla pandemia perché esiste una società oltre gli individui.
Ci vorrà ancora tempo perché la crisi della visione libertaria arrivi al suo termine e si torni a una visione più equilibrata.
Dovremo riconoscere che la libertà senza limiti si trasforma nelsuo contrario.
Dovremo ri-conoscere gli altri e ri-conoscerci in quanto collettività.
Dovremo ri-scoprire che solo una piccola parte della nostra esistenza è determinata dalle nostre scelte, mentre la maggior parte ci sfugge o è sovradeterminata dalle scelte collettive: il fatto di essere nato in Italia e non in un paese africano ha determinato la mia esistenza più di qualsiasi mia scelta individuale; le risposte collettive alla pandemia, i ritardi o la scarsa applicazione causate da renitenze individuali o da interessi economici confliggenti con i provvedimenti necessari, hanno deciso della vita e della morte delle persone che conosco o che non conosco e che non conoscerò mai, ma che ri-conosco in quanto parte della società e della comunità umana.
L’edonismo esasperato, il riconoscere i propri desideri e il loro godimento come unico scopo e obiettivo unico e irrinunciabile, attuabile attraverso l’insopprimibile libertà assoluta hanno causato morte e povertà, senza neanche la capacità da parte nostra di riconoscerlo o di vederlo.
La pandemia ha esasperato questi comportamenti decretandone quindi il loro declino. La pandemia rappresenterà il limite a una realtà senza limiti. Riscopriremo che la società, che “gli altri”, non sono limite alla mia libertà (come nella concezione liberale), un limite da cancellare o da ignorare, ma condizione essenziale per la sua realizzazione.
* da Academia.edu
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