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Invisibili. Inchiesta sui migranti in Sardegna

Le difficoltà dei migranti e delle famiglie miste in città, tra burocrazia e indifferenza

Invisibili

Quello in cui “nessuno è straniero” non è che un mondo ideale. Non è necessario portare esempi che arrivino di là dall’Oceano, basta semplicemente guardare in casa nostra, nella nostra Nuoro, città del Nobel, città di cultura, che colleziona etichette come mostrine su una vecchia e frusta divisa da reduci di una guerra persa da anni.

Non c’è di che esser fieri se qualcuno qui si sente discriminato, uno è già troppo, che siano in tanti è inaccettabile. È un razzismo strisciante quello che colpisce singoli ma anche famiglie cosiddette miste come quelle che ci hanno raccontato la loro disperazione:

«Molti pensano che il “razzismo” sia essere offesi per strada o cose simili, ma quello è il razzismo nella società, popolare, e secondo me il meno pericoloso, perché in qualche modo ti puoi difendere. Quando vieni discriminato dallo Stato e dalle sue leggi “democratiche”, invece, è molto peggio, perché non ti puoi difendere. Queste discriminazioni, hanno un livello generale, nazionale, e locale.

Se certe cose sono disgustose a prescindere, anche in una grande città come Milano, che avvengano in un posto piccolo come Nuoro, dove noi immigrati e famiglie miste siamo pochissimi e non facciamo niente di male, mi sembra ancora più grave. E queste discriminazioni sono ancora più vergognose dato che spesso colpiscono proprio l’unità delle famiglie che pure è tutelata anche dalla Costituzione. A chiacchiere in Italia se ne parla tanto, ma nei fatti?

Perché se mia moglie è straniera devo essere discriminato?».

La scure della burocrazia

Ancora una volta, come tante volte abbiamo denunciato su queste pagine, la burocrazia colpisce i più deboli, i migranti che spesso non avendo accesso al web non sono in grado di completare da soli le domande informatizzate ma anche – come detto – le famiglie miste. C’è chi sarebbe stato addirittura vittima di episodi corruttivi per velocizzare pratiche per legge piuttosto lunghe e farraginose.

C’è chi si è sentito rispondere “cerca su google” a una domanda di informazioni, chi ha ricevuto notizie contraddittorie, richieste di documenti cartacei quando la procedura è esclusivamente online. «Noi chiediamo la cittadinanza solo perché è l’unico modo per non essere discriminati – accusa una famiglia – non per rubare qualcosa agli altri.

La mia esperienza è infinita, quando avevo già presentato domanda avendoci messo oltre un anno per raccogliere tutti i documenti, compresi quelli da chiedere nel paese di mia moglie che è lontano (non ci siamo potuti andare per la pandemia, abbiamo dovuto mobilitare mia suocera anziana che vive in un villaggio ed è dovuta andare nella città vicina in un autobus scassato e rischiando di contagiarsi) e avendo speso circa 3000 euro tra traduzioni, documenti, legalizzazioni, corrieri, ci sono stati chiesti ancora altri documenti, non previsti dalla procedura nazionale, “da chiedere al comune”.

In Comune una impiegata dell’Anagrafe ci ha detto che questo non si poteva fare in base alla norma dell’autocertificazione valida tra uffici pubblici».

Incertezza e rassegnazione

È come se le regole cambino ogni volta che ci si rivolge a una persona diversa: «Fanno di tutto per non darti ciò di cui hai diritto e senza il quale non puoi fare niente, né lavorare, né aprire un conto in banca, niente! In parole povere, anche di noi che in teoria abbiamo diritto alla cittadinanza, quasi nessuno fa domanda, perché la procedura è volutamente impossibile, prevede tanti e costosi documenti in modo da impedire anche solo il presentarla. Se invece ce la fai la tengono mesi o anni senza dirti niente, e tu non puoi fare nulla!

Guardiamo il mio esempio: dopo aver impiegato circa un anno per raccogliere tutti i documenti, finalmente sono riuscito a presentare la domanda di mia moglie a ottobre, e mia moglie non l’ha ancora ricevuta.

Non ha senso dire che bisogna fare chissà quali “controlli”, perché lei è completamente incensurata sia in Italia che nel suo paese. Hanno tutto ma ufficialmente la domanda è bloccata perché stanno controllando la sua “fedina penale”».

La questione che pongono i nostri interlocutori è semplice: «Perché noi dobbiamo essere famiglie di serie B?

Perché non dobbiamo avere il diritto di stare insieme, volerci bene, avere figli come tutti gli altri?

E qui non parlo solo della cosa oscena che mia moglie deve chiedere un permesso alla polizia per stare con me.

Penso anche ai cosiddetti “ricongiungimenti familiari” per le famiglie immigrate, un’altra pratica quasi impossibile per chiedere il “permesso” di poter stare con la tua famiglia! Ma la famiglia non era indissolubile? Se davvero in Italia si rispettassero le famiglie, tutto questo non succederebbe».

L’integrazione che non c’è

Alla burocrazia ostile si aggiunge il nodo integrazione. «L’integrazione non c’è – ci spiega Barbara Sanna, mediatrice culturale – l’accoglienza è esclusivamente di tipo assistenzialistico, affidata alle associazioni o a persone di buon cuore. Mancano opportunità di lavoro, oltre i tirocini non si conclude nulla».

C’è poi il problema delle case, a Nuoro “non si affitta agli immigrati”: «I locatari hanno paura che i migranti non paghino o che facciano danni, anche loro andrebbero più tutelati. Quanto ai permessi – prosegue Sanna – sarebbe bene, come fanno altre amministrazioni in altre città, che il Comune conceda la residenza nella casa comunale ma questo non avviene, manca uno sforzo anche di dialogo».

L’impegno della Caritas

Anche la Caritas, da sempre impegnata su questo fronte, conferma uno stato di cose ulteriormente aggravato dalla pandemia. «Non potendo lavorare i migranti non riescono a pagare l’affitto in più, per molti, non si riesce a trovare una sistemazione adeguata, come per una famiglia con due gemelli in arrivo».

Lo sportello immigrazione – conferma la direttrice suor Pierina Careddu – è attivo e offre assistenza per qualunque bisogno. Non solo beni materiali ma anche informazioni, accompagnamento negli uffici, in ospedale, visite.

«Ogni anno – racconta Anna Corsi, responsabile dello sportello – organizziamo la giornata del migrante e del rifugiato, la pandemia purtroppo ha bloccato tante iniziative ma abbiamo un progetto attivo, “Insieme per” in collaborazione con la coop La Carovana, che ha la finalità di costruire occasioni di scambio interculturale, visite a musei e siti archeologici, comparazione tra cultura sarda e beni ambientali dei paesi d’origine dei migranti.

L’anno scorso un laboratorio di scrittura con gli ospiti di Mamone ha portato alla pubblicazione di un volume, Sulle ali dei pensieri».

Ad oggi resta la speranza, poco altro: «Se c’è una strada sotto il mare prima o poi ci troverà – canta Ivano Fossati – se non c’è strada dentro al cuore degli altri prima o poi si traccerà».

* da: L’Ortobene – https://www.ortobene.net)

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