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Perù: continua l’insurrezione popolare contro il golpe

La situazione di instabilità permanente in Perù sta velocemente mutando in un contesto di vera e propria guerra civile a bassa intensità.

Una presidente, con un esecutivo ed un Congreso arroccati in un fortino assediato dentro i palazzi istituzionali, sono difesi in maniera permanente dai continui tentativi dei manifestanti – giunti a Lima da ogni parte del Perù Profondo dal 24 gennaio – di avvicinarsi agli edifici del potere.

L’esecutivo, il secondo nominato dopo la destituzione di Pedro Castillo il 7 dicembre scorso, sta perdendo i pezzi con le dimissioni del terzo ministro: in questo caso si tratta della titolare dell’industria, Sandra Beluande Arnillas, che ha rinunciato al suo incarico durante la violenta repressione delle mobilitazioni.

Da segnalare, e non è un particolare secondario, che alle proteste a Lima si sono uniti ex agenti di polizia e militari in congedo, “sfondando” tra l’altro un dispositivo di contenimento per i manifestanti nei pressi del Congreso.

Questo “assalto” avviene in un contesto dove il consenso per queste istituzioni si è liquefatto,  è stato imposto una specie di stato d’eccezione permanente al paese, in cui polizia ed esercito sparano per uccidere, leader sociali vengono incarcerati con l’accusa di “terrorismo”, la polizia sgombera violentemente l’università con un codazzo di maltrattamenti e detenzioni arbitrarie di massa, e – non da ultimo – si fa intervenire direttamente l’esercito in una delle regioni che sono l’epicentro della protesta, Puno, prolungando lì il coprifuoco di 10 giorni.

Questa torsione autoritaria, però, non scoraggia nuovi settori sociali a partecipare al Paro National.

Dal 30 gennaio la Federación National de Cafeteros y Agricultores, se l’esecutivo non avrà accettato le sue richieste, realizzerà un Paro Agrario.

Nel mentre si prepara un salto di qualità verso l’ulteriore fascistizzazione del potere politico, Dina Boluarte ha avuto il coraggio di fare appello ad una “tregua nazionale”, ma i segnali che manda sono tutt’altro che distensivi.

La criminalizzazione dell’opposizione è un fenomeno ad ampio raggio che comprende i sette dirigenti  del Fredepa di Ayacucho, attualmente detenuti, per cui si è aperto a Lima un processo per appartenenza ad una “organizzazione terroristica” – nonostante da molto tempo sia terminata l’insorgenza armata maoista di Sendero Luminoso – usando il profilo penale del terroqueo, ereditato dall’arsenale legislativo costruito per affrontare la guerriglia.

Sono finiti in carcere: Alejandro Manay (insegnante), Estéfany Alanya (psicologa), Alex Gómez (studente), Rocío Leando (attivista), Piero Giles (studente), Yulisa Gómez (tecnica infermieristica), Fernando Quinto (ingegnere).

Giovani e giovanissimi che, anche per una motivo banalmente anagrafico, non possono avere a che fare con Sendero.

Nella campagna di criminalizzazione è finito anche un sindacato, la CGTP.

El Comercio – il principale quotidiano peruviano – ha diffuso una nota del Ministero dell’Interno, a proposito delle proteste sociali, nelle quale si fa riferimento al sindacato come una “struttura orgánica solida” che partecipa alle proteste.

Mentre su Canal N, è stato fatto passare il video di una conferenza stampa cui ha partecipato il segretario generale della CGTP, Gerónimo López Sevillano, con un commento: “i volti dei manifestanti violenti nelle manifestazioni”!

Anche l’Asamblea Naciónal de los Pueblos, che si incontrava nella sede della CGTP nei dintorni di Lima è stata fatta oggetto di intimidazioni poliziesche, come denuncia il sito del Partido Comunista del Perú – Patria Roja.

Anche Vladimir Cerrón, leader di Perú Libre, è stato accusato di “tradimento” dalla Procura che ha iniziato ad investigare su di lui, sull’ex presidente della Bolivia Evo Morales, e l’ex governatore di Puno, Alejo Apaza.

Ieri, con 74 voti favorevoli, il Congreso ha dichiarato persona non grata Evo Morales, approvando la mozione 5225 proposta dalla deputata María Carmen Alva.

Come si vede, la crociata degli apparati di potere non si ferma al solo Perù ma ha coinvolto, in una sorta di guerra diplomatica, in primis il Messico, e poi tutti i paesi che non hanno riconosciuto la destituzione di Pedro Castillo o hanno criticato l’operato dell’attuale dirigenza del paese andino.

Il Perù dopo le dure dichiarazioni della presidente progressista dell’Honduras, Xiomara Castro, ha ritirato il proprio ambasciatore dal paese centro-americano.

Durante il 7mo incontro della CELAC – la comunità degli stati Latino-americani e Caraibici – il Presidente del Cile, Gabriel Boric, è intervenuto il 24 in maniera molto dura affermando: “Non possiamo essere indifferenti quando oggi giorno nella nostra nazione sorella persone che manifestano per ciò che considerano giusto, finiscono per essere colpite dalle pallottole da coloro che dovrebbero difenderle […] Il risultato che ha portato la via repressiva e la violenza sono inaccettabili”.

L’ex leader studentesco ha criticato l’operato delle forze di polizia nell’università di San Marco affermando che quello che è accaduto rimanda ai tempi delle dittature nel Cono Sur.

Gli ha fatto eco Gustavo Pedro, presidente della Colombia, che si chiede perché vengano commesse azioni espressamente vietate dalle leggi inter-americane.

Durissimo ovviamente anche il Presidente di Cuba, Miguel Diaz-Canel, contro i colpi di Stato promossi contro le esperienze progressiste in America Latina.

La situazione di instabilità permanente, con quotidiani blocchi stradali che paralizzano il Paese, sta avendo un costo economico elevato per coloro che avevano visto nel golpe uno strumento contro colui che – secondo loro – minacciava i loro interessi. Alcune categorie particolarmente penalizzate dalla situazione, come i camionisti, hanno espresso con forza tale disagio, dando 48 ore alla Boluarte per risolvere la situazione.

Lo scenario che si apre potrebbe costringere il Congresso ad anticipare ulteriormente le elezioni, convocandole per questo anno e non nell’aprile del 2024, come votato in precedenza, con le contestuali dimissioni della Boluarte ed un’assunzione delle sue funzioni ad interim da parte di W. Zapata, un ex-militare sanguinario di provata fede fujimorista che è presidente del Congreso.

Intanto il 25 gennaio, i gruppi parlamentari di Perú Libre, Cambio Democrático, Perú Democrático hanno presentato la prima mozione di sfiducia contro la Boluarte, che ha però bisogno di 66 voti per essere ammessa alla discussione.

L’insurrezione popolare non sembra placarsi.

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