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Dollaro e monete locali: i BRICS all’attacco di Bretton Woods

Dal 22 al 24 agosto scorso presieduto da Cyril Ramaphosa Presidente della Repubblica Sudafricana. si è tenuto a Johannesburg il quindicesimo vertice dei paesi BRICS composto da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica.

Il termine BRIC, fu coniato nel 2001 da Jim O’Neill, economista presso la banca Goldman&Sachs, in un saggio volto ad individuare le possibilità di profitti finanziari che si andavano delineando con la crescita dei più grandi paesi ‘emergenti’.

L’acronimo è stato ritenuto dai 4 Stati che nel 2006 alla sessantunesima assemblea generale dell’ONU formarono l’organizzazione il cui primo vertice si tenne il 16 giugno del 2009 a Yekaterinburg in Russia. Nel 2010 entrò a farvi parte  il Sudafrica trasformando la dicitura ufficiale in BRICS.   

La riunione di Johannesburg ha visto l’organizzazione ammettere altri sei paesi che vi accederanno a partire dal primo gennaio del 2024, quando la direzione dei BRICS passerà alla Russia ed al suo Presidente Vladimir Putin.

Il prossimo vertice avrà luogo a Kazan, città capitale della Repubblica del Tartarstan situata sul Volga, a 700 km in linea d’aria ad est di Mosca.

Con i nuovi membri i BRICS conteranno 11 paesi: i cinque iniziali cui si aggiungeranno nell’ordine: l’Argentina con 46 milioni di abitanti – la cui adesione effettiva però dipenderà dall’esito delle elezioni presidenziali e parlamentari di ottobre, poiché i due maggiori candidati di destra hanno dichiarato di opporsi fermamente alla partecipazione del paese -, l’Egitto con 110 milioni, l’Etiopia con 127 milioni, l’Arabia Saudita con 37 milioni di abitanti, l’Iran con 90 milioni e gli Emirati arabi con 10 milioni di persone.

Complessivamente i BRICS rasenteranno i tre miliardi e settecento milioni di persone, pari al 45% della popolazione mondiale. Gli undici paesi coprono il 43% della produzione petrolifera mentre in termini di prodotto interno lordo la loro quota è di circa il 30% del Pil globale.

Sommare le componenti di tale organizzazione ha un significato geoeconomico in quanto, come è emerso dal summit di Johannesburg, l’obiettivo è di arrivare alla creazione di uno strumento di regolazione delle transazioni tra gli stessi membri del BRICS che non sia dipendente dalla moneta statunitense.

Aggiungiamo che altri 16 paesi hanno posto la loro candidatura all’organizzazione. Tra questi troviamo l’Algeria, l’Indonesia, il Bangladesh, il Kazakistan, il Venezuela, la Nigeria, il Vietnam ed il Bahrain.

Si noti che Indonesia, Bangladesh e Nigeria sommati oltrepassano le 700 milioni di persone portando i BRICS ben oltre i quattro miliardi di abitanti sugli otto miliardi che popolano il nostro pianeta.

Analogamente, quando verrà accolta la domanda del Kazakistan, della Nigeria e del Bahrain, i BRICS copriranno la maggioranza della produzione petrolifera del pianeta e oltre un terzo di quella del gas naturale.

Rispetto ad altre organizzazioni di cooperazione regionale i BRICS si trovano naturalmente connessi con la Shanghai Cooperation Organisation (SCO) fondata nel 2001 da Cina e Russia. Infatti ne fanno parte anche tre membri fondatori del vecchio BRIC – Cina, India, Russia – nonché il neoentrante Iran.

La SCO contiene anche il Kazakistan, l’Uzbekistan, il Kirghizistan, il Tagikistan ed il Pakistan. Il punto di congiunzione tra BRICS e SCO sono i piani di sviluppo infrastrutturali che si vanno costruendo dalla Russia all’Iran, all’Arabia Saudita. in cui la Cina svolge un ruolo di primo piano.

Riguardo la tempistica delle nuove adesioni ai BRICS, i cinque Stati fondatori hanno espresso esigenze diverse. Infatti l’allargamento ai sei nuovi paesi è scaturito dalla mediazione ad opera della Russia con la Cina, che proponeva 10 nuovi paesi.

Per Pechino era importante garantire che i BRICS rappresentassero quanta più produzione energetica possibile, senza la  quale lo scostamento dal dollaro non sarebbe realizzabile, poiché i prezzi delle materie energetiche sono stabiliti in dollari e le transazioni di questi prodotti. avvengono in tale moneta.

Tuttavia vi sono state anche considerazioni politiche istituzionali incentrate sulla necessità di consolidare l’associazione passo passo.

La storia dei BRICS dalla loro fondazione si è caratterizzata per una grande cautela. Nel 2014 i cinque Stati fondatori istituirono con 100 miliardi di dollari la New Development Bank – NdT – con sede a Shanghai la cui presidente è la signora Dilma Rousseff, già Presidente del Brasile.

Parallelamente i BRICS avevano offerto di incrementare le dotazioni del Fondo Monetario Internazionale di 75 miliardi di dollari con l’esplicita proposta di indirizzare le aumentate capacità di finanziamento verso i paesi sottosviluppati.

La idea dei BRICS non ebbe esito poiché avrebbe richiesto un mutamento delle regole di voto nelle decisioni del Fondo Monetario.

Malgrado l’esigenza di cambiare l’assetto istituzionale-finanziario, la New Development Bank ha agito sin dalla sua fondazione con estrema prudenza dato che il suo capitale si fonda sul dollaro.

Infatti appena il 26 luglio scorso la Presidenza della banca – in cui la Russia detiene pariteticamente con gli altri quattro fondatori il 20% del potere di voto – ha dichiarato di non aver in programma il finanziamento di progetti in Russia e che si atterrà alle limitazioni (sanzioni) in atto.

Non sarebbe possibile altrimenti, in quanto ogni operazione in dollari in qualsiasi parte del mondo è soggetta alle leggi e norme varate da Washington.

Invece le transazioni effettuate fuori dal circuito del dollaro – tipo quelle che risulteranno dal recentissimo accordo tra l’Arabia Saudita e la Cina di vendere il petrolio in yuan  – non incorrerebbero in tali ostacoli a meno che le autorità statunitensi non rinvenissero dei collegamenti indiretti, magari anche creandoli artificiosamente, dando luogo a delle sanzioni formalmente giustificate come causate da fattori collaterali.

Ne consegue che lo sganciamento dal dollaro non passa per la creazione di colpo di una moneta alternativa, bensì richiede la costruzione di un sistema economico integrato che dia spessore alla moneta scelta al fine di regolarne le transazioni.

Molti in Occidente si aspettavano che la riunione di Johannesburg proclamasse il varo della nuova moneta in tempi brevi presumendo che questo strumento fosse l’oro, tra l’altro di non facile reperimento perché un numero elevato di paesi ha i propri lingotti depositati non nella banca centrale nazionale ma presso quelle degli Stati occidentali, come la Banque de France nel caso dei paesi dell’area del franco centrafricano.

Inoltre non è assolutamente garantito che gli Stati i cui lingotti si trovano altrove possano rientrarvi in possesso: perfino la Germania ebbe grandi difficoltà a riottenere le proprie 1500 tonnellate di oro quando nel 2013 ne fece richiesta agli USA ed alla Francia, ricevendone solo una parte.

Il problema del dollaro è sentito ben oltre il gruppo dei BRICS.

Una spiegazione molto chiara di ciò è contenuta in una serie di interventi di William Ruto, Presidente del Kenya, paese che non è nel novero dei candidati ai BRICS. Nel suo discorso di giugno, durante la visita ufficiale nell’ex colonia francese confinante di Gibuti, Ruto ha affermato che non si capisce perché il commercio tra il Kenya e Gibuti debba effettuarsi in dollari.

Usiamo pure i dollari per gli scambi con gli Stati Uniti ma non tra di noi“, ha affermato William Ruto, sottolineando di aver richiesto alla Afreximbank, cui partecipano cinquanta Stati del continente, di regolare le transazioni interafricane tramite le monete locali.

Rispetto alla politica proposta dal presidente del Kenya, la strategia dei BRICS, soprattutto a partire dal vertice di Johannesburg, non si concentra su scambi in monete nazionali, bensì sulla costituzione di un’unità monetaria comune esclusivamente adibita a regolare i flussi tra i paesi BRICS senza conferire potere alla moneta di uno Stato in particolare. 

Un’idea che fu suggerita da Keynes a Bretton Woods nel 1944, da cui egli uscì sconfitto e mortalmente affaticato avendo prevalso la posizione statunitense di fare del dollaro la moneta di riserva  e di creazione di liquidità internazionale.

La radice del problema risiede appunto nella formazione del sistema monetario occidentale guidato dagli USA nato a Bretton Woods nel 1944, la cui storia, impatto e significato attuale sono stati molto ben presentati in un recente articolo di Luca Fantacci (1).

Ne scaturì un ordinamento fondato sul dollaro che nel corso del tempo ha creato una situazione in cui gli Stati Uniti, attraverso la libertà assoluta di emettere la loro moneta come strumento internazionale, sono in grado di finanziare i loro deficit, poiché i detentori esteri di eccedenze in dollari li trasformano in acquisti di obbligazioni e buoni del Tesoro statunitensi.

Tale meccanismo è diventato una droga per le istituzioni ed il mercato finanziario USA, come dimostra la reazione all’accordo tra la Cina e l’Arabia Saudita circa l’utilizzo dello yuan nel commercio bilaterale.

Il 9 agosto il Wall Street Journal online riportava che nell’ambito dei colloqui svolti con il governo saudita dal consigliere alla sicurezza nazionale della Casa Bianca Jake Sullivan, circa la normalizzazione dei rapporti con Israele, Sullivan ha esplicitamente chiesto a Ryad di vendere il petrolio alla Cina esigendo il pagamento in dollari. Cosa che non accadrà per via dell’accordo tra Ryad e Pechino.

Riguardo i paesi in via di sviluppo e in particolare dell’Africa, le istituzioni create a Bretton Woods, il Fondo Monetario e la Banca Mondiale, hanno funzionato malissimo facilitando tendenze all’indebitamento permanente simile alla situazione che caratterizza le vaste masse di contadini poveri in Africa, Asia ed America Latina le quali, costrette per necessità di sopravvivenza a chiedere dei prestiti agli agrari, finiscono nella schiavitù da debito.

Al suo ritorno in Brasile da Johannesburg il presidente Luiz Inàcio Lula da Silva nella trasmissione settimanale ai social media ha osservato che il debito africano non è rimborsabile per cui i paesi del continente spendono “la quasi totalità del loro reddito nel pagamento degli interessi”.

Il compito del Fondo Monetario“, ha detto Lula, “è di trasformare i debiti in investimenti per lo sviluppo in Africa (Lula, linkato in coda). Con questo FMI non credo possa accadere (2).

A Johannesburg si è posta la questione dello sviluppo nel senso di trasformare i produttori di materie prime e di commodities tipo caffè, tè, in prodotti elaborati sia da esportare che da consumare localmente in un mercato nazionale in espansione.

La via è lunga ma la dinamica dei BRICS sarebbe stata del tutto diversa e fortemente in negativo se avesse prevalso la strategia occidentale di far crollare la Russia.

E’ impossibile pensare che il rafforzamento dei BRICS non influenzi la Turchia considerando che quando guarda verso l’Europa Ankara non vede che recessione e ben peggio. 

Sul piano diplomatico il maggior successo dell’organizzazione consiste nell’ aver messo insieme Arabia Saudita e Iran. Il merito di ciò va interamente alla Cina, che aveva già svolto un ruolo determinante  nel porre fine al conflitto in Yemen, ed alla Russia.

* da TheDotCultura

1) Luca Fantacci 22 maggio 2022, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/verso-una-nuova-bretton-woods-35147
2) Lula da Silva, Presidente del Brasile su
Ver Angola 29 agosto 2023
https://www.verangola.net/va/en/082023/Politics/36953/Lula-da-Silva-asks-the-IMF-to-convert-debts-of-African-countries-into-infrastructure-works.htm

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1 Commento


  • Giallo

    l’idea che un popolo SOVRANO possa fare affari con chi vuole è alla base di ogni logica. L’egemone americano, con la sua influenza planetaria basata sulle armi e sanzioni, non farà più paura a chi si unisce al nuovo gruppo BRICS. il petrodollaro, moneta unica di scambio per l’energia, sta già lentamente degradando. Quando si mette una bestia all’angolo è capace di tutto, specialmente se yankee. una fortuna per i BRICS è che la Russia ha i missili Sarmat/ kinstal ecc.. capaci di sterminare tutto e ovunque nel mondo.

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