In questi mesi, editoriali e commenti di varia origine, hanno ripetuto come un mantra che la costruzione europea messa in campo nel 1992 con il Trattato di Maastricht e via via con gli altri trattati che hanno portato all’Eurozona, fosse afflitta da debolezza politica. In alcuni casi era un errore di analisi, in altri una visione strumentale negata sistematicamente dai fatti che indicanao l’esatto contrario.
La costruzione dell’Unione Europea intorno agli interessi strategici del grande capitale e dei suoi organismi sovranazionali (primo tra tutti la Banca Centrale Europea), ha invece proceduto come un bulldozer, aiutata in questo dalla crisi globale, una crisi che i gruppi finanziari e multinazionali europei stanno sfruttando ampiamente per realizzare con terapie d’urto gli obiettivi che perseguono da almeno un ventennio. La moneta unica – l’euro – ha sicuramente contribuito a costruire un’area valutaria ed economica diversa e alternativa al dollaro e all’egemonia Usa, ma lo ha fatto sostanzialmente “americanizzando” e distruggendo il vecchio modello sociale europeo per tanto tempo sbandierato come diverso e migliore da quello iperliberista di tipo anglosassone.
Lo spirito su cui è nata e cresciuta la strategia dell’Unione Europea è quella di rastrellare tutte le risorse possibili per avviare politiche di sostegno al capitale dentro la competizione globale sottraendole al lavoro e al reddito delle famiglie. I soldi servono per sostenere le banche, per sostenere le esportazioni e gli investimenti esteri delle imprese private e servono per le spese militari, le quali non devono mai scendere sotto una certa soglia e devono poter aumentare qualora debbano essere finanziate operazioni sui teatri di crisi internazionale. Solo dopo aver assolto a queste priorità – tipiche di un polo imperialista – le risorse che restano possono esser dedicate alla “riproduzione sociale complessiva” per lavoratori, pensionati, disoccupati, famiglie etc.
Oggi le classi dominanti che gestiscono l’Unione Europea hanno creato effettivamente quel “governo transnazionale” che ha liquidato prima la sovranità monetaria dei singoli stati membri ed ora la loro sovranità politica. Oggi ci sono già i governi dei paesi PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna) commissariati dalla Bce e dal direttorio franco-tedesco. C’è inoltre un paese centrale dell’Unione Europea, il Belgio, che da più di un anno è senza governo e questo non sta creando alcun problema, anzi è la conferma che la “governance” oggi si attua a livello centralizzato e che i governi nazionali hanno ormai compiti limitati di amministrazione delle indicazioni centrali, primo fra tutti quello di reprimere con durezza il “fronte interno” dei conflitti sociali (vedi Gran Bretagna o Grecia) per imporre i diktat della Bce e del direttorio europeo.
In tale contesto, è quanto mai necessario che obiettivi e categorie come le nazionalizzazioni, l’uscita dall’euro e dall’Unione Europea non siano più guardate con sospetto dalla sinistra europea ma, al contrario, comincino ad entrare nelle agende politiche e sindacali di tutte le forze anticapitaliste. E’ in gioco moltissimo delle prospettive di democrazia e giustizia sociale nei nostri paesi. Aver sottovalutato in questi anni la “Mala Europa” è stato un errore che tanti devono cominciare a recuperare rapidamente. Dentro l’Europa ma fuori dall’Unione Europea sta diventando qualcosa di più importante e vitale di uno slogan.
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