Che a sua volta ha confermato il non evento. Tutta la Cgil, necessariamente, è obbligata a credere al proprio segretario generale. Altrimenti dovrebbe sfiduciarla immediatamente per “intelligenza col nemico”.
Un’organizzazione sindacale con più di 100 anni di vita, che conta 5 milioni e 700mila iscritti, è appesa alla parola d’onore di una singola persona. Peraltro non particolarmente attendibile quanto ad onore e combattività.
C’è qualcosa di sbagliato, è evidente. Si sta discutendo di una riforma del mercato del lavoro che ha dimensioni epocali, che cambia la natura strutturale dei rapporti tra imprese e lavoratori, e quasi sei milioni di persone non sanno assolutamente quale sia la posizione vera della propria organizzazione. Le parole spese ufficialmente da Camusso – “siamo disponibili a discutere solo di tempi certi per le cause di licenziamento in tribunale” – non hanno spazio al “tavolo” con il governo. Lo sanno tutti. Se dovessero essere prese sul serio, la Cgil sarebbe già in campo in tutte le piazze d’Italia e soprattutto sotto palazzo Chigi. Perché quel che il governo ha già dichiarato di voler fare – “meglio con consenso delle parti sociali, altrimenti senza” – è l’esatto opposto.
Dunque, non possiamo credere alla smentita di Camusso. Il suo “punto di caduta” nel confronto con il governo non può essere quello che ha dichiarato finora. E nessun altro, nella Cgil, sa quale sia.
Ci sembra che si sia aperto, in questa organizzazione, un problema di democrazia grande come un grattacielo. Che o si risolve con un rovesciamento dei rapporti di forza interni – e ovviamente un cambio di segretario generale – oppure si consolida nella dittatura “craxiana” su un pezzo decisivo del movimento operaio. E l’estromissione delle ormai molte opposizioni interne.
Il Parlamento greco ha votato le misure imposte dalla troika in un palazzo assediato dalla popolazione. Deputati dissidenti dei partiti della “grande coalizione” sono stati immediatamente espulsi. Un numero clamoroso di scioperi generali, da due anni a questa parte, non ha sortito alcun effetto sulla “politica” di palazzo. È dunque perfettamente giusto definirlo un “Parlamento coloniale”, che risponde a poteri esterni, non più alla propria popolazione. È la stessa situazione che è stata costruita in Italia con il governo Monti. Un “dettaglio” che dovrebbe far riflettere molto seriamente – a sinistra – chi fin qui ha identificato il “far politica” con l'”andare in Parlamento”.
È necessario interrogarsi anche sull’inefficacia “politica” di tutte le forme di lotta fin qui messe in campo in Grecia. La blindatura delle “istituzioni” davanti all’opposizione popolare pone un problema di democrazia ancora più grande, rendendo carta straccia le dichiarazione roboanti sulla natura politica dell’Europa reale in costruzione.
Fin qui, in Italia, la risposta di massa a politiche identiche – anche se a un livello di intensità per il momento inferiore – è stata particolarmente “calma”. I “corpi intermedi” (partiti e sindacati confedrali) sono stati mobilitati al massimo per evitare che il malcontento potesse condensarsi in movimenti di opposizione. Quel che si è comunque mosso, dal sindacalismo di base al movimento “No debito”, alle iniziative della Fiom, è lodevole ma ancora insufficiente. Non diciamo a far cambiare idea ai poteri dominanti, ma neppure a far accendere la scintilla di una resistenza di massa.
È decisamente ora di cambiare passo. Subito. Senza aspettare la “configurazione politica perfetta”. Che, nella lotta di classe, non si realizza mai davvero.
C’è una prima scadenza immediata. La manifestazione nazionale indetta dalla Fiom per sabato 18 è stata annullata e sostituita con uno sciopero generale per il 9 marzo. E’ un’ottima notizia, un vero segnale di mobilitazione. Il movimento “No debito”, che aveva dato la sua adesione, non farà mancare la sua partecipazione ancora più convinta.
Dovrà essere una grande manifestazione, come dovrà esserlo quella di Milano il prossimo 17 marzo.
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