Siccome questa volta i problemi sono un po’ più gravi, il beneamato Letta il Giovane ha pensato bene di cambiare la Costituzione. Siccome è ben consigliato dallo zio, Letta il Vecchio, ha aperto un portone ai berlusconiani: viva il presidenzialismo.
Alcune considerazioni sul tema, e la premessa per cui il prossimo che prova a parlare di “voto utile” (“turatevi il naso e votate Pd per non far vincere Berlusconi”) meriterà di essere trattato come un manifestante dalla polizia turca.
Abbiamo già esperienza dei pasticci immondi che il “pensiero democratico” di matrice Pd riesce a combinare quando approccia temi più grandi della propria miopia. La riforma del “Titolo V”, fatta a maggioranza semplice nel 2001, che ha introdotto la “legislazione concorrente” tra Stato centrale e Regioni s’è guadagnata ben presto un posto tra i princìpi tumorali più pericolosi. L’inserimento bipartisan dell’obbligo al “pareggio di bilancio” nel 2012 è il mostro che promette di divorarci la vita nei prossimi anni, ed ancora non ha dispiegato neanche un millesimo del suo potenziale negativo.
Abbiamo dunque una vaga idea del mostro costituzionale che potrà essere partorito dalla congiunzione carnale tra berlusconiani doc e antiberlusconiani in servizio solo durante la campagna elettorale. Non siamo i soli, visto che persino in ambito democratico sono già partiti i convegni e le manifestazioni sottto lo slogan “non è cosa vostra”, con chiare ma tenui allusioni al carattere politico-mafioso della torsione presidenzialista.
Una operazione che presenta almeno due profili principali. Quello “politico”, ovvero la modifica della “costituzione materiale”, è opera infernale di cui andrà ringraziato storicamente Giorgio Napolitano. La sua gestione politica del defenestramento di Berlusconi, dell’assunzione in cielo di Mario Monti e il successivo impedimento di qualsiasi governo non comprendesse di nuovo il Cavaliere ha di fatto creato un “presidenzialismo reale” che ora chiede ratifica formale.
Quello costituzionale, invece, può diventare di straordinaria complessità, visto che la nostra Carta è scritta in modo decisamente coerente, e quindi non sarà affatto sufficiente aggiungere due paroline sulle modalità di elezione del presidente della Repubblica per trasformare un’architettura parlamentare in un’altra di tipo presidenzialista.
Si deve infatti ridefinire sia la struttura dei poteri – attualmente al Colle è affidato soltanto lo scioglimento delle Camere, ma solo dopo che le due Camere stesse hanno certificato la propria impotenza a creare un governo – sia, e soprattutto, la struttura dei “contrappesi”. Un Presidente, per esempio, che sia il dominus dell’esecutivo e contemporaneamente anche “scioglitore” del legislativo, sarebbe davvero un dittatore in piena Europa democratica. Tanto più in un paese, come il nostro, dove la tentazione della “scorciatoia” è un vizio nazionale che va ben al di là del modus vivendi berlusconiano.
Non sarà semplice sciogliere gli inestricabili pasticci in soli 18 mesi (quelli concessi da Napolitano per arrivare al dunque). E un impianto mal concepito e peggio scritto, cadrebbe facile preda dei niet della Corte Costituzionale. Risulta persino imbarazzante pensare a quali ragioni possano aver spinto Letta il Giovane a rinunciare, praticamente, alla correzione della legge elettorale per puntare all’assai più complicata riforma costituzionale.
Giochini pidiellini a parte, infatti, una sola urgenza sembra ipotizzabile: quella di “blindare” un ceto politico privo di progetto autonomo. Il programma di governo, infatti, viene deciso a Bruxelles e Francoforte; basta ricordare come le “raccomandazioni” che hanno accompagnato la chiusura della “procedura d’infrazione per deficit eccessivo” siano arrivate al punto di indicare persino la struttura degli asili nido.
Programmi antipopolari e impopolari, che tolgono consensi elettorali ai partiti che accettano di metterli in pratica. E allora sorge la necessità di eliminare la possibilità di essere scalzati, dal voto popolare o in altro modo. Una “verticalizzazione” della decisione politica che implica la riduzione dei partecipanti al gioco politico, così come a quello sindacale (il recentissimo “accordo sulla rappresentanza”, firmato da Cgil-Cisl-Uil, è fatto della stessa materia).
Per questo occorre un “presidente Re”, inamovibile dopo l’elezione e padrone del potere esecutivo. Un gioco pericoloso anche per chi lo fa, oltre che per l’opposizione. Affidare a un uomo solo tutto quel potere rischia di trasformarlo in parafulmine.
E questi sono tempi davvero tempestosi…
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