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Mafia e capitale. Rimedi peggiori della malattia

Il verminaio portato alla luce con l’inchiesta su Mafia Capitale, un pò come accadde per Tangentopoli, rischia di produrre soluzioni peggiori della malattia. Venti anni fa venne spazzato via un ceto politico e un sistema economico/sociale ereditati dagli equilibri del dopoguerra. Ma a sostituirlo – eccezion fatta per la variabile impazzita berlusconiana – doveva essere una nuova classe dirigente, sintesi degli interessi dei grandi gruppi finanziari e multinazionali e con quelli della tecnocrazia di stampo bocconiano ed europeo. Quell’operazione non ebbe molto successo e solo nel 2011 questa nuova classe dirigente è riuscita a imporsi e ad imporre le sue priorità al paese.

Adesso che l’intero ceto politico capitolino, erede di quella contraddizione, rischia di essere spazzato via, si profila la possibilità che a sostituirlo non sia il “governo dei migliori”, ma una classe dominante cinica e oligarchica, che corrisponde esattamente a quel “Mondo di Sopra” per il quale i faccendieri, i malavitosi, i fascisti e i politicanti del Mondo di Mezzo hanno fatto per anni il lavoro sporco.

In questo cambio di passo, evidente già dalla lettera della Bce del 5 agosto 2011, emerge il vero volto del nemico e il progetto contro cui occorre combattere con ogni mezzo necessario. Il nemico sono gli interessi privati delle oligarchie, il progetto sono le privatizzazioni di ogni aspetto della vita sociale che questi stanno perseguendo con violenza e spregiudicatezza.

A nessuno sfugge come l’inchiesta su Mafia Capitale abbia evidenziato che la zona grigia in cui soggetti privati “legali” o “criminali” hanno perseguito i loro interessi, sia stata propria quella aperta con le privatizzazioni dei servizi.

Quando il Comune di Roma – con le giunte degli ultimi venti anni – ha privatizzato la gestione del verde, i servizi sociali, i centri di accoglienza per immigrati, l’emergenza abitativa, i campi rom, l’assistenza, le pulizie etc, questo ha consentito a holding senza scrupoli di accaparrarsi tutto l’accaparrabile. Senza incontrare resistenze negli apparati politici e amministrativi, ha pagato mazzette, ha alzato qua e là la voce (e le mani…), veicolato assunzioni, il network Buzzi/Carminati ha messo a proprio vantaggio tutte le “ritirate” del soggetto pubblico (Comune, Municipi, Regione etc.) dalla gestione dei servizi di cui hanno comunque la responsabilità.

Attraverso il sistema delle esternalizzazioni e delle privatizzazioni, le istituzioni hanno consegnato pezzi interi dell’economia e dei servizi pubblici a soggetti privati. Tutto questo ha provocato un aumento dei costi (i dati su questo parlano chiarissimo), il peggioramento dei servizi per gli utenti e delle condizioni di lavoro di chi ci lavora. Il motivo è semplice: si è privatizzato, ma utilizzando quasi esclusivamente i soldi pubblici.

Il problema è che adesso le inchieste della magistratura, e le campagne dei moralizzatori, stanno creando la condizione per una ulteriore accelerazione di questo processo di privatizzazione. Da un lato i magistrati non possono che certificare la regolarità o meno delle procedure, intervenendo solo quando ravvisa degli illeciti; dall’altro, i moralizzatori continuano a sparare sul “pubblico” per far strada agli interessi privati. Entrambi coincidono ideologicamente sul fatto che “solo il privato”, per le sue caratteristiche, possa gestire efficacemente un servizio pubblico.

Non spiegano però che anche in questo caso il privato non rischia niente di suo, ma investe anche quando non dispone dei soldi, perchè questi sono assicurati dal soggetto pubblico. Un esempio di questa perversione viene da sistemi come il project financing, dove gran parte dell’esposizione finanziaria è del soggetto pubblico e il massimo di beneficio economico va nelle tasche del soggetto privato. E’ il caso delle autostrade o dei Punti Verde Qualità nel Comune di Roma o degli ospedali veneti e lombardi.

Il governo Renzi, tra l’altro, sta preparando su questo terreno il Civil Act, ossia una sorta di Jobs Act per la gestione privatistica dell’intero sistema dei servizi sociali, affidandoli definitivamente alle fondazioni bancarie e ai manager del No profit.

Questi soggetti però non sono entrepreneur, ossia imprenditori che avviano in proprio una attività, rischiando di loro e producendo beni o idee vendibili sul mercato. In questo caso sono invece pericolosi parassiti che possono contare sui soldi e sulle garanzie del soggetto pubblico per operazioni a fini di profitto privato, solo mascherati da “scopi sociali”. Un meccanismo micidiale, nel quale gli interessi collettivi sono penalizzati sotto ogni aspetto: economico, sociale, qualitativo, lavorativo.

La privatizzazione dei servizi è dunque la malattia da battere e da combattere, a cominciare da un’area metropolitana come Roma – ma anche nella Milano dell’Expo. Dal polverone e dalla merde sollevata dall’inchiesta Mafia Capitale ci sono due vie d’uscita: o la consegna definitiva e totale di una metropoli nel suo complesso in mano agli squali della finanza e delle multinazionali delle utilities, oppure una alternativa di amministrazione del bene comune, che rompa frontalmente con questi interessi e disegni nuove priorità sociali, a partire dalle esigenze popolari.

I balbettii su una nuova sinistra di governo dobbiamo temerli come la peste, perchè sono stati pienamente corresponsabili di quanto abbiamo sotto gli occhi a Roma o a Milano. Non avevano, non vedono e non hanno la cultura politica del cambiamento come necessaria rottura dell’esistente, nè della rottura come presupposto decisivo del cambiamento.

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