Ha ragioni da vendere il buon Zero Calcare augurandosi che finisca presto questa estate di merda. Temiamo però che la melma maleodorante emersa in questi mesi non scomparirà molto presto, anzi tenderà a consolidarsi. I fatti di Piazza Indipendenza a Roma ne sono la dimostrazione più evidente.
“Devono sparire, peggio per loro, se tirano qualcosa spezzategli un braccio” sono le undici parole pronunciate da un funzionario di polizia mentre insieme ai suo agenti inseguivano alla Stazione Termini un gruppo di rifugiati somali ed eritrei sgomberati da un palazzo occupato quattro anni fa e ormai dispersi, di nuovo in fuga dalla violenza che si è abbattuta su di loro nelle strade della Capitale del nostro paese.
In quelle undici parole c’è una visione del mondo e la realtà del paese in cui ci è toccato di vivere.
“Devono sparire”: c’è in queste parole la sintesi delle leggi sul decoro urbano del ministro Minniti. I poveri, i reietti, i rifugiati devono sparire alla vista. Possono esistere ma non manifestarsi; possono avere in mano permessi e autorizzazioni ufficiali ma non rivendicare esigenze come quella abitativa; possono iscrivere legalmente i figli nelle nostre scuole ma accettare che scompaiano dai registri perché “trasferiti altrove”. Sparire alla vista, sparire come problema, sparire come persone. Come direbbe Woody Allen “quando sento Wagner mi viene voglia di invadere la Polonia”. Sì perché ci sono parole e circostanze che evocano quasi naturalmente contesti che il mondo ha vissuto come orrori ma che possono ripresentarsi come tragedie.
“Peggio per loro. Se tirano qualcosa spaccategli un braccio”. Se devi sparire guai a chi oppone resistenza, una legittima resistenza, legittima anche di fronte a leggi che sanno di razzismo e disonore, anche di fronte all’attuazione di queste leggi. Chi oppone resistenza lo fa con quello che ha a disposizione: il proprio corpo, quello che trova per strada, la fuga per non farsi prendere, passivamente o attivamente che sia. Resistere in alcuni casi è un modo per esistere, per dimostrare di essere vivi e avere una propria dignità come esseri umani, anche e soprattutto di fronte ad una legalità funzionale all’ingiustizia sociale.
Le cronache si accaniscono oggi su due rappresentazioni contrapposte per cercare di alimentare quel “non vedo, non sento, non parlo” che agisce anche quando si vede, si sente e si parla di quanto accaduto.
La parole del funzionario di polizia durante la caccia all’uomo alla stazione Termini (quindi non sotto al palazzo sgomberato ma a centinaia di metri di distanza), vengono così depotenziate e rese simmetriche dal gesto di umanità di un agente di polizia che consola una donna disperata non solo da quello che stava vivendo (sgombero, botte, idranti, scontri etc) ma da quello che si era portata dentro e dietro, fuggendo da paesi dove morte, violenze, torture segnano la vita quotidiana rendendola relativa, sfuggevole, discrezionale o fortuita.
E’ una fortuna che tra gli uomini in divisa ci sia chi pensa a spaccare braccia e chi riesce a non rinunciare a gesti di umanità. Il problema vero sono le indicazioni dall’alto, quelle che definiscono in un senso o nell’altro le regole d’ingaggio nella gestione delle piazze e dell’ordine pubblico.
In questo senso lo spirito dei decreti Minniti è pienamente rappresentato dal funzionario spaccabraccia mentre l’attuazione burocratica degli stessi è ben rappresentato dalla Prefetta di Roma o dall’insulso comunicato del Comune di Roma. Il ministro dà le indicazioni su come comportarsi, il Prefetto le attua, il Comune al massimo dà assistenza alle “criticità”, nessuno mette in campo soluzioni alternative agli sgomberi o dopo gli sgomberi. Conclusione: “devono sparire, peggio per loro, se tirano qualcosa spaccategli le braccia”.
E’ evidente ormai a occhio nudo come il mandato del ministro Minniti sia “il problema” da rimuovere prima ancora di mettere mano alle soluzioni alle emergenze sociali. Saranno poi gli abitanti di Roma a decidere se il mandato di Virginia Raggi abbia ancora un senso per proseguire o debba uscire di scena. Ma le dimissioni di Minniti sono oggi il minimo sindacale su cui ricostruire un senso comune democratico, civile, antirazzista che avvii una controtendenza rispetto al paese che abbiamo visto all’opera – in alto come in basso – in questa “estate di merda”. Vale la pena di esistere e resistere solo se si ha una visione del mondo diametralmente opposto a quelle undici parole pesanti come macigni.
la foto è di Patrizia Cortellessa
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massimo
In un mondo,dove una piccola parte di società possiede il 50% della ricchezza totale,dove se parli di comunismo o ti dichiari Comunista(non inteso come estimatore del ‘ex URSS)ma come sistema di uguaglianza e di giustizia sociale) vieni considerato peggio di un fascista,quando dici che era inevitabile,che il colonialismo,le guerre,lo sfruttamento e la corruzzione dei paesi del terzo mondo da parte delle democrazie occidentali,avrebbe portato alle conseguenze attuali,ti senti dire che è solo retorica,che i negri devono stare a casa loro,perchè per fattori religiosi o di cultura,non riusciranno mai ad integrarsial nostro modo di vivere.Chi fra 50 0 60 anni sarà ancora in vita(parlo dei ragazzi di oggi)vedrà un mondo un pò diverso,fatto di razze multietniche,di culture modificate,e di mentalità più aperte,pronte ad accettare nel bene e nel male i cambiamenti.