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Marchionne, il peggiore

Non abbiamo mai rispettato l’invito al parce sepulto (risparmiare cattiverie nei confronti di un morto). E tantomeno lo facciamo nel caso di Sergio Marchionne, ancora vivo seppur in condizioni definite “irreversibili”.

Abbiamo di proposito lasciato scendere il polverone di salamelecchi e scodinzolamenti che tutta la stampa padronale ha dedicato al “migliore di tutti loro”. Abbiamo registrato una dose di piaggeria e falsità che non verrà probabilmente sparsa neppure quando Elisabetta d’Inghilterra raggiungerà i suoi predecessori.

E’ servita una dose mostruosa di melassa per coprire il tanfo di cinismo proveniente dai vertici di Fca (Fiat Chrysler Automobiles), che mostravano al pubblico la lacrima al termine di un cda convocato in tutta fretta a mercati chiusi per limitare eccessivi contraccolpi al valore azionario del titolo. Non è servito a molto, in questo senso, ma dà la misura di quanta “sensibilità” attraversi gli uffici della maison Agnelli-Elkann.

E’ la logica del capitale, nulla di strano. Gli uomini, in questa logica, non sono persone, ma “risorse” da sfruttare finché ce n’è, poi si buttano. Vale anche per il super-manager, che quella logica ha rappresentato al livello più alto possibile.

Perché Marchionne, non era “un padrone”, ma un funzionario del capitale. Abile, cattivo, insensibile e violento (licenziare migliaia di persone e gettarle nella disperazione non è esattamente un gesto gentile, equivale a un bombardamento…), ma sostituibile e sostituito con tutta la rapidità possibile. Anche il “coccodrillo” dettato da John Elkann – mentre il suo “dipendente” è ancora in vita – è stato un atto di cinismo degno della casata da cui proviene.

Nessuno ha fatto notare che la “riservatezza” che ha circondato il ricovero in un prestigioso ospedale svizzero – ufficialmente non è stato neppure ammesso che sia lì, non si sa in quale reparto, per quale ragione una “operazione alla spalla” abbia portato al coma irreversibile, ecc – somiglia dannatamente a quei “raffreddori” mortali che in epoca brezneviana colpivano i vertici del Cremlino. Quasi che neanche i tumori possano sfiorare l’eccelsa superiorità di certi vertici…

Umanità” a parte, ci sono almeno due punti nella narrazione beatificante Marchionne che risultano impossibili da lasciar passare il silenzio.

Il primo è legato al “salvataggio della Fiat”, al rilancio della sua “italianità”, alla “conquista dell’America”. Balle.

Marchionne ha certamente rilevato la Fiat quando era in stato comatoso, dopo la gestione di Fresco. Un produttore di automobili che non azzeccava più un modello da tempo immemorabile, che aveva seminato “bidoni” inguardabili e soprattutto invenduti. Una galassia di società pronte per essere assorbite da General Motors, a sua volta in condizioni altrettanto brutte.

La sua prima “genialata” è stato un colpo da avvocato d’affari, più che da imprenditore; ed è consistita nello sciogliere il legame legale con GM esercitando l’allora famosa opzione put (negoziata da Fresco, in precedenza): gli americani erano contrattualmente obbligati a comprare tutte le azioni Fiat su richiesta di quest’ultima, ma – non potendo farlo per problemi finanziari gravissimi – concordarono nello sciogliere il contratto in cambio di 2 miliardi di dollari.

Fu Obama ad offrire Chrysler alla Fiat, impegnandosi a prestare parecchi miliardi pur di far rinascere il terzo marchio storico degli Usa, di fatto chiuso dopo l’esperienza fallimentare con Mercedes Benz.

Soldi pubblici (da restituire, in caso di successo) per fare business; un modello che Fiat conosceva benissimo per averlo praticato per oltre un secolo, in Italia (senza restituire mai nulla, qui). L’apporto industriale italiano fu importante (motori e tecnologie “pulite”, consumi ridotti) e rivitalizzante, soprattutto per la gallina dalle uova d’oro di casa Chrysler: il marchio Jeep.

Ma il prezzo fu la trasformazione definitiva della Fiat in una multinazionale di fatto statunitense, con conseguente abbandono – nemmeno troppo lento – della produzione in Italia, dove lascia ben presto quasi soltanto i marchi di lusso, quelli col più alto indice di reddito per unità venduta (Ferrari, Maserati, Alfa, i suv), chiudendo stabilimenti (Termini Imerese, quasi tutta Mirafiori). Una scelta confermata solo due mesi fa, con l’abbandono dei modelli Punto e Mito, il ritorno della Panda in Polonia e la produzione di suv Maserati e Jeep rispettivamente a Mirafiori e Pomigliano.

L’operazione riesce soprattutto perché apre a Chrysler il mercato europeo, fin lì ostacolato da dazi tariffari (a quel punto Jeep è un’”auto italiana”) e consumi impensabili per le abitudini continentali. Non avviene infatti l’opposto (Fiat negli Usa vende poco o nulla). E’ quindi anche il peso del mercato a decidere che, in fondo, Fca è ora stars and stripes.

L’altro pilastro del “successo” – completamente occultato dalla narrazione beatificante – è l’azzeramento del costo del lavoro sulle due sponde dell’Atlantico. Negli Stati Uniti Marchionne strappa un contratto-capestro in cui i salari dei pochi lavoratori Chrysler riassunti vengono di fatto dimezzati, così come i piani sanitari e pensionistici (negli Usa non c’è un sistema pubblico). Poi racconterà in giro che “gli operai americani lo ringraziavano per aver loro salvato la pelle”, ma persino il capo del morbidissimo sindacato Uaw – Ron Gettelfinger – rifiutò allora di stringergli la mano esclamando: “State distruggendo un secolo di sindacalismo americano”. Poca roba, certamente, ma meglio del nulla imposto da Marchionne…

E’ stato però in Italia che Marchionne ha segnato l’epoca dell’azzeramento del potere contrattuale dei lavoratori, quindi sia dei salari che delle condizioni di lavoro.

E dire che aveva cominciato presentando un profilo molto moderato rispetto all’aggressività della Confindustria dei primi anni del nuovo millennio. Poteva permetterselo, spiegava, perché in Fiat il costo del lavoro rappresentava ormai solo il 6-7% dei costi complessivi; il resto era materie prime, energia, trasporti, ecc.

Ma quando decise di spostare la produzione della Panda dallo stabilimento polacco di Tychy a quello napoletano di Pomigliano d’Arco, anche quel margine risicato era diventato di colpo appetibile e da rosicchiare al massimo. Il manager col maglione ruppe tutte le regole consolidate nelle relazioni industriali di questo paese. Le “nuove regole interne” erano dittatoriali, tanto che furono accettate all’inizio soltanto dal Fismic, l’ex Sida, storico “sindacato aziendale” finanziato e creato dalla stessa Fiat (Cisl e Uil ci misero solo pochi minuti in più…). La minaccia fu subito esplicita e ripetuta, da allora in poi, in ogni stabilimento italiano: o accettate queste regole con un referendum, oppure chiudo e me ne vado a produrre da un’altra parte.

Rifiutò – dopo quasi 70 anni – di sottoscrivere il contratto nazionale dei metalmeccanici, uscendo per questo da Confindustria e Federmeccanica (il ramo settoriale dell’associazione imprenditoriale). L’intento era rivendicato: eliminare il sindacato, in quel momento soprattutto la Fiom, che condusse l’ultima dignitosa battaglia di resistenza, incoronando momentaneamente Maurizio Landini come “grande speraza della sinistra”.

Il “modello Pomigliano” è una galera-caserma dove i ritmi sono infernali, le pause tutte soppresse, l’usura fisica altissima (aumentano rapidamente i casi di operai che diventano “inabili al lavoro”, presto messi in cassa integrazione e di lì sulla via del licenziamento).

Addirittura venne istituita una gogna pubblica per chi commette qualche errore. Diventò presto famoso il “”rito dell’acquario”, in cui un operaio che ha sbagliato qualcosa viene messo davanti a colleghi e dirigenti chiamati a decidere la sua punizione; il tutto dentro stanzoni con le pareti di vetro, perché da fuori tutti possano vedere la sua umiliazione. A condurre il rito, quasi sempre, “capi” Fiat in odor di cattive frequentazioni sul territorio napoletano. Se la contestazione del “metodo mafioso” fosse avanzata anche in sede di fabbrica, se ne vedrebbero della belle….

Marchionne ha portato nelle relazioni industriali italiane la pratica per cui l’azienda “si sceglie il sindacato” con cui trattare, rifiutandosi di riconoscere gli altri. Ha potuto farlo per un clamoroso errore politico commesso soprattutto dalla Cgil negli anni lontani in cui era effettivamente il principale e vero rappresentante dei lavoratori, rifiutando l’idea che si potesse fissare in una legge il ruolo e la funzione del sindacato.

Marchionne ha insomma sfruttato un varco esistente tra il ruolo del sindacato come soggetto collettivo privato, firmatario però di contratti validi erga omnes, ossia per tutti i lavoratori (anziché soltanto per i propri iscritti). Ossia un soggetto che esercita una funzione pubblica (valida per tutti) pur mantenendo una forma privata. Di fatto, il riconoscimento del sindacato come soggetto abilitato a contrattare a nome di tutti i lavoratori era sostanzialmente dato dalla controparte, ossia dalle aziende. Quel riconoscimento reciproco era un “patto” che stava in piedi solo per volontà di entrambi, ma non validato da alcuna legge.

Anche qui, insomma, una “genialata” da avvocato d’affari, da esperto in codicilli e regole legali, ma sulla base di rapporti di forza mai così favorevoli alle imprese. Ma per quanto riguarda il successo industriale, sarà forse il caso di segnalare che “il settimo gruppo automobilistico del mondo” è anche l’unico, al momento, a non aver una linea di modelli ibridi, una ricerca seria sull’elettrico, ecc. Non proprio “all’avanguardia”, insomma. In definitiva, il “grande successo” delle operazioni di Marchionne si è risolto in una messa in sicurezza della struttura finanziaria della proprietà e della famiglia Agnelli. E tutto ciò viene raccontato come un “successo per gli interessi del paese”. Basti ricordare che i dipendenti in Italia, sotto la sua gestione, sono passati da 120.000 a 29.000. Ferrari e Maserati comprese…

Per questo e per altro, in definitiva, i lavoratori italiani – e noi con loro – non abbiamo mai considerato Marchionne né un “santo”, né un “difensore dell’italianità” della Fiat. Lo sapeva anche lui, del resto, quando ricordava che i lavoratori italiani “volevano fargli la pelle”. Come in guerra, dunque, ognuno piange i suoi morti e solo quelli.

Vedi anche: https://contropiano.org/news/lavoro-conflitto-news/2018/07/26/marchionne-romiti-valletta-e-la-famiglia-agnelli-0106161

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21 Commenti


  • claudio

    La vostra analisi del ‘ lavoro” di Marchionne è perfetta. Un grande furbo che prima ha fregato la General Motors poi ha tagliato sugli stipendi degli operai americani ha costretto con il ricatto a accettare la sue condizioni pena la chiusura dello stabilimento di Pomigliano. Ha chiuso Termini Imerese. Gli utili della Fiat sono tutti dagli Stati Uniti. La Fiat in Italia e’ ancora in passivo.I modelli popolari sono stati spostati all’estero. In Italia si produrranno solo veicoli di alta gamma molto costosi fuori dalle possibilità Delle tasche degli Italiani. In questi 16 anni alla guida della Fiat ha guadagnato tra stipendi e azioni un capitale di 600 milioni di euro portati in Svizzera perché lui ha portato lì la residenza. In Italia non paga niente come la Fiat che ha la sede legale in.Olanda e quella fiscale in Inghilterra. Fate voi il giudizio di questa persona, un vero Italiano!


  • PATRIZIA

    Anche Crozza con la sua satira … lo imitava in uno stato alterato inseguito dalla FIOM .. ricordate !


  • Franco

    Purtroppo da dipendente FIAT quell’era l’ho vissuta, ha fatto i suoi interessi e quelli della finanza, ha avuto l’appoggio del PD che non ha mai difeso i lavoratori, e quello di due sindacati che a mio giudizio non hanno difeso i lavoratori ma hanno appoggiato quest’essere succhiasangue. Mi auguro solo che post mortem il Landini non tiri fuori la lacrimuccia


  • Gaetano savoca

    Persona cinica, egoista e senza scrupoli. Capisco che la Fiat aveva la febbre da cavallo e necessitava una terapia d’urto, però non è da grande manager massacrare la classe operaia, non riconoscergli neanche i diritti umani. Si i diritti umani, perché Marchionne ha calpestato i diritti umani facendo perfino i processi pubblici come fece la chiesa con il filosofo di Campo dei Fiori. Quando busserà alle porte di San Pietro avrà molto da farsi perdonare. Perdonatelo voi per me che io non posso.


  • Gloria de Lisio

    E’ l’uomo nuovo come deve essere. Peccato che debba essere così……


  • marialaura galante

    continuo a dire che le accuse che comunque arrivano dalla sinistra istituzionale, con cui questo scritto non ha a che fare, muta e incapace sul piano economico e del capitalismo, sono patetiche quando non ipocrite.. mlaura galante


  • Alexiej

    Se quanto narrato sopra è potuto accadere, viene del resto detto, le cause sono a monte. In un sistema di relazioni politica e sindacato, soprattutto Cgil, del tutto anomale e insostenibili.
    Marchionne ha svolto il suo ruolo, altri non hanno svolto il loro.
    Quindi al manager Marchionne tanto di cappello (ancorché potesse essere un po’ più “umano”), pollice verso a chi, da anni, in Italia ha sbagliato tanto specialmente verso il lavoro e i lavoratori.
    Chi è causa del suo male, pianga se stesso (noo?).


  • marco

    faremo tutti una grande festa per augurare buon viaggio all’inferno al mostro.
    non riparerà il male fatto da marchionne, nè ci ridarà i compagni morti a causa sua.
    Ma almeno sancirà che c’è ancora il benedetto diritto alla catarsi e sarà un’occasione per ritrovarci


  • mauro

    per chi pensa che l’auto elettrica possa salvare una casa automobilistica, vale la pena ricordare che l’enorme quantità in meno di componenti porterà ad una riduzione delle maestranze che servirà tassare in quantità molto elevata sia veicoli che energia elettrica per pagare i sussidi a quanti perderanno il lavoro


    • Redazione Contropiano

      Il progresso tecnologico è inarrestabile e SE il futuro è dell’auto elettrica – non ci giuriamo, ma molti produttori stanno sviluppando la produzione, oltre che la ricerca in questa direzione – per chi non ha oggi una linea precisa su questo fronte le aspettative sono magre… Insomma, SE il futuro è quello, per la Fiat sarebbe finita, indipendentemente dal numero di componenti necessarie a fare un’auto a combustione interna che resterebbe invenduta o quasi (c’è sempre qualche nicchia di mercato, in qualche angolo meno sviluppato del globo).


  • Massimo

    Ma secondo voi la Fiat senza Marchionne sarebbe rimasta in vita?


  • marco

    guarda, solo per l’affare “irisbus” c’era un’azienda, emanazione della municipalità di pechino (quindi un’azienda pubblica e solida) che si era offerta di rileverla a prezzo di mercato, di riassumere tutto il personale con il vecchio contratto nazionale del lavoro, di pagare i debiti e con un piano di rilancio già pronto e credibile.
    Marchionne puntò i piedi, preferendo cederla a molto meno ad un oscuro manager di sua fiducia che di famoso aveva solo i fallimenti.
    Incredibile?
    non tanto…. dal suo punto di vista era molto meglio lasciarla a qualcuno che non sarebbe mai stato un concorrente per la nuova fiat crysler americana.
    Ti sembra strano?
    Eppure è una normale tattica di guerra.
    I nazisti in ritirata facevano saltare ponti, fabbriche e strutture per coprirsi la fuga e rendere più difficile la ricostruzione al nemico.
    Per la FIAT c’erano innumerevoli soluzioni, parziale nazionalizzazione compresa, se proprio non ti piacciono i cinesi (in germania o francia questa pratica non è affatto un tabù)
    Bastava la volontà politica per farlo, ma purtroppo in italia non abbiamo statisti (nè buoni, nè cattivi) ma solo camerieri che vengono messi lì, a spese di tutti per fare gli interessi di pochi.
    Basti pensare al bombardamento della Zastava in jugoslavia, che di certo non era un obiettivo militare.
    Oltre alle discutibili implicazioni etiche, li si è bombardata una struttura a spese dello stato (cioè nostre), per permettere a marchionne di ricomprarla a due soldi e delocalizzare in serbia.
    Cioè, praticamente gli operai della FIAT, con le loro tasse, hanno sovvenzionato il loro licenziamento.
    Sempre come i nazisti che facevano scavare le fosse agli stessi condannati prima di fucilarli


  • Monica

    Certo che si può morire di operazioni alla spalla…anche nella superclinica in svizzera…si chiamano complicazioni da intervento…riguardano rotture di vasi importanti come l’aorta con emorragie massive oppure complicazioni respiratorie che portano ad ictus e coma irreversibile. Volere e godere della morte di un tizio non risolve i problemi del paese né della fiat…e cmq gli operai stanno sempre meglio di quei poracci di lavoratori precari spesso nel settore pubblico…con contratti di un anno e che lasciano a casa senza stipendio per mesi…il buon governo della sinistra passata.


    • Redazione Contropiano

      Sarebbe importante leggere con un briciolo di onestà intellettuale…
      Franzo Grande Stevens, storico avvocato Fiat e amico personale di Marchionne, ha spiegato in lungo e in largo che il nemico di Marchionne erano le sigarette (100 al giorno…), che notoriamente causano diversi problemi di salute, ma non alla spalla…
      Qui nessuno gode di nulla, visto che abbiamo ricordato i momenti rilevanti della sia azione in Fiat. E basta.
      I lavoratori Fiat hanno un contratto di merda, peggiore di quello degli altri metalmeccanici (fanno eccezione, in parte, quelli della Ferrari, dove il margine di profitto per unità prodotta è semplicemente strepitoso).
      La gara a chi sta peggio – e i precari del pubblico impiego stanno sicuramente male, ne parliamo spesso – è il gioco favorito del padrone…


  • Emanuele

    alla c.a. della redazione: anch’io sono dalla parte degli operai, non dei padroni, ma credo che per certe notizie sarebbe doveroso citare una fonte. Su questo meccanismo di gogna pubblica non si trova alcun riscontro in nessun altro articolo. In un articolo pubblicato da Repubblica nel 2016 si fa riferimento al fatto che a Pomigliano l’ufficio dei dirigenti è trasparente, nient’altro (http://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2016/02/25/news/con-il-metodo-marchionne-pomigliano-e-diventata-un-esempio-1.251823). E ci sono interviste a sindacalisti e dipendenti con nomi e cognomi. Qui, nulla. Fareste gentilmente un po’ di chiarezza?


  • Paolo Grazioso

    Complimenti compagni! Bellissimo pezzo, scritto molto bene, senza retorica e senza ipocrisia.

    Che Marchionne sia stato un grande manager dal punto di vista degli azionisti penso sia innegabile. Che lo sia stato a spese dei lavoratori penso sia altrettanto innegabile.

    Resta la pietà per l’uomo malato e poi deceduto, ma nessuna simpatia (men che meno santificazione) per il manager.


  • Stefania Di Paolo

    Se quanto dite voi è vero (e non avreste motivi per non dire la verità) penso che, al di là del l’aver risollevato la Fiat, questo signore abbia un bel po’ da farsi perdonare da nostro Signore…. In questo dobbiamo riconoscere che, ricchi, poveri, benestanti e poveracci, ai di là della cassa bella e cazzate varie, moriamo tutti allo stesso modo….


  • Leonardo

    Condivido in pieno quello scritto da Claudio


  • Paolo

    Se il problema è l’auto elettrica, non c’è problema. La Fiat ce l’ha già, ha già cercato di venderla negli Usa, ma non ha mai avuto voglia di lavorare in perdita.


  • Luca

    è possibile sapere la fonte da cui avete preso al cifra dei lavoratori?
    Da 120.000 => 29.000 non sembra francamente una cifra attendibile, per il resto ottimo articolo come sempre

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