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Un passo avanti, nel baratro

«Sull’orlo del baratro», dicono ormai tutti. Con il terreno che diventa sdrucciolevole e tanti stolti fomentati che invitano a fare un perentorio «passo in avanti».

Possiamo fare il giro del mondo e, tranne forse la Cina (che comunque ha mostrato i muscoli, conoscendo bene la psichiatria imperialista occidentale – «se ti mostri debole, ti si mangiano»), quasi da nessuna parte c’è qualcuno che tira il freno.

E questo vale sia nei rapporti tra gruppi di Stati che nelle dinamiche sociali interne, nel «normale» conflitto di classe quotidiano.

Stiamo vivendo in questi giorni le ricadute dell’«incidente polacco», diventato occasione – cercata, voluta, casuale… fa lo stesso – per alzare il livello della tensione internazionale intorno alla guerra in Ucraina, schierando altre truppe, scavando fossati, incitando al riarmo più ampio e veloce possibile.

I meno intelligenti, tra gli innumerevoli minus habens della classe política europea, lo giustificano indicando già l’anno 2029 come quello dell’inizio della guerra tra Nato e Russia. Senza neanche far passare tra i pochi neuroni attivi il sospetto – almeno quello – che dire esplicitamente ad una superpotenza nucleare «tra quattro anni ti attacco» potrebbe provocare una «reazione preventiva» decisamente poco gradevole. Ma fulminante.

In Medio Oriente, il terminale dell’Occidente – Israele – ha ormai bruciato qualsiasi possibilità di relazione con il resto del mondo, sia localmente che in generale. Se bombardi la sede dei negoziati, cercando di eliminare la delegazione con cui in teoria staresti cercando un accordo, evidentemente non vuoi nessun accordo con nessuno. E nessuno, di conseguenza, si fiderà mai più di te (almeno fino a quando il tuo paese non sarà stato rivoltato come un calzino, possibilmente lavato).

In America Latina l’«isolazionismo» statunitense di ritorno si mostra con l’antica politica delle cannoniere. Intanto contro il Venezuela. Ma la lista dei candidati alle «attenzioni» di Washington è molto lunga, a cominciare da quel Brasile che ha condannato l’ex presidente Bolsonaro per il tentato golpe (si era già guadagnato dazi al 50% per averlo mandato a processo) e ora è minacciato di sanzioni economiche e – neanche tanto velatamente – militari.

La stessa «guerra dei dazi» innescata da Trump, apparentemente incruenta, cancella un architrave fondamentale dell’ordine internazionale post bellico: la distinzione tra alleati e nemici (oltre che la sempre strombazzata «libertà di commercio»). Spingendo così ogni paese a cercare «sintonie» alternative sulla base degli interessi vitali, innescando così sospetti e ritorsioni, nuovi spazi di conflitto.

Sul piano interno le cose vanno altrettanto male. La crisi sociale, nei paesi sedicenti «democratici», viene affrontata a cariche di polizia, «decreti sicurezza» sempre più forcaioli, arresti di massa (e non solo tra gli attivisti pro Palestina), separazione totale tra esigenze popolari di qualsiasi tipo e politiche di governo.

Ma è soprattutto negli Stati Uniti che la contraddizione si manifesta in modo lacerante. La scelta «Maga» di ributtare verso il Sud America i migranti avviene con modalità da caccia all’uomo, resuscitando campi di concentramento e violenza gratuita della polizia. L’«ordine pubblico» viene perseguito inviando i militari della Guardia Nazionale negli Stati governati dall’opposizione, il che dimostra come la spaccatura politica sia diventata ingovernabile e priva di giustificazione realistica (i «democratici» Usa non brillano certo per «scarso spirito repressivo»…).

La polarizzazione politica estrema assume lì sempre più spesso il volto di un killer in azione. Tutti in queste ore si occupano dell’omicidio di Charlie Kirk, giovane influencer «Maga» ucciso a Sal Lake City, nello Utah, senza però ricordare che solo tre mesi fa Melissa Hortman, parlamentare del Minnesota, leader democratico della Camera statale, era stata uccisa a colpi di pistola davanti casa, insieme al marito, da un killer contrario all’aborto.

L’integralismo religioso cristiano e il suprematismo bianco sono ormai ideologia ufficiale di questo lato dell’America. E non fa affatto ridere il pensiero che, nel terzo millennio, ci sia una massa di gente che pensa di regolare il proprio paese, i comportamenti sociali e le relazioni col resto del mondo… sulla base di un libro scritto da ignoti tra i 4.000 e i 3.000 anni fa, quando «l’universo» andava poco al di là delle terre raggiungibili a piedi o a cavallo.

Un libro, peraltro, dove lo sterminio e il genocidio di altri popoli è indicato come un «dovere» da un dio ciclotimico e avverso alla sua stessa creazione.

Su questa base si muovono però i Netanyahu, i BenGvir, gli Smotrich. Su questa base indottrinava Kirk e insistono tutti gli altri del suo giro.

Di fatto, la crisi di egemonia complessiva dell’Occidente neoliberista (economica, culturale, militare, ecc) ha partorito una risposta «semplificatoria» a tutti i problemi che risultano irrisolvibili. Una risposta attribuita a un dio preistorico che, peraltro, non ammette discussione razionale. Una risposta secondo cui «noi» abbiamo diritto a tutto e gli «altri» (infedeli, non bianchi, diversi, ecc) a niente. Suprematismo puro, atto di fede o appartenenza senza alcuna giustificazione spiegabile al di fuori dal cerchio degli «eletti».

Di qui alla guerra civile o «esterna» è un attimo. Un leader politico non può non saperlo, o capirlo. Se, come ha fatto Trump ieri – e come fanno i sionisti suprematisti di Israele o i decerebrati leader europei – pensi di poter cavalcare una escalation senza fine, scoprirai presto che la fine invece esiste. E ti riguarda, al pari di tutti gli «altri».

Se, insomma, si fa quel «deciso passo in avanti», il baratro ti accoglierà. Indifferente…

Assodato questo e visto che nei palazzi del potere nessuno sa più usare un freno a mano, sarà bene che mettersi in  movimento per togliere loro il potere di decidere. “Cambiare tutto” non è un desiderio utopico, ma una necessità vitale. Urgente…

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1 Commento


  • ugo

    Non credo molto nella guerra tra NATO e Russia: secondo me esiste solo nelle menti malate dei Polacchi e dei Baltici. La mia idea è che Trump abbia deciso per un condominio con Cina e Russia, forse anche con l’India. I dazi all’Europa e al Giappone, le minacce al Sudamerica entrano in questa logica: marcano la zona d’influenza Americana, dicono che nell’emisfero ovest sgarrare non è permesso. E l’Europa? Avrà un compito molto importante, quello del buffone. Non rimane che sperare nella Cina che ha una strategia meno bullista: “Venite da me, perché il mio giogo è dolce e il mio peso è leggero…”

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