Continuiamo a ripetere che nulla sarà come prima ma è evidente che ancora non si riesce a capire il quadro complessivo che uscirà dalla crisi sanitaria che sta devastando il mondo; quale condizione economica e sociale, quali rapporti internazionali e nuove possibili alleanze che si potranno costituire.
Sarebbe certamente azzardato mettersi a fare previsioni su questa dimensione, ma alcune questioni nel nostro ridotto nazionale possono cominciare ad essere analizzate e collocate dentro una dinamica in qualche modo interpretabile nei suoi sviluppi futuri.
Il primo elemento, alquanto oggettivo, è che comunque dopo la crisi sanitaria si aprirà un periodo non breve di crisi sociale, di cui non possiamo sapere le dimensioni, che sarà l’effetto di una accentuata competizione economica a tutti i livelli, tra imprese, Stati, aree monetarie.
Tale conflittualità ricadrà inevitabilmente, a causa dei caratteri dell’economia di mercato, sui lavoratori dipendenti e subordinati e su settori popolari più vasti, composti anche da fasce di lavoro autonomo e piccola imprenditoria.
Se oggi viviamo dentro un clima drogato di unità nazionale, del “comunque ce la faremo” (meno chi muore!), non è difficile prevedere che seguirà un clima di tensione sociale e politica che non si sa se sboccherà in momenti di scontro vero e proprio, ma che certamente produrrà un malessere profondo in chi sarà chiamato ancora una volta a pagare il prezzo di uno sviluppo distorto.
Un chiaro segnale di questa contraddizione sta venendo dalla divaricazione di interessi tra i lavoratori al nord e la Confindustria che insiste per la ripresa piena della produzione. In questi anni è stata predicata e praticata la collaborazione tra operai e padroni pensando che comunque alla fine tutti ci guadagnavano. La realtà sta smentendo questo mito collaborazionista ed ora si rimanifestano chiaramente gli interessi reali e contrapposti, quelli del capitale e quelli di chi lavora.
E’ inevitabile pensare che questo malessere si possa riversare prima o poi nella sfera della politica ed in una condizione di maggior radicalizzazione, dove però i “vecchi” attori sono logorati dalle loro scelte e dallo sviluppo degli eventi. In questi anni la “politica” ha ruotato in modo ossessivo attorno al populismo/sovranismo ed ai loro antagonisti.
L’eversione del “Vaffa” di Grillo, la riproposizione dell’antifascismo istituzionale contro Salvini, dopo l’esaurirsi di quello contro Berlusconi, hanno scandito anni dove questo è stato l’argomento centrale su cui si divideva e arrovellava la nazione. Sempre, però, rimuovendo i contenuti sociali e di classe che ora si sono di nuovo affacciati brutalmente nella vita reale degli italiani.
Il nuovo inaspettato scenario coglie il M5S, in versione europeista, al governo con il PD cioè quel partito che il movimento aveva sempre contestato ed in crisi elettorale certificata da varie elezioni locali. Mentre Salvini continua a Twittare e fare video che danno la misura della sua inconsistenza e del peso della sconfitta subita nell’agosto scorso quando ha aperto la strada del governo a Zingaretti.
Oggi quel “regalo” permette al PD di gestire la fine del patto di stabilità e miliardi di Euro; certamente questo non avrà fatto estremamente piacere alla Lega di governo nelle regioni del nord Padano. Per ora queste forze nei sondaggi, per quanto questi possano contare, non tracollano ma è evidente che il loro logoramento le impedirà, finita la fase di emergenza, di svolgere lo stesso ruolo di “agguerriti” oppositori su cui hanno lucrato per anni alte percentuali di voto.
In rapporto al deperimento del M5S e Lega l’asse che ora sembra trainare la coalizione in questa difficile fase è quella Conte/PD che nel clima di ritrovata “unità nazionale” fungono da catalizzatori nella gestione dell’emergenza. Anche nel confronto con il nord Europa si sta mimando una schermaglia che però, come al solito, si sta risolvendo in una mediazione a ribasso per i paesi dell’Europa mediterranea in quanto l’accentuata competizione mondiale impedirà lacerazioni irreversibili.
Probabilmente sull’emergenza sanitaria verranno allargati i cordoni della borsa ma sulla ripresa dell’economia si accentueranno i caratteri competitivi dentro l’area economica europea. Verranno cosi selezionati i soggetti adatti alla sopravvivenza, con un effetto sociale più rovinoso e pesante, senza escludere che potrà essere messo in discussione anche il ruolo dell’area più industrializzata del paese.
Può tenere nel tempo un tale quadro governativo? Presumibilmente no. L’affermazione negli anni passati dei populisti/sovranisti non è stato certo un caso o un incidente della storia, questa ha seguito la crisi economica internazionale del 2007 e la crisi politica che si è manifestata nelle elezioni del 2008 che ha riportato per qualche anno Berlusconi al governo con i risultati a tutti noti.
Oggi si stia ricreando una situazione simile dove, dopo una fase di contenimento, la questione della Rappresentanza Politica dei settori sottoposti alla pressione di questo modello sociale possa riesplodere ed in condizioni materiali che tutti riconoscono, a cominciare dalle forze politiche, essere peggiori di prima.
Se ciò che vediamo è la crisi egemonica di un modello sociale a dimensione mondiale, quello che va fatto nel nostro paese è di creare le condizioni politiche e organizzative soggettive che sappiano intercettare la rinascente questione della rappresentanza.
Questa, infatti, si imporrà con più forza e richiederà certamente un radicamento nelle classi subalterne, che vada ben oltre i confini della sinistra, e definendo con nettezza la propria identità a partire dai punti alti delle contraddizioni dell’attuale assetto economico sociale capitalistico.
Si ripropone, dunque, la necessità del superamento della situazione presente riproponendo la necessità storica del Socialismo. Quello che sta accadendo in questo periodo con gli aiuti Cinesi e Cubani al nostro paese non è un episodio ma il sintomo di una superiorità di un modello sociale pur con tutte le pur evidenti contraddizioni di una concreta transizione sociale.
Questo implica anche una posizione chiara sulle strutture politiche ed istituzionali in Occidente, e per quanto ci riguarda direttamente l’Unione Europea, che stanno portando alla catastrofe e che sono a tutela delle presenti relazioni sociali di sfruttamento.
Rompere la UE ed essere fuori e contro il presente sistema dei partiti sono importanti elementi di strategia per una alternativa sociale e politica sui quali discutere e promuovere iniziativa.
*Rete dei Comunisti
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