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“No pasaràn”. Un antifascismo all’altezza della fase storica

Martedì 31 maggio un corteo antifascista composto da centinaia di persone ha attraversato le vie del centro e della zona universitaria di Bologna al grido di “No Pasarán” per rispondere al vile tentativo di stupro fatto contro una compagna di Cambiare Rotta la notte del 4 maggio da un gruppo di nazisti.

Un momento militante che ha saputo dare una risposta a Bologna che possa essere un esempio per tutto il paese, viste le condizioni che il conflitto in Ucraina apre da qui in avanti. Si può leggere il resoconto del corteo militante sul blog di Cambiare Rotta.

L’aggressione del 4 maggio non è arrivata come un fulmine a ciel sereno, ma è stato il culmine (finora) di una rapidissima escalation partita il 23 aprile.

Tutto è iniziato con il festival popolare “Oltre il Ponte”, organizzato dal Circolo Granma all’insegna della Cultura e della Diserzione da questa guerra. Un momento di socialità in quartiere, di approfondimento culturale e politico sulla drammatica contemporaneità della guerra e una giornata dedicata al compagno Valerio Evangelisti.

In questa sede una trentina di persone, fra cui un gruppo di nazisti di origine ucraina, hanno messo in atto una provocazione per via della presenza di alcune bandiere del Donbass in un banchetto: una provocazione durata diverse ore, prontamente arginata dagli organizzatori dell’evento, che ha visto inni nazionalisti ucraini, saluti romani, inneggiamenti a Stepan Bandera e minimizzazione del suo ruolo nell’Olocausto (“sì, ma quelli erano ebrei, non ucraini”, come detto testualmente da una “signora” nel gruppo dei provocatori), arrivando a minacce di morte e stupro nei confronti di alcuni fra gli organizzatori. Una vera e propria provocazione di matrice nazista.

Il momento successivo ha riguardato il Primo Maggio, durante la giornata organizzata dall’Unione Sindacale di Base in piazza dell’Unità al motto di “abbassare le armi, alzare i salari”. Una giornata di dibattiti e iniziative sindacali, durante il corso della quale sono stati visti girare intorno alla piazza soggetti presenti alla provocazione della settimana prima, che sono stati allontanati dal servizio d’ordine.

Al termine della giornata, durante la sistemazione del materiale, il Barnaut, che partecipava alla piazza, ha subìto un tentativo di effrazione, con scardinamento della porta: Nelle due ore successive qualcuno ha forato con un coltello le ruote della macchina di alcuni compagni, riconoscibile per segni evidenti dell’organizzazione.

In seguito a questi episodi è stata convocata una conferenza stampa per denunciare alla città una situazione che già si tratteggiava come estremamente preoccupante.

Solo pochi giorni dopo l’attacco più vile e schifoso, l’aggressione e violenza sessuale ai danni di una compagna di Cambiare Rotta che era stata impegnata in prima linea in tutti gli episodi precedenti, che solo grazie alla sua prontezza nell’utilizzare lo spray al peperoncino è riuscita ad evitare il peggio. L’esempio di una lucidità e di una freddezza che ben ha cercato di rappresentare anche il corteo tenutosi il 31 maggio per le strade del centro e della zona universitaria.

Tutto questo percorso è stato portato avanti con un approccio politico, che cercasse di sollevare l’attenzione in città sul tema, allertando sui pericoli rappresentati da gruppi più o meno organizzati di nazisti all’interno della comunità ucraina che, con il procedere del conflitto e con il sostegno fornito da NATO e UE alle milizie naziste (e non), si sentono legittimati a portare il clima di guerra nel nostro paese e in Europa.

Una risposta politica che ha cercato di adeguare a ciascun grado dell’escalation di violenze un piano di risposta pubblico che potesse incastrare quegli sporchi nazisti ad ogni loro passo falso, chiamando in causa le realtà cittadine antifasciste sinceramente contrarie a questa guerra e le istituzioni.

Particolare attenzione è stata data a sottolineare le connessioni tra i vari episodi e la loro collocazione in un contesto generale, andando ad indicare non solo un pericolo immediato, ma anche una tendenza insita nelle sorti di questo conflitto: la devastante guerra in Ucraina, cominciata otto anni fa – ma che ha visto con l’invasione russa un tragico inasprimento – e per la quale non si vede all’orizzonte la volontà di una soluzione diplomatica (come il sostegno bellico e l’invio di armi da parte dei paesi occidentali dimostra) porterà, qualunque sia il suo esito, alla definitiva rovina di un paese che già si trova in una situazione difficile.

Nella doverosa e non questionabile accoglienza che bisogna dare a tutti i profughi di guerra, non si può trascurare quella fetta di popolazione radicalizzata anche (ma non solo) dal contesto bellico su posizioni di estrema destra; su posizioni banderiste, se non direttamente naziste, addestrata a combattere e all’uso delle armi, più o meno direttamente integrata all’interno di quelle organizzazioni naziste che costituiscono una parte dell’esercito e rivestono una funzione politica ben precisa in quel paese.

Infatti, da otto anni in Ucraina è avvenuto un processo di totale legittimazioni dei gruppi, partiti politici e milizie militari di stampo nazista, in appoggio ai governi che si sono susseguiti dopo il colpo di stato di “Euromaidan”, che ha portato alla messa fuori legge progressiva di tutti i sindacati e partiti all’opposizione.

Queste forze della reazione, che in Ucraina in questi otto anni hanno costruito una vera e propria internazionale nera con i restanti paesi dell’Europa e non solo, si riverseranno, dopo l’umiliazione di un paese distrutto, anche nel continente europeo.

La polarizzazione a cui ha portato la guerra e che ha generato questo livello di violenza in una città come Bologna rappresenta solo l’inizio di un periodo tragicamente buio, che vedrà conflitti più aspri a livello internazionale e la crescita delle forze naziste e reazionarie in occidente.

Con questo spirito, di allerta e di salvaguardia dell’agibilità politica in città, è stata costruita una campagna politica che ha messo le basi per un’azione antifascista e militante da qua in avanti. Una campagna politica che ha parlato alla città, alla comunità studentesca delle scuole che quest’anno si sono mobilitate, alla zona universitaria popolata da moltissimi studenti e nei quartieri dove troppe volte i fascisti (nostrani) vengono lasciati in pace.

La prima tappa è stata la conferenza stampa chiamata da Cambiare Rotta immediatamente dopo l’aggressione verso la compagna, all’interno della quale è stato richiesto un confronto con il Comune, nelle persone del sindaco Matteo Lepore e della vice, Emily Clancy.

Hanno fatto seguito, la settimana successiva, un’assemblea antifascista in piazza Scaravilli  che si è poi mossa fino a piazza Verdi, ed un lavoro continuo di agitazione nelle settimane seguenti, per la zona universitari, nelle scuole e nei quartieri, fatto di volantinaggi, presidi, attacchinaggi di rilancio per il corteo di martedì scorso.

La fase politica è cambiata

La “normalità” bolognese a cui si è arrivati, che ha visto aggressioni e violenze sessuali ai danni delle e degli antifascisti passare sotto silenzio nel dibattito pubblico, rappresenta un limite che, da qui in avanti, non è più possibile valicare.

L’incontro con sindaco e vicesindaca è avvenuto, insieme al questore, il 27 maggio, ma non ne è stata data alcuna notizia, nei canali pubblici o in quelli di stampa, da parte dei rappresentanti del Comune.

Molto in quell’incontro è stato detto, fra cui la condivisione della preoccupazione per quello che riguarda le drammatiche sorti di un paese come l’Ucraina e delle preoccupanti forze che in quel paese hanno trovato terreno di crescita e di rafforzamento, esercitando una reale e consistente influenza politica nella società ucraina.

Ciò nonostante nessuna delle figure istituzionali presenti ha valutato opportuno pronunciare alcuna parola a livello pubblico, negando ipso facto la portata politica dell’incontro e rafforzando il muro di silenzio che si è costruito intorno a questa faccenda.

A questo clima di omertà politica da parte di istituzioni e stampa, però, si è accodata una parte delle realtà che si definiscono antifasciste o femministe, alcune delle quali, non contente del silenzio, si sono scagliate con attacchi diretti contro i gruppi antifascisti direttamente toccati dagli attacchi, con accuse campate in aria di “rossobrunismo”, fino ad arrivare implicitamente alla più infame delle accuse rivolte verso chi ha subito un’aggressione: il “se la sono cercata”.

Le dinamiche che si sono prodotte a Bologna mettono in luce che in certi ambienti c’è una generale incapacità di leggere le forme che il fascismo assume in base alle condizioni che in un momento storico e in un luogo geografico si presentano. Come se il fascismo fossero (solo) i busti di Mussolini nei bar di provincia del forlivese o le passeggiate nostalgiche di qualche decina di palestrati che fanno il loro annuale raduno nazionale.

Quello che a Bologna si è osservato è un primo tentativo di queste forze della reazione che, come uova malsane deposte dall’imperialismo dell’UE e della NATO in Ucraina per tutelare i loro interessi – alla faccia della popolazione che ha dovuto subire, sequestri, squadracce armate e uccisioni, fino ad arrivare a vere e proprie stragi (la strage alla casa dei sindacati di Odessa prima fra tutte) – ora stanno schiudendo serpenti velenosi. Ancora una volta il sistema dell’imperialismo scatena forze che poi, come un sasso che sollevato ricade sui piedi, gli si ritorcono contro e rischiano di sfuggire al suo controllo.

Non riconoscere questa tendenza che nell’Ucraina ha visto un potente laboratorio e che in tendenza può espandersi su tutta l’Europa vuol dire mettersi le fette di prosciutto davanti agli occhi, senza ricercare la complessità di uno scontro guerreggiato, preferendo adagiarsi sugli allori dell’antifascismo liturgico, dove i partigiani sono eroi del passato e i fascisti i tradizionali “omoni” rasati e tatuati che infestano le grandi città.

La situazione che si è sviluppata a Bologna non è stata solo un segnale inquietante per la velocità e la rapida politicizzazione che questi gruppi ultra-nazionalisti hanno avuto nell’organizzarsi e nell’agire, ma ha anche messo in risalto come nella nostra società – anche in alcuni settori antagonisti che pensavano di essere salvi, mentre in testa si ripetevano fin qui tutto bene – non sono preparati ad affrontare la sfida che la barbarie dello scontro tra imperialismo e le classi dirigenti russe (che avevano fatto male i loro conti) presenta.

Una condizione esplosiva che dovrebbe spingere tutti i sinceri antifascisti a preoccuparsi immediatamente, ad attivarsi il prima possibile, per costruire gli strumenti politici e organizzativi in grado di fronteggiare questo pericolo.

Purtroppo, invece, Bologna ha rivelato che l’incapacità di lettura delle tendenze concrete che si verificano nel presente portano a reazioni scomposte e spesso vergognose, in quanto gli attacchi, con forme e modi diversi, nei confronti delle realtà coinvolte nelle aggressioni di matrice nazista non cercavano solo di delegittimare la credibilità di queste organizzazioni, ma la stessa risposta politica in campo.

Un atteggiamento che preferisce trincerarsi dietro la sicurezza dei propri “spazi sociali”, faticosamente ricavati da anni di accordi e compromessi con le istituzioni, ripetendosi che al loro interno il problema del fascismo e del nazismo non è presente in nessun modo, che questi attacchi non riguarderanno mai loro.

Un comportamento che apre pericolosamente la strada alla legittimazione non solo di questi gruppi nazisti presenti all’interno della comunità ucraina – che, come ci insegnano i fatti di Senigallia, in altre regioni sono già ben organizzati – ma aprono anche le porte ai fascisti nostrani che, fino ad oggi, la sensibilità antifascista della popolazione e dei gruppi organizzati era riuscita a tenere a bada.

In quella che si crede ancora essere “la rossa Bologna”, tristemente spogliata dei suoi valori antifascisti da decenni di controllo politico del Partito Democratico, alfiere dell’imperialismo, sempre di più si fa arrogante la presenza fascista. Per il secondo anno consecutivo, nel giorno dei lavoratori, viene concessa una piazza ad organizzazioni di estrema destra; croci celtiche compaiono in quartieri come la Barca sopra le tag di organizzazioni antifasciste, insieme a pedinamenti di compagni che devono prestare attenzione a tornare a casa la notte; in zona universitaria quei ratti di fogna di Azione Universitaria si sentono legittimati dopo decenni a deturpare un’aula studio autogestita da una realtà antagonista, facendo pulizia in zona universitaria di tutti i materiali di propaganda delle organizzazioni antifasciste che in quella zona operano; ex centri sociali come il Labàs, in vicolo Bolognetti, dopo la provocazione delle Z sul muro il mese scorso, si trovano deturpata anche la denominazione “zona antifascista” da croci celtiche.

Questo autogol segnato da una parte dell’antifascismo bolognese, che ha scelto di rompere l’unità antifascista per tutelare il giardinetto che negli anni si è ritrovato sempre più stretto, trova la sintesi nelle esternazioni di membri della maggioranza che mentre condividono sui social le calunnie contro di noi si ritrovano attaccati dai fascisti in giacca e cravatta di Fratelli d’Italia (fra cui lo scampanellatore seriale Galeazzo Bignami).

Una prima risposta

Il 31 maggio un partecipato corteo antifascista ha indicato la direzione che oggi bisogna percorrere in questo paese: un mese di campagna politica per risvegliare le coscienze sopite serve a costruire una nuova consapevolezza antifascista che sia in grado di stare al passo delle profonde accelerazioni storiche che stiamo affrontando ci pongono di fronte.

Una coscienza collettiva che sappia dotarsi di strumenti organizzativi e militanti per costruire un argine a questa nuova “marea nera” che, sul piano inclinato verso la barbarie cui ci sta conducendo l’imperialismo, si sta affacciando alle porte dell’Europa.

La guerra, come un vero rasoio, pone di fronte ad una scelta di campo radicale da dover fare in questo momento: una scelta che non sta nell’essere pro Ucraina o pro Putin, come la classe dirigente europea e statunitense (e tristemente anche parte del cosiddetto movimento) vorrebbero farci credere, ma che sta nel rispondere all’imperialismo, a partire da quello che in casa nostra tenta di rafforzarsi sfruttando la guerra e costruendo una sua strategia di difesa complessiva (come l’esercito europeo), fino a seguire fino in fondo quell’indicazione politica che oggi risulta più attuale che mai: cioè “GUERRA ALLA GUERRA”.

Oggi tutti gli antifascisti sono chiamati ad opporsi all’invio di armi, all’aumento delle spese militari e al rafforzamento del nostro imperialismo europeo, che si sta cercando di ritagliare un ruolo autonomo, da competitor ma non da antagonista con gli Stati Uniti, nella NATO.

L’alternativa è una riproposizione in salsa moderna di quello che fu il votare i “crediti di guerra” alla vigilia della prima guerra mondiale. Ossia una valutazione sbagliata sul “proprio” imperialismo come uno “spazio politico riformabile”, nell’implicita ma intima convinzione che la culla della cultura occidentale in fondo porti con sé una qualche superiorità etica.

Allo stesso modo, tutte quelle realtà, organizzazioni e singoli che sinceramente vogliono fermare questa guerra dovranno confrontarsi con la necessaria risposta antifascista che oggi si deve mettere in campo.

Non c’è più spazio, nella spietata violenza a cui porta la fame dell’imperialismo, per strategie ambigue di apatica equidistanza o per letture che si fermino agli strati più superficiali dei fenomeni senza riuscire a spiegarne l’evoluzione.

Oggi servono categorie forti per leggere le terribili sorti e progressive a cui lo sviluppo imperialistico del modo di produzione capitalistico ci sta portando su scala globale, a partire dall’Unione Europea all’interno della quale agiamo e con la quale, per qualsiasi tipo di strategia politica si voglia mettere in campo, ci dobbiamo confrontare.

Bologna, nel corteo militante del 31 maggio, ha dato prova della risposta antifascista e degli strumenti organizzativi che si possono mettere in campo in tutte le città e in tutte le province del paese.

Con lo spirito di questa manifestazione, che è stata un primo ma deciso passo, bisogna guardare in avanti a tutto il lavoro che resta da fare per affrontare una fase storica che vede ritornare la guerra e il pericolo del nazifascismo in Europa.

In ogni luogo, in ogni città si devono moltiplicare le iniziative di opposizione alla guerra e all’invio di armi, sul segno di quella maggioranza sociale da intercettare che nella nostra società è presente; tutte le organizzazioni e le realtà che si definiscono antifasciste devono saper mettere da parte diversità e opinioni divergenti per poter mettere in campo un argine comune che sappia garantire l’agibilità democratica e politica nel nostro paese e non solo, senza lasciar spazio a particolarismi e ristrettezze nella visione che producano frammentazione tra le forze antifasciste.

Bologna ha segnato un inizio che dev’essere implementato e raccolto. A tutti i sinceri antifascisti tocca oggi prendere fino in fondo la scelta di campo che questo rappresenta, e persino «Quando tutto è o pare perduto, [bisogna] rimettersi tranquillamente al lavoro, ricominciando dall’inizio» (Antonio Gramsci.

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2 Commenti


  • Andrea Bo

    La guerra dimostra che ci si deve scordare la favoletta secondo cui chi tira le fila di una città come Bologna sia antifascista.
    Scusate la sintesi, che però un po’ ci voleva…


  • Giovanna

    Ho letto con stupore e disgusto l’ultimo comunicato del Nodo sociale antifascista, che per anni ha dato tanto all’antifascismo militante a Bologna. Considerare la strage di Odessa una fake news sta tra l’infantilismo e l’infamia. Il Nodo sociale antifascista è un fantasma ormai residuale, strumentale e giunto al capolinea.

    Tuttavia, in questo vostro apprezzabile ragionamento trovo molto limitativo il fatto di scrivere “scontro tra imperialismo e le classi dirigenti russe” come se non potesse esistere un “imperialismo russo”. Putin è un dittatore anticomunista a capo di una banda di oligarchi ladri e capitalisti. Non distinguere nettamente tra la tradizione politica internazionalista e rivoluzionaria del movimento operaio e i miti ambigui dell’imperialismo russo (che tra l’altro ha finanziato gruppi nazisti in tutta Europa e ora ci parla di “denazificazione”) rischia di dividere l’antifascismo in due secondo i blocchi imperialisti (gli antifascisti pro Nato e gli antifascisti pro Putin, più o meno mascherati) e rendere l’antifascismo uno strumento inutilizzabile.

    Tanto più che, come voi stessi sottolineate, la drammatica crisi economica che si prepara spingerà ogni governo verso il fascismo per irregimentare la gente e mantenere il controllo. Dobbiamo trovare discorsi che uniscano e che sappiano diventare egemoni nella coscienza sociale, altrimenti non riusciremo a contare nulla e rimpiangeremo la nostra scarsa lungimiranza e il nostro trincerarsi dietro vecchi schemi e miti consolatori.

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