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Marxistizzare la dialettica hegeliana: Geymonat, Colletti e Althusser a confronto con Lenin

Negli anni Settanta del secolo scorso due eventi di notevole importanza nella cultura italiana furono l’approdo di Ludovico Geymonat al materialismo dialettico e il costituirsi attorno al filosofo torinese, il quale da tempo insegnava presso l’Università Statale di Milano, di una scuola che sostenne un nuovo approccio alla filosofia marxista, rilanciando un tema tradizionalmente poco frequentato in Italia. 1

Riflettere sul significato, sul valore e anche sui limiti di questa esperienza culturale è necessario non solo per tornare a dipanare, nell’attuale congiuntura ideologica e teorica, il filo rosso del materialismo dialettico engelsiano e leniniano, ma anche per dimostrare, in primo luogo, che il marxismo ha un nucleo filosofico proprio e indipendente che si sviluppa in relazione alla lotta teorica, quindi in ultima istanza in relazione alla lotta di classe; e, in secondo luogo, che esso è in grado di conservare la sua autonomia nella misura in cui si sviluppa sulle proprie basi.

Questa specificità e originalità del modo di concepire e di praticare la filosofia è un tratto saliente del marxismo, che non può venire meno senza che venga meno la sua stessa esistenza come filosofia: da qui nasce la necessità di riprendere in esame la concezione geymonatiana del materialismo dialettico a partire dalla individuazione della centralità di due testi quali Materialismo ed empiriocriticismo e i Quaderni filosofici che si possono considerare terreni elettivi per saggiare il significato e il valore di quella concezione.

In effetti, il primo di essi, come è ben noto, ha conosciuto nel ‘marxismo occidentale’ una tale ‘sfortuna’ (peraltro simmetrica alla ‘fortuna’ dei Quaderni filosofici) che, già per questo solo motivo, una simile sorte richiederebbe una specifica ed approfondita riflessione (per converso, come è altrettanto noto, ha conosciuto la massima auge nel marxismo orientale): comprendere e spiegare quale precisa funzione teorica abbia svolto il suo rifiuto, parziale o totale, significherebbe scrivere un capitolo non secondario della storia del marxismo.

Sennonché il problema di fondo, che sottostà all’uno come all’altro caso, è lo stesso: il problema cioè della concezione leniniana della scienza, che si sdoppia nei due distinti problemi del rapporto tra scienza e filosofia, da una parte, e del rapporto tra scienza e politica, dall’altra.

Basta spingere più a fondo la riflessione per capire che si tratta di un problema che coinvolge la sostanza stessa del marxismo, ossia il problema del rapporto tra la dialettica e il materialismo.

Siamo dunque in presenza di un nodo che non è solo di derivazione engelsiana e che non è estraneo alla scienza del Capitale (basti pensare al citato “Poscritto” del 1873): un nodo che trova in Lenin, se non la soluzione, il grado più alto di elaborazione e di approfondimento.

Da questo punto di vista, era abbastanza chiaro, allora come oggi, che l’incomprensione di questo livello di elaborazione e di approfondimento richiedeva una definizione e precisazione delle basi filosofiche del marxismo, tanto più necessaria di fronte ai tentativi revisionistici di cercare altrove quelle basi filosofiche.

Il materialismo dialettico, quale nucleo filosofico del marxismo (laddove il materialismo storico, all’interno di quella unità duale che è la teoria marxista, ne è il nucleo scientifico), viene così a trovarsi in una situazione dicotomica, scindendosi nei due elementi – il materialismo meccanicistico e la dialettica hegeliana – che, per esserne le fonti storiche, vengono riguardati come parti meccanicamente giustapposte.

Da un lato, la ripresa di un materialismo di tipo settecentesco, dall’altro, la dialettica marxista curvata in direzione idealistica; da una parte, quella di un materialismo grezzo, si trova allora Materialismo ed empiriocriticismo, dall’altra, quella di una dialettica hegelianeggiante, si trovano i Quaderni filosofici.

Laddove, semmai, sarà bene osservare che l’operazione condotta da Lenin e poi proseguita in modo sistematico da Lukács, non è quella di hegelianizzare il marxismo, bensì quella di marxistizzare la dialettica hegeliana. In realtà, esiste un legame stretto fra questi due momenti fondamentali dell’opera teorica di Lenin, smarrito il quale si perde insieme con esso, inevitabilmente, anche il legame tra l’opera teorica e l’opera pratica di Lenin.

La posizione di Colletti, che non solo distingue ma oppone Lenin ad Engels, e insieme Materialismo ed empiriocriticismo ai Quaderni, è invece chiaramente antitetica allo stesso progetto di un materialismo dialettico, che a questo studioso non appare per nulla diverso da una ‘dialettica della materia’, talché la sua rivalutazione di Materialismo ed empiriocriticismo non si fonda sulla comprensione autentica del contenuto teorico di questo libro, ma resta legata ad una sostanziale incomprensione, giacché l’unico merito del libro sarebbe quello di essere antidialettico. 2

Ben diversa è la posizione di Althusser, a cui spetta il merito di aver pienamente riscattato lo spessore teorico di Materialismo ed empiriocriticismo e di averne motivato la dignità filosofica, che va individuata nel disvelamento della mistificazione filosofica e nel rifiuto di lasciarvisi coinvolgere (sicché le accuse di rozzezza e di dilettantismo, il senso di irritazione provato da tutti i filosofi, compresi quelli marxisti, nel leggerlo, rappresenterebbero i sintomi della rimozione che la filosofia compie della propria funzione mistificante), facendo quindi non un discorso di filosofia, ma un discorso sulla filosofia.

Partendo da questa premessa, Althusser giunge poi a formulare la tesi secondo cui la filosofia non è scienza, ma lotta di classe nella teoria: tesi che trova la sua specificazione nella tesi della doppia rappresentanza operata dalla filosofia: rappresentanza della scienza presso la politica e della politica presso la scienza.

La scuola althusseriana, proseguendo questa linea di ricerca fondata sulla progressiva appropriazione del leninismo, giunge poi, sul terreno della lettura analitica di Materialismo ed empiriocriticismo, ad un risultato fondamentale qual è quello consegnato da Dominique Lecourt nel saggio su Lenin e la crisi delle scienze, autentica pietra miliare, insieme con i coevi lavori di Geymonat e della sua scuola, nella storia del marxismo degli anni Settanta e, segnatamente, nella rivalutazione dei testi filosofici di Lenin.

Tornando a Geymonat, va allora sottolineata l’acquisizione più importante che il pensatore torinese ricava, sul piano epistemologico, dallo studio del materialismo dialettico di Engels, e cioè che l’intento di quest’ultimo è stato quello di fornire un fondamento filosofico al materialismo storico e che proprio in questa direzione trovano la loro piena giustificazione le tre leggi della dialettica desunte dalla Scienza della logica di Hegel.

Se una critica può invece essere mossa a Geymonat per quanto riguarda la ricostruzione del materialismo dialettico in Lenin, essa concerne il fatto di aver messo in secondo piano il principio della partiticità della filosofia a favore di una pura caratterizzazione in senso epistemologico, il cui prezzo è la perdita non solo della specificità del discorso marxista sulla filosofia, ma anche della possibilità di distinguere in modo rigoroso la filosofia dalla scienza.

Del resto, è questa una tendenza comune a gran parte dell’epistemologia contemporanea, alla quale Geymonat non sfugge: la tendenza a identificare la filosofia con la filosofia della scienza, dando contemporaneamente a questa, quasi per osmosi, lo stesso statuto della scienza, e configurandola come una sorta di autoriflessione critica della scienza.

Comunque sia, per quanto riguarda i testi filosofici di Lenin, occorre sottolineare che il merito precipuo di Geymonat è stato quello di riconoscere con forza il contenuto teorico di Materialismo ed empiriocriticismo, da una parte, e dall’altra la continuità tra quest’opera e i Quaderni filosofici.

Ciò è stato possibile a Geymonat perché egli è riuscito a ravvisare negli scritti di Lenin la portata di un intervento esplicato in una congiuntura teorica determinata, la cosiddetta “crisi delle scienze” avvenuta all’inizio del secolo ventesimo.

Dunque Geymonat non ha inteso la discussa opera leniniana come un manuale di teoria materialistica della conoscenza, ma come una riflessione critica su quella congiuntura teorica, che sbocca sì in una teoria materialistica della conoscenza, non però per una mera deduzione filosofica, ma per rispondere ai problemi nati da uno stato proprio delle scienze, cioè per risolvere, alla luce del materialismo dialettico, le antinomie filosofiche della scienza contemporanea.

Se ci si pone in questo angolo visuale, è allora possibile capire alcune cose fondamentali come, ad esempio, la differenza che Lenin stabilisce tra il materialismo metafisico, il materialismo spontaneo (che caratterizza il ‘modus operandi’ degli scienziati in quanto tali) e il materialismo dialettico.

La dialettica ha qui un ruolo fondamentale, poiché permette di distinguere rigorosamente il materialismo di Lenin dal materialismo filosofico tradizionale e anche da quella “filosofia spontanea degli scienziati” che è, secondo Lenin, orientata nella direzione giusta, ma non è in grado, proprio perché sconta un ‘deficit’ dialettico, di difendersi dagli attacchi dell’idealismo.

Se dunque il materialismo, nel sintagma ‘materialismo dialettico’, resta determinante proprio perché esprime la scelta di campo, la giusta posizione filosofica, è però la dialettica che è dominante. Pertanto, è la dialettica che risolve i problemi che il materialismo spontaneo degli scienziati non riesce a risolvere, è la dialettica che mette il materialismo in grado di difendere la scienza dall’idealismo.

Se la filosofia è lotta di tendenze, ciascuna filosofia non si definisce fuori da questa lotta: e però l’attacco idealistico richiede che il materialismo si declini come materialismo dialettico.

A questo proposito, è opportuno sottolineare come Geymonat rilevi il posto occupato dalla dialettica (non solo nei Quaderni ma anche) in Materialismo ed empiriocriticismo, e meritevole di un particolare apprezzamento è il suo rilievo, diretto contro chi vede nei Quaderni un mutato atteggiamento di Lenin verso l’idealismo, secondo cui «l’idealismo filosofico (o “intelligente”, come Lenin lo qualifica in un altro brano) non è quello combattuto in Materialismo ed empiriocriticismo, ma l’idealismo “oggettivo” di Hegel, il quale ha il merito di sostenere che l’essenza della realtà è conoscibile… L’antisoggettivismo del nostro autore rimane infatti immutato». 3

Detto in altri termini, la continuità tra Materialismo ed empiriocriticismo e i Quaderni sta soprattutto nella critica a Kant e al relativismo agnostico, critica che si approfondisce e diventa più matura a mano a mano che Lenin si appropria della filosofia hegeliana.

In questo senso, si può dire che vi è una contraddizione principale tra materialismo dialettico e idealismo soggettivistico, e una contraddizione secondaria tra materialismo dialettico e idealismo hegeliano (quanto meno nella congiuntura di lotta teorica in cui Lenin si trova inserito).

È poi incontestabile il fatto che la rottura politica e teorica con il marxismo meccanicistico ed evoluzionistico della Seconda Internazionale (rottura nella quale rientra anche la lettura di Hegel) svolge nel pensiero di Lenin un ruolo propulsivo e risolutivo rispetto ad una dinamica ideale che già da prima si muoveva nella direzione di una interpretazione pienamente dialettica del marxismo.

Circa il paradigma engelsiano della eterna lotta tra materialismo e idealismo è inoltre doveroso osservare che tale lotta non va intesa in senso schematico, quasi che da una parte vi sia l’idealismo e dall’altra il materialismo, ma si richiede anche qui “un’analisi concreta della situazione concreta” per individuare come la lotta si svolga all’interno di ciascuna filosofia, giacché materialismo e idealismo non sono due scuole contrapposte ma due tendenze contraddittorie.

Così, se Lenin può schierarsi, quando occorre, accanto a Diderot o accomunare Mach a Berkeley, ciò accade perché esiste un nemico comune e perché la filosofia non ha storia, talché non esiste distanza storica tra un idealista del 1710 e uno del 1900, e la lotta fra le due tendenze filosofiche fondamentali si riproduce uguale nel Novecento come nel Settecento.

In tal modo Lenin demistifica l’apparenza di novità con la quale l’empiriocriticismo si presentava, confutando l’unica argomentazione che i “machisti russi” potessero addurre a sostegno del loro tentativo di revisione del materialismo dialettico engelsiano: che si trattasse, per l’appunto, di una filosofia nuova che poteva essere conciliata con il marxismo.

Circa poi il rapporto tra materialismo dialettico e materialismo storico, è necessario ribadire che affermare il carattere dialettico di tale rapporto non basta, poiché esso va riconosciuto all’interno di entrambi gli elementi posti in rapporto.

All’immagine dei due fuochi all’interno di un’ellisse, con cui si può rappresentare il modo in cui tale rapporto si configura in Materialismo ed empiriocriticismo, 4 si può quindi aggiungere, per illustrare il rapporto di complementarità e di integrazione reciproca intercorrente fra i due elementi, un’altra immagine: quella del nastro di Moebius.

Quest’ultimo è un ‘ente’ topologico geometrico che si presenta come un nastro piegato su se stesso e unito ai due bordi; una volta unito, ci si accorge che la sua particolarità è quella per cui, se si segue una delle facce della striscia, si giunge a scoprire che quella esterna e quella interna sono la stessa. Dopo aver percorso un giro, ci si trova dalla parte opposta e solo dopo averne percorsi due ci si ritrova sul lato iniziale.

Quindi – e questo vale anche per il rapporto tra materialismo dialettico e materialismo storico nella teoria marxista –, si può passare da una superficie all’altra senza attraversare il nastro e senza saltare il bordo, ma semplicemente camminando a lungo.

Come esempi dell’incidenza del materialismo dialettico sul materialismo storico si possono pertanto citare sia la teoria del rapporto tra struttura, sovrastrutture e prassi, la cui articolazione è data dalle categorie dialettiche di determinazione in ultima istanza, retroazione e influenza reciproca, 5 sia, per converso, la categoria stessa di materia (in questo caso prendendo le mosse da un caposaldo del materialismo dialettico per approdare ad un’ulteriore conferma della natura monistica del materialismo marxista-leninista), la quale viene profondamente trasformata dal principio, che appartiene al materialismo storico, del carattere materiale della sovrastruttura, talché la categoria di materia viene depurata delle sue connotazioni filosofiche di natura empiristica, in cui si esprime l’ideologia degli scienziati che concepiscono la propria scienza come filosoficamente fondante e mutuano nella filosofia il concetto di materia delle scienze naturali.

Ma lo stesso discorso vale allora anche per le categorie di dialettica e di storicità della scienza, che, contrariamente a quanto pensa Geymonat, non si possono definire al di fuori del materialismo storico senza che venga compromessa la loro specificità e la loro funzione cognitiva.

Perciò, se è indubbiamente vero che la cultura marxista, particolarmente in Italia, troppo a lungo è stata segnata da uno scarso interesse nei confronti delle scienze naturali, non bisogna d’altra parte dimenticare che il marxismo è anzitutto una scienza e che, stante la complementarità tra il materialismo dialettico e il materialismo storico che si è testé argomentata (complementarità peraltro asimmetrica, condizionata quindi dalle concrete congiunture storiche), la sua peculiarità è quella di essere una scienza rivoluzionaria e di essere allo stesso tempo una filosofia: più esattamente, come insegna Lenin sia in Materialismo ed empiriocriticismo che nei Quaderni, una pratica della filosofia.

2 L’Introduzione premessa da Lucio Colletti in qualità di curatore dei Quaderni filosofici per la casa editrice Feltrinelli (1958) è, per estensione (oltre centocinquanta pagine), contenuto e tono, un vero e proprio ‘manifesto’ antihegeliano e antileninista, in cui l’allievo di Galvano Della Volpe svolge la sua palinodia per i ‘peccati’ giovanili consumati in tema di dialettica.

3 Storia del pensiero filosofico e scientifico, Garzanti, Milano 1970-1972, vol. VI, p. 113.

5 Ho approfondito questa fondamentale teoria del materialismo storico-dialettico nel seguente articolo, al quale mi permetto di rinviare:

https://www.sinistrainrete.info/marxismo/12032-eros-barone-note-sul-rapporto-base-sovrastrutture-prassi.html?highlight=WyJlcm9zIiwiYmFyb25lIiwiJ2Jhcm9uZSciLCJlcm9zIGJhcm9uZSJd.

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