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Il governo usa la clava contro la Costituzione. Con la modifica degli art. 41 e 118 torna l’art. 56 della Bicamerale

Chi ricorda più l’art. 56 del progetto di revisione della seconda parte della Costituzione licenziato dalla Commissione Bicamerale per le riforme della XIII legislatura (Presidenza D’Alema)? Come si ricorderà, con quell’articolo s’intendeva introdurre nella Costituzione la cosiddetta sussidiarietà orizzontale:
Art. 56 progetto licenziato dalla Commissione Bicamerale per le riforme (30 giugno 1997)

Le funzioni che non possono essere più adeguatamente svolte dalla autonomia dei privati sono ripartite tra le Comunità locali, organizzate in Comuni e Province, le Regioni e lo Stato, in base al principio di sussidiarietà e di differenziazione, nel rispetto delle autonomie funzionali, riconosciute dalla legge. La titolarità delle funzioni spetta agli enti più vicini agli interessi dei cittadini, secondo il criterio di omogeneità e di adeguatezza delle strutture organizzative rispetto alle funzioni medesime.

Il principio, apparentemente innocuo, introduceva un nuovo modo d’intendere e d’interpretare il rapporto tra pubblico e privato, conferendo al primo soltanto un intervento di eventuale supplenza, essendo riconosciuta al privato la titolarità delle funzioni.
Soltanto pochi mesi dopo, al primo passaggio parlamentare l’articolo 56 venne formalmente modificato, lasciando però intatta la sostanza:

Art. 56 testo risultante dalla pronuncia della commissione sugli emendamenti (4 novembre 1997)

Nel rispetto delle attività che possono essere adeguatamente svolte dall’autonoma iniziativa dei cittadini, anche attraverso le formazioni sociali, le funzioni pubbliche sono attribuite a Comuni, Province, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà e differenziazione. La titolarità delle funzioni compete rispettivamente ai Comuni, alle Province, alle Regioni e allo Stato, secondo i criteri di omogeneità e adeguatezza. La legge garantisce le autonomie funzionali.

Dopo la prima impressione di un suo affievolimento, ad un esame più approfondito il nuovo articolo 56 si rivelò molto più pericolo della versione originale.
Il nuovo art. 56, in effetti, cambiata la disposizione delle parole, riproponeva la medesima assegnazione ai privati della titolarità delle funzioni, ma con un “nel rispetto delle attività” in più.
E per quel “nel rispetto delle attività”, a cosa fare riferimento?
Forse che deve essere inibita, o tutto al più reindirizzata verso i privati, tutta l’attività pubblica che potrebbe operare in cosiddetto regime di “ineconomicità”, ai fini di un interesse pubblico da sostenere, laddove dovesse entrare in concorrenza “sleale” con le attività “adeguatamente” già svolte dai privati non finanziate alla stessa stregua?
Con un simile regime costituzionale, per intendersi, il pubblico non potrebbe adottare autonome iniziative, con forme di “prezzo controllato” , in presenza di attività di pubblico interesse “adeguatamente” svolte dai privati secondo i criteri generali richiesti ma con prezzi di mercato.

Fortunatamente, per motivi di spicciola contigenza politica, ma soprattutto per le questioni personali del leader del centrodestra Berlusconi, all’epoca all’opposizione, il progetto della Bicamerale fallì per opera della coalizione politica che ne avrebbe maggiormente raccolto i frutti politici, il Polo.

Chiusa la parentesi della Bicamerale, la sussidiarietà orizzontale venne infine riproposta, non nelle forme perentorie sopra citate, con il nuovo Titolo V approvato dall’Ulivo allo scadere della XIII legislatura.

Art. 118, comma 4, Cost. Vigente

Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.

L’articolo non “attribuisce” e non “rispetta” più, in maniera esplicita, l’attività dei privati, ma soltanto la “favorisce”; con ciò intendendo, in ogni caso, una sorta d’intervento in seconda battuta

A completare la ricostruzione storica, c’è da ricordare che con il progetto di riforma  successivamente approvato dal centrodestra, e non approvato dal referendum del 2006, si ritornerà alle dichiarazioni esplicite a favore del privato contro il pubblico:

Art. 118, comma 4, revisione costituzionale sottoposta a referendum confermativo nel 2006

Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni riconoscono e favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà. Essi riconoscono e favoriscono altresì l’autonoma iniziativa degli enti di autonomia funzionale per le medesime attività e sulla base del medesimo principio.

In altre parole, sulla base del pricipio di sussidiarietà sopra sancito, ben precisato sulla base dell’esplicito riconoscimento dell’autonoma iniziativa privata (certamente, leggere “autonoma iniziativa dei cittadini” fa un certo effetto; in pratica, però, ma chi sono questi cittadini? Persone normali?), l’intervento pubblico (attività d’interesse generale) andava considerato, in prima battuta, di chiara competenza dei privati, con il pubblico chiamato a non interferire o a favorire “l’autonoma iniziativa”.
Come però ricordato, i cittadini italiani non approvarono il progetto di riforma costituzionale del centrodestra.

Tornando quindi ai giorni nostri, al progetto di revisione costituzionale proposto dal Consiglio dei Ministri il 9 febbraio 2011, il primo dato da segnalare è che l’assassino è di nuovo tornato sul luogo del delitto.
Diversamente dal passato, però, si sta cercando di ottenere gli stessi risultati con più interventi; alcuni  apparentemente insignificanti, tant’è che l’opposizione si è già preoccupata di definire l’iniziativa una sorta di diversivo per distrarre l’opinione pubblica.
Non è così e la dimostrazione è proprio costituita dalla modifica dell’art. 118:

Art. 118  DDL governo 9 febbraio 2011

All’articolo 118 della Costituzione, il quarto comma è sostituito dal seguente:
“Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni garantiscono e favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.”

L’aggiunta non è di poco conto.
Con un sinonimo all’apparenza innocuo, infatti, si è tornati a quel “nel rispetto delle attività” previsto dall’art. 56 della bicamerale. Ben oltre, quindi, quanto addirittura contenuto nel progetto di revisione del 2005. Dal “riconoscere” e favorire si è addirittura passati all’obbligo di “garantire” l’iniziativa privata.
Ma per realizzare questo principio non c’è molto da scegliere.
L’intervento pubblico che determinasse condizioni di “concorrenza sleale” nei confronti dell’attività economica privata sarebbe incostituzionale.
Saremmo cioè di fronte ad una grave limitazione per tutti quegli interventi pubblici che, per motivi d’interesse generale, potrebbe rendersi necessario gestire secondo criteri che non tengano conto degli equilibri di mercato.
A ciò c’è da aggiungere la modifica dell’art. 41, o meglio, alla soppressione del terzo comma dell’art. 41:

Art. 41  DDL governo 9 febbraio 2011

L’attività economica privata è libera ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge.
Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

In linea di principio, mentre per il privato è tutto consentito a meno di divieti espliciti, decadono tutti gli obblighi costituzionali per indirizzare e coordinare l’attività economica pubblica e privata. Il che va evidentemente a rafforzare gli obblighi per Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni in relazione al precetto costituzionale di dover improntare l’intervento pubblico garantendo l’iniziativa privata.
Siamo cioè a un livello tale di arretramento dell’iniziativa pubblica tale da imporre, nel tempo, la privatizzazione forzata di tutti i servizi di interesse pubblico.

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