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L’illegittimo impedimento di Marchionne

L’amministratore delegato della Fiat è persino più bravo di Silvio Berlusconi nel vendere fumo e nel rispondere con accuse di lesa maestà a chiunque gli chieda notizie un pò più precise sui suoi reali progetti. Nello stesso tempo sta maturando gli stessi sentimenti del presidente del consiglio verso i giudici. Il 18 giugno a Torino si apre il processo relativo alla denuncia della Fiom sulle Newco di Pomigliano, Mirafiori e Bertone. Esse sono assolutamente illegittime ed estranee a qualsiasi regola italiana ed europea. Se il tribunale dovesse – come prevedono tanti esperti – condannare la Fiat, tutto il castello dei suoi accordi separati crollerebbe. Cisl, Uil e Ugl, sollecitate dall’azienda, si sono subito presentate in tribunale contro la Fiom. Ma evidentemente a Marchionne questo sollecito servilismo non basta. Egli sa che l’accordo è a rischio e per questo ha chiesto alla Confindustria, al governo, ai sindacati complici una legge che lo metta al riparo dai giudici. Abbiamo appreso da varie interviste e dichiarazioni di questi giorni, che tutti i chiamati all’ordine, da Bombassei a Sacconi, da Bonanni ad Angeletti, hanno sollecitamente sbattuto i tacchi. Così si prepara un “avviso comune” nel quale tutti i firmatari degli accordi illegittimi in Fiat chiedono al governo di renderli legali per legge. Si apre così l’inaudita possibilità che il contratto nazionale venga abolito per legge dal governo Berlusconi, con il consenso di Cisl e Uil. Quanto sta avvenendo attorno alla Fiat è la dimostrazione che per rovesciare davvero Berlusconi e il suo potere bisogna anche travolgere il modello sociale e politico liberista e corporativo che l’ha sinora sostenuto. In questi stessi giorni i dati sugli infortuni mortali sul lavoro ci dicono che, contrariamente agli annunci del governo e dell’Inail, i morti sono aumenti quest’anno del 20 per cento. L’orario di lavoro in Italia è, secondo un istituto internazionale, tra i più alti al mondo, ben trecento ore in più all’anno della Germania. Eppure la Confindustria, il governo, Cisl e Uil parlano solo di produttività del lavoro e pensano di ottenerne ancora di più scardinando il contratto nazionale.

Mentre nel nostro Paese incombono i tagli drammatici alla spesa sociale che Tremonti ha concordato in Europa, per certi palazzi politici, sindacali e padronali il voto amministrativo, la mobilitazione dei cittadini, i referendum, sono tutti eventi di cui non si deve in alcun modo tener conto. Continuano tutti a vivere attorno ad Arcore. Il 13 giugno voteremo per l’acqua pubblica e contro il nucleare. E per abolire il legittimo impedimento che tiene Berlusconi lontano dai giudici. Ma a questo punto saremo chiamati ad esprimerci anche contro chi, dopo le leggi ad personam, vuole quelle ad aziendam. La liberazione dal berlusconismo e dal sistema di potere che sinora l’ha sostenuto, è solo cominciata. I Sì al referendum sono ancor più necessari oggi anche per questa ragione. Perché si vuole ancora far pagare tutti i costi della crisi al mondo del lavoro. E perché si vuole ottenere l’impunità per legge dalle violazioni dei diritti. Si usa il potere pubblico per difendere i propri affari privati. Per questo il Sì domenica vale ancora di più.

Da Liberazione del 8 giugno

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