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Contro il governo unico delle banche

Lo stato della situazione economica e finanziaria del nostro paese è cosa nota da decenni e parla di una progressiva deindustrializzazione fatta di delocalizzazioni, di impoverimento accentuato della leva produttiva che stanno facendo del nostro paese un esclusivo fornitore di servizi.

Una situazione tipica del cosiddetto mondo industrializzato che però, mentre in Italia, come in Spagna e in molti altri paesi ha rappresentato un mutamento economico macroscopico non accompagnato dallo sviluppo della ricerca e delle produzioni a maggiore valore tecnologico, in altri, come la Francia e la Germania, non ha prodotto gli stessi effetti in quanto è stato mantenuto un impianto industriale che permette un equilibrato sviluppo sia del mondo dell’attività manufatturiera, sia di quella dei servizi, con priorità nella produzione altamente tecnologica e un investimento costante nella formazione e nella ricerca.

La nascita dell’euro, costruita intorno al marco ed alle economie degli stati forti (Germania e Francia) ha inoltre costretto gli altri paesi ad una rincorsa impossibile e li ha relegati a semplice meccanismo accessorio di una macchina, quella europea, che appena si è trovata in difficoltà, ha scaricato i maggiori sacrifici sui paesi  e le economie più deboli.

E’ in questa situazione che si è sviluppata la crisi finanziaria che ha visto il suo inizio nel 2007, che non è assolutamente terminata e che sta producendo in questi mesi l’attacco speculativo, se così vogliamo chiamarlo, nei confronti di paesi come la Grecia, l’Irlanda, il Portogallo e ora la Spagna e l’Italia.  I grandi gruppi finanziari e le banche, dopo essere stati salvati negli anni passati attraverso enormi finanziamenti degli stati, stanno ora “attaccando” i debiti sovrani, cioè quelli degli stessi paesi che li hanno finanziati, per recuperare margini di profitto che non possono essere ottenuti in altro modo.

Ed è in questa situazione che gli stati più deboli sono chiamati a fare sacrifici, a ridurre i servizi e gli stipendi, a procedere a privatizzazioni senza precedenti per ridurre il debito ed “apparire” più virtuosi, senza però comprendere che allo stesso tempo così si riducono le potenzialità economiche nazionali e quindi anche le minime possibilità di uscire dal vortice speculativo che li sta strozzando.

Ma se è vero che oggi la massa monetaria virtuale che gira nei mercati a livello globale raggiunge la cifra impronunciabile di svariate centinaia di miliardi di dollari, cioè quasi 13 volte la ricchezza reale prodotta sulla terra in un anno, è facilmente comprensibile che non esiste alcuna possibilità di ripianare i debiti e che quindi il problema non è nei numeri e nelle misure da intraprendere, ma nel sistema stesso che ormai vive sulle “scommesse” piuttosto che su solide basi economiche.

E’ quindi il sistema del capitalismo finanziario stesso che sta generando la crisi in atto   e quello che abbiamo visto sino ad oggi non è il culmine della crisi, ma forse soltanto l’inizio.

E’ necessario volare alto e cominciare a dire e praticare idee radicali e del tutto diverse da quelle che i “tappabuchi” politici e finanziari di tutto il mondo stanno ripetendo da anni e che in Italia si sono tradotti anche nel nuovo Patto Sociale tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil.

Sta girando in questi giorni un appello sottoscritto già da tanti lavoratori e cittadini e sostenuto soprattutto da sindacalisti Fiom e USB che indica un percorso alternativo. Una ipotesi di lavoro che molti hanno ormai nella testa ma che pochi hanno il coraggio di dire apertamente.

Questi i 5 punti prioritari che testualmente riportiamo dall’appello:

1.     Non pagare il debito. Bisogna colpire a fondo la speculazione finanziaria e il potere bancario. Occorre fermare la voragine degli interessi sul debito con una vera e propria moratoria. Vanno nazionalizzate le principali banche, senza costi per i cittadini, vanno imposte tassazioni sui grandi patrimoni e sulle transazioni finanziarie. La società va liberata dalla dittatura del mercato finanziario e delle sue leggi, per questo il patto di stabilità e l’accordo di Maastricht vanno messi in discussione ora. Bisogna lottare a fondo contro l’evasione fiscale, colpendo ogni tabù, a partire dall’eliminazione dei paradisi fiscali, da Montecarlo a San Marino. Rigorosi vincoli pubblici devono essere posti alle scelte e alle strategie delle multinazionali.

2.    Drastico taglio alle spese militari e cessazione di ogni missione di guerra. Dalla Libia all’Afghanistan. Tutta la spesa pubblica risparmiata nelle spese militari va rivolta a finanziare l’istruzione pubblica ai vari livelli. Politica di pace e di accoglienza, apertura a tutti i paesi del Mediterraneo, sostegno politico ed economico alle rivoluzioni del Nord Africa e alla lotta del popolo palestinese per l’indipendenza, contro l’occupazione. Una nuova politica estera che favorisca democrazia e sviluppo civile e sociale.

3.    Giustizia e diritti per tutto il mondo del lavoro. Abolizione di tutte le leggi sul precariato, riaffermazione al contratto a tempo indeterminato e della tutela universale garantita da un contratto nazionale inderogabile. Parità di diritti completa per il lavoro migrante, che dovrà ottenere il diritto di voto e alla cittadinanza. Blocco delle delocalizzazioni e dei licenziamenti, intervento pubblico nelle aziende in crisi, anche per favorire esperienze di autogestione dei lavoratori. Eguaglianza retributiva, diamo un drastico taglio ai superstipendi e ai bonus milionari dei manager, alle pensioni d’oro. I compensi dei manager non potranno essere più di dieci volte la retribuzione minima. Indicizzazione dei salari. Riduzione generalizzata dell’orario di lavoro, istituzione di un reddito sociale finanziato con una quota della tassa patrimoniale e con la lotta all’evasione fiscale. Ricostruzione di un sistema pensionistico pubblico che copra tutto il mondo del lavoro con pensioni adeguate.

4.    I beni comuni per un nuovo modello di sviluppo. Occorre partire dai beni comuni per costruire un diverso modello di sviluppo, ecologicamente compatibile. Occorre un piano per il lavoro basato su migliaia di piccole opere, in alternativa alle grandi opere, che dovranno essere, dalla Val di Susa al ponte sullo Stretto, cancellate. Le principali infrastrutture e i principali beni dovranno essere sottratti al mercato e tornare in mano pubblica. Non solo l’acqua, dunque, ma anche l’energia, la rete, i servizi e i beni essenziali. Piano straordinario di finanziamenti per lo stato sociale, per garantire a tutti i cittadini la casa, la sanità, la pensione, l’istruzione.

5.    Una rivoluzione per la democrazia. Bisogna partire dalla lotta a fondo alla corruzione e a tutti i privilegi di casta, per riconquistare il diritto a decidere e a partecipare affermando ed estendendo i diritti garantiti dalla Costituzione. Tutti i beni provenienti dalla corruzione e dalla malavita dovranno essere incamerati dallo Stato e gestiti socialmente. Dovranno essere abbattuti drasticamente i costi del sistema politico: dal finanziamento ai partiti, al funzionariato diffuso, agli stipendi dei parlamentari e degli alti burocrati. Tutti i soldi risparmiati dovranno essere devoluti al finanziamento della pubblica istruzione e della ricerca. Si dovrà tornare a un sistema democratico proporzionale per l’elezione delle rappresentanze con la riduzione del numero dei parlamentari. E’ indispensabile una legge sulla democrazia sindacale, in alternativa al modello prefigurato dall’accordo del 28 giugno, che garantisca ai lavoratori il diritto a una libera rappresentanza nei luoghi di lavoro e al voto sui contratti e sugli accordi. Sviluppo dell’autorganizzazione democratica e popolare in ogni ambito della vita pubblica.

Il testo completo dell’appello, denominato “5 proposte per un fronte comune contro il governo unico delle banche. – Ci incontriamo il 1° ottobre a Roma” lo potete leggere in allegato.

Leggi il testo dell’Appello: https://sites.google.com/site/appellodobbiamofermarli/home

Per adesioni: appello.dobbiamofermarli@gmail.com

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