Non a caso a circa due anni da quel primo strappo al sistema delle regole e della contrattazione quel dispositivo normativo autoritario si sta rivelando come la norma imperante in tutti i siti Fiat con buona pace di quanti, non solo tra i sindacati collaborazionisti ma anche a sinistra, consideravano il caso/Pomigliano come una eccezione.
Oggi sotto tiro sono, in maniera esplicita, a Pomigliano, in tutto il gruppo Fiat e nell’intero panorama del sistema produttivo i diritti politici e sindacali che ancora permangono i quali sono considerati alla stregua di lacci e lacciuoli che non permetterebbero all’Azienda/Italia e al complesso del capitalismo tricolore di competere adeguatamente sul proscenio internazionale.
Bene, dunque, hanno fatto i sindacati di base, i collettivi studenteschi e le varie reti dei movimenti di lotta ad organizzare la presenza ai cancelli della Fiat promuovendo, anche, per giovedì 15 dicembre, a Napoli, una prima manifestazione di piazza contro il governo Monti e contro i diktat dell’Unione Europea.
Una manifestazione che punta, tra l’altro, anche ad avviare un processo di connessione tra le tante vertenze sindacali e sociali che attraversano il territorio dell’area metropolitana napoletana anche in vista di un necessario Sciopero Generale e Generalizzato da costruire nel prossimo periodo.
Ma l’occasione della mobilitazione contro la kermesse di Marchionne ha messo alla luce alcuni evidenti limiti oggettivi che riguardano il tasso di protagonismo dei lavoratori ad una battaglia la quale, se non vuole ridursi ad un mero aspetto di residuale testimonianza, non può essere sostenuta unicamente dagli attivisti politici e sindacali.
La pesantezza dell’offensiva dei poteri forti del capitale e del padronato necessitano di una mobilitazione di massa la quale – come dimostrano le due giornate di protesta a Pomigliano d’Arco – è ancora una soglia politica e materiale lungi dall’essere raggiunta.
In questi giorni ai cancelli della fabbrica non c’è stata una significativa presenza di lavoratori che andasse oltre gli effettivi dei sindacati conflittuali (…dai compagni della Fiom a quelli del sindacalismo di base..).
Questo dato, al momento negativo, è il prodotto non solo della pesante situazione di ricatto che pesa sui lavoratori (…sono solo alcune centinaia gli assunti nelle New/co “Fabbrica Italia” mentre la stragrande maggioranza dei lavoratori è ancora a cassaintegrazione) ma è anche la risultante concreta di decenni di politica sindacale incardinata alla totale subordinazione degli interessi dei lavoratori a quelli dell’azienda.
Una politica che, di fatto, ha aiutato il lavorio capitalistico mirante all’ulteriore e più profonda segmentazione dei lavoratori e all’aumento di tutti i fattori di contrapposizione e di concorrenza tra le stesse fila degli operai.
Da questa situazione occorre ripartire per ricostruire, in fabbrica, sui territori e nell’intera società, quella trama di relazioni politiche e sociali che puntano alla riorganizzazione del conflitto e ad una pratica di lotta sindacale autonoma ed indipendente.
Probabilmente già nella primavera prossima matureranno, anche agli occhi dei tanti lavoratori che hanno intravisto nel Piano Marchionne una specie di male minore a fronte dello spettro della disoccupazione di massa, quelle contraddizioni tra le legittime aspettative occupazionali e gli spietati dati del mercato dell’auto che disveleranno una dinamica di crisi della Fiat molto pesante di ciò che, al momento, appare.
Verso questi lavoratori occorrerà investire, da parte del sindacalismo conflittuale, sapendo articolare maturità politica e chiarezza programmatica, per rimettere in piedi l’organizzazione dei lavoratori adeguata all’attuale situazione normativa, produttiva e sociale.
* Rete dei Comunisti – Napoli
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