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Rovesciare Assad con la violenza? Le due risposte di padre Dall’Oglio

Mercoledì, 11 luglio il padre Paolo Dall’Oglio, gesuita, fondatore del monastero di Deir Mar Musa in Siria ed ora, da un mese, persona non più gradita dal governo siriano per via del sostegno morale e materiale che ha offerto apertamente ai rivoltosi, ha tenuto a Roma due importanti interventi sull’insurrezione in corso nel paese levantino, prima al Campidoglio e poi alla Città dell’Altra Economia.

In entrambi c’è stata, sullo sfondo, l’annosa questione dibattuta nei media da oltre un anno: per cambiare il governo autoritario del Presidente Bashar al-Assad, è legittimo il ricorso alla violenza da parte dei rivoltosi siriani, inizialmente pacifici ma da tempo ben armati dagli Stati Uniti e dai loro alleati? E se la rivolta dovesse impantanarsi come spesso avviene, sarebbe legittimo un intervento militare internazionale, anche senza mandato ONU, per far vincere i giovani rivoltosi o comunque per porre fine alle violenze che essi subiscono?

Le due domande non sono oziose e aprono scenari inquietanti. Se dovessimo rispondere di sì ad entrambe come fa gran parte dei media occidentali — cosa diremo un domani se l’Iran e la Russia (o la Cina e l’India) rispondessero di sì anche loro? Cosa diremmo, ad esempio, se la popolazione dell’Arabia Saudita (il cui monarca-dittatore Abdullah viene considerato da Amnesty International assai più feroce e tirannico di Assad) o se la popolazione del Bahrein, oppressa e martoriata dal re-dittatore Ali Khalifa, dovessero chiedere armi alla Russia o all’Iran per rovesciare il loro regime ed instaurare la democrazia? Considereremmo legittime queste rivolte armate? Considereremmo legittima anche la creazione di “corridoi umanitari” da parte dell’Iran o della Russia, “per proteggere i civili” sauditi e bahreiti e per consentire alle loro guerriglie di agire indisturbate? E cosa diremmo se il popolo cambogiano si ribellasse contro il regime autoritario ventennale di Hun Sen, avvalendosi del sostegno della Cina o dell’India sotto forma di forniture d’armi e in seguito di interventi militari “umanitari”, come la creazione di una “zona d’interdizione aerea” sopra la Cambogia e il ricorso a bombardamenti “chirurgici” per aiutare i ribelli, come ha fatto la Nato in Libia?

In una parola, dove cominciano e dove finiscono i principi della “Responsabilità di Proteggere” (norma ONU emergente) e della “guerra umanitaria” (dottrina attribuita a Václav Havel). Questi principi valgono solo quando siamo noi paesi occidentali ad invocarli per poter rovesciare dittature a noi non gradite? O valgono anche quando vengono invocati dai nostri rivali, per allargare la propria sfera d’influenza geopolitica rovesciando le dittature filo-occidentali?

Ora che è iniziata la corsa tra Est ed Ovest per impossessarsi delle ricchezze dei paesi africani, la domanda è tutt’altra che oziosa. Ed ecco perché la crisi siriana è diventata il terreno di scontro che deciderà le regole del gioco nelle relazioni internazionali del futuro.

Sullo sfondo di tutti questi interrogativi, il padre Dall’Oglio ha preso la parola nella prestigiosa Protomoteca del palazzo del Campidoglio, graziosamente messa a disposizione dalla amministrazione Alemanno (senz’altro d’intesa con la Farnesina), per rivolgersi ad una platea in larga misura preventivamente a favore di un intervento militare occidentale in Siria.

Il convegno capitolino è stato infatti indetto dall’associazione “Siria libera e democratica” il cui Presidente Feisal al-Mohammed, dissidente siriano residente in Italia da 40 anni, è stato in passato promotore di diverse iniziative anti-Assad (e, in sordina, pro-intervento Nato) nella Capitale.

Dall’Oglio si è dimostrato completamente in sintonia con questa platea.  Diversamente dalle relazioni dotte degli studiosi che l’hanno preceduto, egli ha svolto un comizio appassionato per ricordare il sangue dei giovani martiri, versato contro la tirannia e per la libertà, e per ribadire poi la dottrina della Chiesa che ammette il ricorso alle armi per l’autodifesa. (A queste parole la platea è scoppiata in applausi scroscianti.)  Quindi, ha proseguito Dall’Oglio, sì alla fornitura d’armi ai rivoltosi e sì alla creazione di “corridoi umanitari” protetti da forze internazionali. (Qui c’è stata una vera ovazione – e non è difficile capire perché: i “corridoi umanitari” possono facilmente prestarsi ad usi militari, diventando rifugi dai quali la guerriglia può impunemente fare escursioni lampo per attaccare le forze governative, com’è avvenuto in Libia.)

In verità queste prese di posizione di Dall’Oglio non erano una novità.  Già il 14 giugno, in un’intervista rilasciata a Radio Vaticana ( www.tinyurl.com/radiovaticana-1 al minuto 7’38”), Dall’Oglio aveva affermato: “Credo che sia certamente un dovere strettamente morale, internazionale, di intervenire quando un paese…è ridotto alla situazione in cui è ridotta la Siria”. E al Los Angeles Times dell’8 luglio ( www.tinyurl.com/times-8-7-12 ) egli aveva confessato: “Se la nonviolenza diventa soltanto un altro nome per non assumere le proprie responsabilità, allora non sto più con la nonviolenza, sto con il diritto di difendere la gente.”

Pur definendosi pacifista, dunque, Dall’Oglio è stato netto: dal momento che non è possibile spodestare il Presidente Assad usando i soli mezzi pacifici… alle armi!  Pacifismo 2.0. 

Anche se ha citato il termine una sola volta nel corso del suo intervento, Dall’Oglio sembra dunque aver subordinato interamente la sua etica pacifista alla cosiddetta R2P (“Responsabilità di Proteggere”), una disposizione ONU che è ancora in attesa di definizione giuridica e che Tom Perriello, co-fondatore di Avaaz e consigliere di Obama, ha recentemente ampliata e teorizzata ( www.tinyurl.com/perriello-1 ).  Questa disposizione andrebbe senz’altro sottoposta ad una critica serrata: è un vero vaso di Pandora.

Come spiegare allora il mutamento ideologico di Dall’Oglio, il quale, in tempi passati, è stato un critico feroce dell’intervento americano in Iraq (sbandierato anch’esso come una “liberazione da un crudele dittatore”)?  La spiegazione è forse ravvisabile proprio nella passione con la quale, nel suo intervento in Campidoglio, Dall’Oglio ha difeso i giovani “rivoluzionari”.  Vivendo in Siria da 30 anni, Dall’Oglio avrà sicuramente sviluppato forti legami con la gente, in particolare con le teste calde della cosiddetta “Rivoluzione siriana” –  di cui evidentemente ha sposato le tesi.

Ma il suo ruolo di educatore, dove lo mettiamo?  Per quanto sia sempre giusto assecondare lo slancio dei giovani, come mai il suo amore per quelle giovani teste calde siriane non l’abbia spinto a farle ragionare sull’insensatezza di manifestare in piazza contro un regime spietato, o di ricorrere alle armi “per difendere i manifestanti”?  Due scelte assolutamente suicide.  Ma apparentemente non per padre Dall’Oglio.

Un po’ di riflessione sulla storia della resistenza italiana, tuttavia, avrebbe forse potuto frenare l’entusiasmo traviato del nostro educatore.  Allora facciamo noi quella riflessione per lui.  Dunque in Italia, quando i nazisti hanno preso il potere nel 1943 (e per Dall’Oglio, le truppe siriane sono uguali a quelle naziste), sarebbe stato intelligente manifestare ogni giorno in piazza per rimandare i tedeschi a casa?  Ovviamente no: sarebbe stato suicida e basta.  E, qualora ci fosse stata una grossa manifestazione in piazza per dire ai nazisti di andarsene, sarebbe stato intelligente, da parte delle teste calde tra i partecipanti, sparare sulle truppe naziste ammassate dall’altra parte della piazza “per difendere i manifestanti”?  Di nuovo, la risposta è ovviamente no: sarebbe stato suicida, perché gli spari avrebbero innestato o comunque incrementato l’inevitabile massacro.  Non si spara per difendere i partecipanti ad una manifestazione, si scioglie subito la manifestazione per poi passare a pratiche clandestine come il sabotaggio o la guerriglia in piccole bande o gli scioperi bianchi (“invisibili”) o il volantinaggio di nascosto – insomma le cose che effettivamente i giovani italiani antifascisti hanno fatto dopo l’8 settembre del 1943.  Non è ovvio, tutto ciò?

Bisogna chiedersi, allora, chi è che ha incoraggiato i giovani siriani a manifestare per strada, andando incontro ad una morte sicura?  Non erano mica in Tunisia, dove l’esercito si è unito quasi subito all’insurrezione – e questo lo si sapeva.  Non erano nemmeno in Egitto dove, dopo i massacri iniziali, l’esercito è passato, sotto spinta americana, dalla parte dei rivoltosi.  Chi è stato, allora, che – pur sapendo la fedeltà dell’esercito allo Stato e a Assad – ha caldeggiato le manifestazioni pubbliche e il ricorso alle armi durante le proteste “per proteggere i manifestanti”?  L’ha fatto, in questi mesi e anche prima, certamente la quinta colonna americana in Siria (vedi www.tinyurl.com/confronti-7-12 ), proprio per provocare le stragi da sbattere sulle prime pagine dei giornali e quindi rendere urgente un intervento militare.  Ma Dall’Oglio?  Si è prestato anche lui?  Sembrerebbe di sì. Allora questo non è amore – per quanto si possa giudicare dall’esterno, sulla base delle sole apparenze – è follia.

Anche un ragionamento puramente politico porta alla stessa conclusione: aver assecondato il ricorso alle armi — anche solo “per difendere i civili” – è stata una mossa necessariamente perdente per i giovani rivoltosi, che avrebbero dovuto invece lavorare in modo sotterraneo.  Perdente perché i giovani rivoltosi sono ormai diventati dipendenti dai loro sponsor-fornitori d’armi, non potendole comprare per conto proprio e non bastando le armi rubate dai depositi o portati via dai disertori.  Questa dipendenza significa che, col tempo, sono i fornitori d’armi – gli americani in primo luogo – a favorire determinati rivoltosi piuttosto di altri, tramite le forniture concesse o rifiutate a ciascuno, così da far prevalere nel gruppo dirigente i rivoltosi più in sintonia con gli interessi strategici americani.  Nel caso della Siria, ciò significa far prevalere i rivoltosi favorevoli all’adesione della Siria al Dialogo Mediterraneo della Nato, alla sudditanza della Siria al Consiglio di Cooperazione del Golfo, al divorzio con Iran, Hezbollah e Hamas e, infine, alla chiusura della base navale russa a Tartus (unico suo porto nel Mediterraneo).  Insomma, accettando le armi, i rivoltosi finiscono col farsi dettare la politica estera del loro paese come, attraverso l’adesione della Siria al Fondo Monetario e alla Banca Mondiale, anche la politica economica interna è da tempo dettata da altri.  Addio rivoluzione.

In conclusione, come scrisse Frantz Fanon, non si lotta per liberarsi rendendosi dipendenti.  Ma questa considerazione, per quanto ovvia, non sembra aver sfiorato la mente di padre Dall’Oglio. E nemmeno il ragionamento fatto all’inizio di questo articolo: se Dall’Oglio caldeggia  l’interventismo di paesi terzi in Siria, come farà poi a criticare i popoli oppressi da altre dittature – i sauditi, i bahraini, i cambogiani – se vorranno liberarsi con l’aiuto militare dell’Iran, della Russia, della Cina o dell’India?  Per non parlare dei popoli oppressi in tanti paesi africani, diventati ormai terra di contesa (o di riconquista) tra paesi NATO e paesi della SCO (Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione, che raggruppa la Cina, la Russia, l’Iran, l’India, il Pakistan, ecc.).  Insomma, scenari futuri alquanto inquietanti, che potrebbero avere origine proprio nei precedenti creati dall’interventismo occidentale in Libia ed ora (se non cambiamo rotta) in Siria.  L’amore sarà cieco, padre Dall’Oglio, ma non deve essere miope.

Poi, due ore dopo il suo show in Campidoglio, Dall’Oglio è giunto alla Città dell’Altra Economia per tenere il suo secondo intervento.  Ed è stata una metamorfosi. 

Davanti ad una centinaia di pacifisti contrari alla spirale della guerra in Siria, Dall’Oglio non ha parlato più di fornitura d’armi per poter salvare tanti giovani civili siriani (uccidendo poi tanti giovani militari siriani); non ha parlato più di corridoi umanitari protetti dall’aviazione  (con gli inevitabili “danni collaterali”); ha parlato solo di interventi ONU di terra che siano “puntuali, limitati ed adeguati” (la giustificazione degli interventi militari secondo Ratzinger) per formare “zone cuscinetto”.  In pratica ha caldeggiato il dispiegamento di Caschi Blu (“non presi dai paesi interessati al conflitto ma da paesi neutri”, quindi niente Nato) per “separare” i contendenti soltanto nelle zone dove c’è già la guerra civile.  “E’ quello che l’Italia ha fatto nel Libano tra Hezbollah e le truppe israeliane ed è stato apprezzato da tutte le parti”, ha aggiunto.  Molto civile.  Molto politically correct.  Ha capito la sua platea, per quanto variegata, e ha usato il linguaggio giusto.

Allora, quale dei due Dall’Oglio è quello vero?

La risposta è scontata: entrambi.  Perché come ha poi indicato Alessandro Marescotti sul sito Peacelink.it, l’opzione “zone cuscinetto” (perorata nel secondo intervento) porta in realtà alla creazione di “corridoi umanitari usati per la guerra” (perorata nel primo intervento).  Si tratta dunque dello stesso prodotto in due imballaggi diversi, ognuno studiato per un determinato pubblico target.  Quel prodotto ovunque uguale è: il regime change attraverso la violenza.  Dall’Oglio non sembra vedere altre soluzioni, come del resto non ne vedono i suoi amici e sostenitori siriani, per quanto egli insista poi sull’opportunità di negoziati, una volta indebolito il regime con la guerriglia.

Viene da chiedersi come mai Dall’Oglio non si rende conto delle manipolazioni alle quali questa presa di posizione espone proprio le persone che egli ama e vorrebbe proteggere.  La lezioni egiziana apparentemente gli è passato accanto: 1000 coraggiosi giovani ammazzati in piazza Tahrir per portare al potere, non i partiti voluti dai giovani, ma quelli voluti dal Grande Sponsor dello stato egiziano.  Infatti, l’America versa oltre un miliardo e mezzo di dollari all’anno in “aiuti” all’Egitto; e siccome da due anni voleva liberarsi di Mubarak e figlio, diventati controproducenti, ha approfittato della Primavera Araba per rimettere in discussione il regime.  I giovani rivoltosi, uccisi in piazza dalle guardie del regime, sono stati dunque il mezzo usato cinicamente per screditare il rais e portare alla sua destituzione da parte dell’esercito, da sempre in sintonia con Washington.  Gli accordi con i Fratelli Musulmani erano stati già presi da tempo quindi, una volta mandati a casa i giovani con le fucilate (questa volta l’Occidente ha chiuso un occhio sui morti in piazza), avanti con le elezioni!  “Vincano i militari o vincano i Fratelli, l’Egitto rimane nostro,” ha esultato la Clinton.  Addio rivoluzione.

Ma forse questi discorsi di manipolazioni americane nel Medio Oriente sono soltanto complottismi immaginari? Forse non c’è una manovra americana in atto da tempo in Siria? Oppure se c’è, forse è fallita o comunque ha avuto poco effetto?

All’incontro alla Città dell’Altra Economia, chi scrive ha chiesto dunque a Dall’Oglio se aveva avuto notizie della quinta colonna americana in Siria che gli USA finanziano dal 2005 per spronare ad una sollevazione (secondo Wikileaks); o delle squadroni della morte che gli USA inviano in Siria (reclutati dall’Arabia Saudita) dal 2007 per aizzare il governo, farlo diventare ancora più repressivo e quindi far scoppiare una rivolta (secondo l’inchiesta Hersh); o del canale TV satellitare della CIA che irradia 24 ore su 24 programmi che incoraggiano l’insurrezione (sempre Wikileaks).  Dall’Olio non ha voluto rispondere, anche dopo ripetute richieste.  Alla fine ha liquidato la questione con un “Sai, l’America…” e una alzata di spalle.

E’ la risposta fiera di tutti coloro che, come Dall’Oglio, sentono il sangue dei giovani “rivoluzionari” nelle vene: “Facciano quello che vogliono gli USA, intanto siamo NOI la rivoluzione!” 

Chi invece ha visto scorrere inutilmente il sangue di tanti giovani “rivoluzionari” in passato, non può che sperare che Dall’Oglio si ricreda ben presto e che dica ai suoi amici siriani: “Non accettate le armi che gli Stati Uniti tramite il Qatar vi offrono gratis, come gli spacciatori davanti alle scuole che offrono spinelli inizialmente gratis.  Potete liberarvi — davvero – come popolo, soltanto creando una resistenza civile, minando le basi economiche del regime, creando nuovi blocchi sociali!”  Gramsci offre molti insegnamenti utili al riguardo.  E i nuovi paesi in forte crescita nell’America Latina – una volta assoggettati a regime dittatoriali anche loro, ma ora liberi, democratici e progressisti – dimostrano che quegli insegnamenti possono trovare, e trovano, effettivi riscontri pratici. 

* Rete No War, Il Dialogo del 19 luglio 2012 

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