Bologna: quando Repubblica fa di un carnefice la vittima
Il modo in cui Repubblica racconta la protesta di ieri degli studenti medi a Bologna si basa su due dispositivi retorici ben identificabili (guarda il video di Repubblica)
Primo. La trasformazione del carnefice, prima in vittima e poi in eroe (come già accaduto nel caso “Pecorella” in val Susa). Non solo attraverso il video che nelle ultime ore ha avuto larga diffusione in rete: la figura del sovrintendente del VII reparto mobile viene descritta in modo dettagliato sull’edizione cartacea locale con una news tematica in cui son pennellati dettagli più personali sul suo passato ed il suo stato di servizio. La tattica è quella di rendere più umana e presentabile la categoria del celerino, avvicinandolo al lettore e facendo dimenticare il suo ruolo di professionista della violenza (un ruolo scritto in tanti episodi recenti dell’Italia degli anni 00) trasformandolo nel lavoratore del mese. Il suo merito è quello di non aver massacrato degli studenti delle scuole superiori. Metodo ACAB (il film).
Secondo. Di contro e coerentemente, viene compiuta la disumanizzazione dell’avversario, contenuta nelle parole del questore Stingone. Sua opinione è che non meglio precisati “soliti noti” abbiano usato come carne da macello (ovvero scudi umani) dei ragazzini inconsapevoli. Implicitamente quindi, la protesta degli studenti medi viene definita come priva di spessore e legittimità politica: raffigurati come monadi senza cervello e manovrati da occulti burattinai (vigliacchi e codardi perché si servono di ingenui bambocci per i loro scopi), le loro istanze non hanno pertanto alcun valore e non meritano neppure di essere prese in considerazione e discusse. Tanto più se questi studentelli scriteriati si rendono protagonisti dell’orrendo crimine di aver “sfregiato” una torre del 1200 (che in quanto tale rappresenta un patrimonio comune).
Innanzitutto una considerazione di natura storico-estetica: in otto secoli quella torre ha visto scritte, mura divelte e piani tirati giù da guelfi e ghibellini, papisti, repubblicani, bonapartisti, socialisti, fascisti e partigiani. Se un oggetto aspira ad una dimensione “pubblica” si assume il rischio di fare i conti con il suo tempo: il suo valore non sta nei mattoni con cui è costruito ma nella storia che racconta e simboleggia. Ergo non si può affittare una torre del 1200 a Gianfranco Fini e poi scandalizzarsi per una scritta contro il suo partito!
Più importante però è che le parole del questore e dei pennivendoli di Repubblica sono smentite dai fatti.
Innanzi tutto perché è nota la brutalità di cui i reparti mobili della celere si macchiano da anni. E se nel nostro paese davvero esistesse una “società civile” – di che si tratta poi, un giorno qualcuno dovrà spiegarcelo – questa, invece che invocare a gran voce i numeri identificativi sui caschi degli sbirri, dovrebbe semmai affermare con forza che è giusto scendere in piazza col casco. E per un motivo molto semplice: perché la celere in Italia negli ultimi quindici anni, forse di più, ha dimostrato di essere un corpo di polizia O-MI-CI-DA. Per chi l’avesse dimenticato i celerini del VII reparto mobile sono gli stessi che hanno massacrato l’ultrà del Brescia Paolo Scaroni, mandandolo in coma per due mesi ed uscendone puliti come agnellini al processo. Altro che giustizia ad orologeria! Non è tanto quella a preoccuparci, quanto l’impunità di cui godono gli uomini degli apparati repressivi in Italia.
Secondo e più importante fatto. Quello che il questore Stingone finge di dimenticare – lui si chiuso nelle sue macchinazioni dietro le tende tirate del suo ufficio – è che gli studenti medi hanno rappresentato negli ultimi mesi la parte più vitale della società italiana. Quella che ci vede lontano e che a 17 anni ha già capito di non voler fare da cavia per le politiche di austerity decise da pochi soliti noti nelle stanzette della BCE.
vedi anche
La carezza del celerino. Repubblica alla testa del movimento
Fuck EU. Pay me.
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Roberto Sassi
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