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Se il Movimento Cinque Stelle decidesse di strutturare il proprio programma di politica economica sulla base dei contributi del Professor Mauro Gallegati e del gruppo di studiosi da lui coordinato sarebbe una notizia positiva e confortante per il futuro del paese.
Mauro Gallegati è uno dei più autorevoli esponenti italiani della Nuova Macroeconomia Keynesiana. Con Domenico Delli Gatti ha pubblicato contributi altamente innovativi in vari settori di frontiera dell’analisi macroeconomica, come ad esempio gli studi sulle interazioni sociali tra agenti economici eterogenei. Ha inoltre pubblicato diversi articoli con il premio Nobel Joseph Stiglitz, tra i quali spiccano alcuni recenti contributi dedicati ai nessi tra crescita delle disuguaglianze sociali e crisi economica. Gallegati può essere insomma annoverato tra gli studiosi italiani che sono riusciti a collocarsi nel gotha della migliore analisi economica “mainstream”. Al tempo stesso, egli ha anche più volte manifestato interesse nei confronti delle teorie economiche cosiddette “critiche”, come dimostrano i suoi studi dedicati, tra gli altri, al post-keynesiano Hyman Minsky [1].
Personalmente non mi sento di condividere l’attuale posizione del Prof. Gallegati riguardo al futuro della zona euro. Gallegati ha di fatto ridimensionato la rilevanza delle critiche che Beppe Grillo ha più volte espresso nei confronti dell’euro, e ha negato che il M5S possa orientarsi verso una strategia di uscita dall’eurozona [2].
Gallegati tuttavia conosce a menadito la lezione di Keynes: egli sa benissimo che la pretesa delle autorità di politica economica europea di correggere gli squilibri tra paesi creditori e paesi debitori costringendo questi ultimi ad adottare misure pesantemente deflazionistiche e recessive si sta rivelando un colossale fallimento [3]. Proseguendo di questo passo l’Unione monetaria europea sarà preda di un gigantesco “gioco non cooperativo”, che finirà presto o tardi per portarci a una messa in discussione della moneta unica e forse, in potenza, a una revisione del mercato unico europeo. Certo, vi è chi si augura che i segnali politici provenienti dall’Italia e dalle altre periferie dell’eurozona possano disporre le autorità tedesche e comunitarie a un abbandono della linea deflazionista e a una svolta negli indirizzi di politica economica. Ma le notizie più recenti sembrano dirci l’esatto contrario: in Germania la dottrina di Jurgen Stark e degli altri falchi della Bundesbank pare avere ormai irrimediabilmente contagiato i vertici della stessa SPD. Se questo scenario tenderà a perdurare e a rafforzarsi, non ci sarà alcuna speranza: l’euro si rivelerà uno zombie, un morto che cammina.
Gallegati conosce bene i rischi del gioco non cooperativo che va profilandosi. Egli sa pure che lo stesso Stiglitz ha più volte espresso l’opinione che, a date condizioni, una opzione di uscita dall’euro dell’Italia e degli altri paesi periferici potrebbe esser considerata razionale: per il premio Nobel, l’uscita dall’euro “non sarebbe la fine del mondo” [4]. La mia modesta opinione è che forse una simile eventualità andrebbe meglio esaminata in termini di rapporti conflittuali tra gruppi sociali antagonisti, e quindi bisognerebbe valutare le diverse ricadute su di essi a seconda delle diverse possibili strategie di uscita, di “destra” oppure di “sinistra”. Ad ogni modo, e al di là della tesi di chi scrive, è innegabile che Stiglitz coltivi una posizione meno pessimistica di Gallegati in merito all’eventualità di abbandono della moneta unica.
Se dunque Gallegati ritiene si possa dare ancora una chance alle prospettive di riforma dell’eurozona, spero possa convenire sul fatto che tale chance può diventare concreta solo se il futuro governo dell’Italia si presenterà ai tavoli delle trattative europee non soltanto con una precisa proposta di ridefinizione dei trattati concordata con la Francia e con gli altri paesi periferici dell’Unione, ma anche con un esplicito “piano B” nella ipotesi che le autorità tedesche risultassero ancora una volta ostili all’abbandono dell’attuale linea deflazionista.
In questi mesi sono state avanzate varie proposte di revisione dei trattati in grado di dare nuove speranze al futuro dell’eurozona. Alcune di queste indicazioni sono state anche pubblicate in documenti ufficiali dei partiti progressisti europei [5]. Tuttavia, c’è motivo di ritenere che nessuna di queste iniziative possa avere una possibilità di successo se non viene accompagnata, ai tavoli delle trattative, da un “piano B”, una exit strategy in caso di ennesimo fallimento dei negoziati. Ad avviso di chi scrive, l’unica opzione che potrebbe indurre le autorità tedesche a rivedere le proprie posizioni consiste nel chiarire che se queste decideranno di abbandonare la moneta unica al proprio destino c’è il rischio che venga poi messa in discussione anche la piena libertà di circolazione dei capitali e delle merci sancita dal mercato unico europeo. I proprietari tedeschi, infatti, ormai mettono in conto i costi di una crisi dell’euro, mentre temono ancora fortemente l’ipotesi di una revisione degli accordi di libero scambio [6]. Fargli capire che si tratta di una ipotesi plausibile potrebbe rivelarsi l’ultima carta da giocare per il salvataggio dell’Unione. La speranza è che, dall’alto della sua autorevolezza, il Professor Gallegati induca i nostri rappresentanti politici ad avviare una dicussione al riguardo. Almeno in camera caritatis.
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[1] Si vedano i contributi di Mauro Gallegati su Ideas. Sul nesso tra disuguaglianze e crisi economica, si veda Delli Gatti, Gallegati, Greenwald, Russo, Stiglitz (2012). Tra i contributi in italiano, segnalo Delli Gatti, D., Gallegati, M. (a cura di) (2005).Eterogeneità degli agenti economici e interazione sociale: teorie e verifiche empriche, Il Mulino, Bologna. Tra le ricerche atte a favorire un dialogo tra Nuova Macroeconomia Keynesiana e teoria “critica”, cfr. ad esempio Delli Gatti, D., Gallegati, M. (1991). Informazione asimmetrica, accumulazione del debito e ciclo economico, in Kregel, J. (a cura di). Nuove interpretazioni dell’analisi monetaria di Keynes, Il Mulino, Bologna.
[2] Bagnoli, R. (2013). Intervista a Mauro Gallegati: il Prof. che spiega l’economia secondo Grillo. Corriere della Sera, 28 febbraio.
[3] Brancaccio, E., Fontana, G. (2013). Italian memo to policy makers: time to change course?, Financial Times, 27 February.
[4] Fayner, E. (2012). Joseph Stiglitz: “la fin de l’euro ne serait pas la fin du monde”, Le Nouvel Observateur, 13 sept.
[5] Brancaccio, E. (2012). Current account imbalances, the Eurozone crisis and a proposal for a “European wage standard”. International Journal of Political Economy, vol. 41, Number 1. La proposta di “standard salariale europeo” è stata inserita nel Contributo del Partito Democratico al Programma nazionale di riforma 2012 ed è stata discussa in sede FEPS in occasione della conferenza di investitura di Hollande all’avvio della campagna per le Presidenziali in Francia.
[6] Brancaccio, E., Passarella, M. (2012). L’austerità è di destra. E sta distruggendo l’Europa. Milano, Il Saggiatore.
* da http://www.sinistrainrete.info/
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alfonso de amicis
Posto che la questione economica abbia una propria “linearità”, che insomma si possa discutere di tutto quanto espresso da Brancaccio in “camera caritatis”, su quale gambe dovrebbe incamminarsi un programma cosi corposo. Insomma uscire dall’euro rimettere in discussione le politiche di austerità oltre chei governo del paese, mi pare necessiti di un movemento sociale che riunifichi la frammentazione ed indichi un per corso di atterraggio morbido dalle turbolenze che una simile politica, in un contesto europeo metterebbe sicuramente in movimento. Brancaccio sarà sicuramente d’accordo essendo un bravo economista, ma anche un compagno di viaggio che simili iniziative non vanno lasciate nelle mani di soli “economisti”. Siamo ad uno snodo ormai ineludibile: abbiamo bisogne di forme organizzative altrimenti lo spazio viene occupati da altri. Lo stato non si è estinto.
almanzor
Non so cosa si intenda con ‘Eterogeneità degli agenti economici e interazione sociale’ (vedrò il link con interesse) ma certo è che l’Unione Europea ‘virtuosa’ avrebbe bisogno di un gioco cooperativo di stati che si passino a turno la staffetta dell’espansione della domanda per il ‘bene comune’. Questa prospettiva pare sempre meno probabile e non solo per le scadenze elettorali. Potrebbe forse avere qualche speranza ad uno stadio, ancora lontano, di formazione di zone economiche protette e conflittuali: la borghesia tedesca (in primis) sembra ancora desiderare, al tempo stesso, i vantaggi dell’euro e della mobilità mondiale dei capitali, la botte e la moglie del famoso detto. Per ora non ha alcuna voglia o interesse a scegliere.
L’ ipotesi avanzata su questo sito (la ‘rivolta dei maiali’), a meno di imprevedibili eventi, può divenire attuale con un segno sociale, opposto a quello caldeggiato, solo se alcune frazioni delle borghesie dell’euro forte si convincono dei vantaggi di un doppio euro (carolingio e mediterraneo), come forse stanno facendo per rimandare la scelta.
Quanto all’agenda economica dei 5 s, dubito che Gallegati conti di più della platea-tipo rappresentata dai piccoli industriali, orfani della Lega (o peggio) vista ieri sera a Presa Diretta: zero contributi e (diritti, presumibilmente) per i neo assunti più, si capisce, qualche bella svalutazione. Con buona pace del ruolo degli intellettuali. A volare davanti al carro e a chi lo traina, di solito.