Sulla stampa, sui social network, in rete si sprecano commenti e suggestioni su un episodio che travalica il mero episodio di cronaca urbana.
Certo le lingue di fuoco visibili dall’alto della collina di Posillipo sono una immagine forte ed inquietante che attira l’attenzione e i commenti di molti dando libero sfogo ad interpretazioni bizzarre e, spesso, fuorvianti.
Come al solito, ancora una volta, si è messo in moto l’abituale esecrazione verso la mano oscura che avrebbe appiccato le fiamme per distruggere un punto di eccellenza culturale collocato dove una volta sorgeva lo stabilimento dell’Italsider.
A questo punto, però, è bene fare qualche sommessa considerazione che può aiutare non solo ad elaborare quella sorte di lutto collettivo che serve a metabolizzare simili avvenimenti ma anche ad indicare i limiti e le autentiche scelte sbagliate che stanno nella lunga vicenda politica e sociale del dopo Italsider a Bagnoli.
Quando fu chiusa l’Italsider fu promesso ai lavoratori, ai cittadini dell’area ed all’intera città che l’immensa zona dove insisteva l’acciaieria e le altre fabbriche correlate ad essa sarebbe diventata una zona verde, ecologicamente avanzata, con strutture ad alta intensità tecnologica che avrebbero favorito nuova occupazione, bonifica ambientale dei suoli e del mare e, soprattutto, una diversa qualità della vita.
Ad oltre un quindicennio da quelle promesse la cruda realtà che si palesa sotto i nostri occhi ci descrive un territorio dove le varie amministrazioni comunali (da Bassolino a Jervolino fino a quella di Giggino De Magistris) hanno bruciato centinaia di milioni di Euro nella Società di Trasformazione Urbana (la Bagnoli Futura) la quale non ha realizzato nulla se non la costruzione di un centro termale affidato ad una multinazionale del settore e un auditorium perennemente chiuso.
Tutto è rimasto immutato: la bonifica dell’amianto non è stata perfezionata, la colmata a mare che è una autentica bomba tossica non è stata rimossa nonostante le reiterate disposizioni di legge in tal senso, i fondali del mare sono ancora zeppi di catrame ed altre schifezze, l’intera zona è preda di un degrado spaventoso.
Le uniche attività fiorenti sono quelle del divertimento musicale e sono gestite da un equivoco consorzio e si svolgono su suoli e spazi che dovrebbero essere di pubblica e gratuita fruizione.
La stessa Città della Scienza e la parallela Fondazione IDIS – spiace ricordarlo in questo frangente – è una società che ha realizzato un museo, un centro congressi, un incubatore di imprese ed un ristorante su una area demaniale sottoposta a vincolo, interrompendo la continuità della linea di costa, ed effettuando, nel corso degli anni, assunzioni discrezionali e apertamente clientelari tra attivisti e militanti del PD e del PRC.
Non è un caso che con il tramonto dell’amministrazione Bassoliniana alla Regione Campania si è interrotto il flusso di (allegri) finanziamenti che, per oltre un decennio, hanno alimentato le iniziative della Città della Scienza e, non è un caso, che da circa due anni i circa 160 lavoratori di questa struttura devono mobilitarsi continuamente per ricevere gli stipendi mentre per alcuni di loro già da qualche mese è stata avviata la procedura di cassa integrazione mentre sono cresciuti i debiti e il disavanzo della società.
Non spetta a noi stabilire le cause di questo incendio e non è nostra abitudine elaborare ipotesi complottarde e proto poliziesche.
Ricordiamo, però, senza proporre nessun automatico parallelismo, che un anno fa una Società Partecipata della Regione Campania che affogava in un mare di debiti, la RECAM, vide consumare dal fuoco la propria sede societaria, l’archivio e tutto il suo centro di comando e controllo.
La vicenda dell’incendio che ha distrutto la Città della Scienza – al di la di quelli che saranno (se mai ci saranno) gli esiti investigativi e giudiziari – è una metafora del fallimento di una trasformazione urbana che non è mai avvenuta e che è fallita in tutti i suoi proponimenti.
Anzi, con il trascorrere degli anni, con il venire meno dell’attenzione pubblica su tale questione, l’intera area di Bagnoli ha visto avanzare forme di degrado umano e materiale che hanno disperso quei grumi di cultura operaia e popolare che caratterizzavano positivamente questo quartiere e l’insieme delle relazioni sociali.
L’impennata del costo dei suoli, il crescere vertiginoso dei prezzi delle case, la strisciante privatizzazione delle spiagge, l’incardinarsi di settori della criminalità organizzata e l’aumento della diffusione delle droghe sono state le sintomatologie evidenti di un mutamento economico e, persino, antropologico che ha prodotto diversificati effetti antisociali ad ampio raggio.
Del resto una specie di luna park post/industriale – come la Città della Scienza – non poteva rappresentare quella positiva controtendenza dopo la dismissione dell’Italsider.
Bagnoli e l’intera Zona Flegrea avevano ed hanno bisogno di altro.
In questa auspicabile direzione nell’ultimo anno si sono riprodotte alcune nuove esperienze sociali e conflittuali, accanto a quelle che meritoriamente da anni garantiscono continuità nella controinformazione sull’affaire/Bagnoli, come l’Assise per Bagnoli.
La formazione di un comitato di disoccupati, l’occupazione di alcune strutture pubbliche, l’attività di alcuni circoli politici e culturali e un crescente protagonismo studentesco e giovanile sono segnali incoraggianti per sconfiggere i fattori di vecchia e nuova speculazione su questo territorio.
Sono questi i necessari anticorpi sociali, da articolare e generalizzare, contro le fiamme, contro la passivizzazione, il degrado e i dispositivi di controllo e paura che, puntualmente, si innestano in scenari come quello che si sta consumando, in queste ore, a Napoli nell’area flegrea.
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