Da Istanbul, 16 giugno 2013 da Atene Calling
Esco di casa con l’idea di andare per l’ennesima volta in quel posto che è diventato l’esempio perfetto della convivenza, dell’autorganizzazione, dello stare insieme, della solidarietà, della gioia, della lotta determinata. O almeno, questa è l’idea.
Prendo la metro. La fermata Taksim è chiusa. Appena la gente recepisce il messaggio della voce della metro, smorfie di rabbia. Iniziano i cori. Incessantemente aumentano. Un brivido mi percorre la schiena. Mi chiedo il perché della chiusura. Ovviamente la risposta la conosco, ma non voglio accettarla. Non può, quel parco, essere attaccato dalla polizia per l’ennesima volta.
Esco dalla metro. Inizio a camminare in direzione Taksim e noto che, metro dopo metro, l’atmosfera aumenta d’intensità. Non voglio credere a quello che di lì a poco diventerà reale. Vedo questa gente, ancora una volta per strada a urlare la propria rabbia. Ormai ne sono certo: Gezi Park è sotto attacco. Mi viene confermato dai messaggi degli amici che sono lì o che hanno appreso la notizia da internet. Ma anche dalle persone che camminano in senso opposto al mio. Hanno il volto segnato dai lacrimogeni. Nel camminare vedo un televisore in un ristorante. Ci sono le ruspe a Gezi Park. Stanno spazzando via tutto.
Intorno a me si raccoglie un po’ di gente. Iniziano a imprecare. Più passano i minuti, più le persone affollano il viale in cui mi trovo. Le macchine hanno iniziato a suonare i clacson. Le persone dalle case applaudono e fanno di nuovo rumore con i tegami.
Continuo a camminare. È la stessa situazione di due settimane fa quando tutto ebbe inizio. Una fiumana di persone per strada. Cammino ancora. Arrivo dove la folla è un po’ più compatta. Intorno a me ci sono persone. Semplicemente persone, bambini, signore e signori anziani, giovani. Che urlano la propria rabbia contro polizia e governo. Molte ambulanze sono già passate. Tante altre cercano di passare adesso. La gente si adopera per sgomberare il traffico e facilitare i soccorsi.
Continuo a camminare. Ora siamo tutti compatti. Non si riesce a vedere l’inizio dello spezzone. Le macchine, i taxi, gli autobus sono in mezzo a noi. A un certo punto, l’aria cambia e inizia a bruciare quando arriva nella gola. Le facce intorno a me sono disgustate e incazzate. Una nuvola di gas si espande davanti a noi. Sembra una scena del film Blob. È il panico assoluto! La gente inizia a correre nella direzione opposta. I genitori abbandonano i passeggini e corrono con i figli in braccio. Questa cazzo di nuvola di gas lacrimogeno e urticante non si ferma. La gente scappa. Salta sulle cappotte delle macchine. Le persone negli autobus sono molto spaventate. Anch’io lo sono.
Si scappa. Si cerca di mantenere la calma. Nello scappare vedo e sento dei taxi, almeno 4, che urlano di fare largo perché hanno dei feriti. La folla si adopera per far spostare il traffico e facilitare il passaggio. Una signora, vedendo la scena, vedendo la disperazione di chi urlava, ha una crisi di panico.
Mi fermo vicino all’entrata di una metro. C’è una locanda con la televisione che inquadra Taksim Square. Solo gli sbirri e le ruspe che stanno distruggendo l’accampamento di Gezi Park. La televisione fa vedere solo taksim. Ovviamente. Ma gli scontri stanno avvenendo su tutte le strade limitrofe alla piazza. La gente in strada è sempre di più. Alcuni intonano cori con i megafoni, delle signore li accompagnano con le padelle, altri corrono. La situazione è adrenalinica.
Ormai si è smesso di camminare. Si corre e basta. Arrivo in un punto in cui, per circa una mezz’oretta, la nuvola tossica sembra sparita. Ma per la seconda volta la rivedo e insieme a me tutti quanti gli altri. È di nuovo panico! Bisogna Correre. Questa volta la nuvola viaggia più veloce di prima. La situazione ha del fantascientifico: è una guerra chimica!
Si scappa. Quando credi di essere al riparo ti volti e ti accorgi che il pericolo è ancora lì a venti metri da te. Rispetto alle prime settimane la situazione è ulteriormente precipitata. Correndo, la gente è arrivata nel mio quartiere. Non ci posso credere, sembra che per quanto tu possa scappare, metterti in salvo sia impossibile.
Sono in piazza a Mecidiyekoy. Pieno di rabbia. Chiunque vive la mia stessa sensazione. Le ambulanze non riescono a muoversi nel mezzo della folla. Non ci posso credere, l’aria è irrespirabile anche qui. In piazza a Mecidiyekoy. Sono costretto a scappare, sono stanco veramente. Non vedo bene e la gola mi brucia. Scorgo davanti a me una stradina più piccola. Senza pensarci, corro e mi infilo là dentro. Rallento. L’aria è migliore ora. Cerco di respirare, ne avevo bisogno. Ma non c’è tregua. Giro la testa verso sinistra e rimango scioccato. Un gruppo di poliziotti, almeno un cinquantina, è nascosto in un piccolo giardinetto, al buio. Non posso credere ai miei occhi. Come potete fare tutto questo?! Sono pronti ad attaccare alle spalle. Stanno indossando le maschere antigas. Anche qui, l’aria diventa acida, irrespirabile. Devo scappare. Non posso restare. Colpi di tosse e urla di dolore mi circondano, sono ovunque intorno a me. Ancora non posso credere a quello che ho visto. Sono nascosti. Hanno bisogno di nascondersi. Perché la resistenza questa notte sarà fantastica. La gente non ha paura. L’aria irrespirabile continua a inseguirmi. Basta. Decido di tornare a casa sono sfinito.
Sulla strada di casa incrocio un sacco di gente che si sta muovendo in direzione Taksim. La gente applaude dai balconi e ancora, come nelle prime settimane, canta e urla disperata.
Entro in casa. I miei coinquilini sono tutti sconvolti. Hanno vissuto più o meno la mia stessa esperienza. La polizia ha sparato lacrimogeni in hotel adibiti ad ospedali. Senza curarsi che ci fossero famiglie e bambini. Hanno arrestato I dottori che prestavano soccorso. Moltissimi bambini sono rimasti feriti. Hanno limitato gli accessi a questi punti di primo soccorso. E i feriti sono tantissimi e molti gravi. Nel frattempo, il gas è arrivato dentro casa mia. Dentro casa! Siamo tutti sui balconi, un quartiere intero, a urlare contro la polizia.
La battaglia ora è anche nel mio quartiere. La gente alza le barricate. Gli scontri sono ovunque nella città. La gente continua a voler raggiungere Taksim. La polizia non basta. La gendarmeria sta prestando uomini e veicoli. Gli idranti sparano dentro gli ospedali. È notte fonda, ma la gente, tantissima, è in strada un po’ ovunque. Sentire le dichiarazioni di un ministro turco fa bollire il sangue nelle vene. Ha detto che “chiunque proverà a entrare a Piazza Taksim e Gezi Park verrà considerato membro di organizzazioni terroristiche”. L’odio non basta.
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petr reznicek
se un ministro in mio paese facese una dichiarazione,come questa,vado cercare armi e si fa la revoluzione!!!