«Non si può consentire a nessuno di mettersi tra il fatto e il processo» si legge nella controversa sentenza.
La corte punta il dito contro i Carabinieri per il pestaggio subito da mio fratello. Ipotizza il momento e pure il movente. Ma assolve con formula dubitativa gli agenti che mi querelano.
La procura reagisce stizzita affermando che non farà nessuna indagine sui Carabinieri.
Stefano Cucchi continua a morire di giustizia.
Ma io leggo la sentenza. Vorrei tanto , come cittadina, potermi rivolgere al Giudice per chiedergli spiegazioni. Ma mi hanno spiegato che non si può fare. Mi hanno detto che il Giudice si deve spiegare solo con la sentenza. A pagina 33 il Giudice afferma che «la verità deve essere letta nelle carte processuali, e non si può consentire a nessuno di mettersi tra il fatto e il processo, di cercare, orientando l’opinione pubblica, di influire su quello che il Giudice, specie non Togato, tornando a casa, legge sul giornale o sente al telegiornale».
Ho percepito chiaro il richiamo nei confronti miei e della mia famiglia. Allora mi sono documentata.
Se potessi direi a quel Giudice che, come hanno più volte affermato tanti suoi illustri colleghi, che la cronaca e la critica giornalistica della attività giudiziaria sono garantite dall’art 21 della costituzione. Non solo ma sono imposte dalla convenzione dei diritti dell’uomo e dal patto internazionale sui diritti civili e politici «per consentire il controllo della collettività sul l’esercizio del potere giurisdizionale e sulla amministrazione della Giustizia a garanzia dei soggetti coinvolti nel processo e del suo corretto svolgimento.
La pubblicità serve per «prevenire abusi, far crescere la sensibilità collettiva, ed aiutare chi esercita un potere pubblico a correggersi anche rimediando ad errori».
Ma qui nessuno commette errori, giusto?
Quel Giudice che dice che potrebbero essere stati i Carabinieri, la Procura che dovrebbe indagare non lo fa perché è inutile. Nessuno sbaglia. Nessuno può sbagliare. In fin dei conti poi, Stefano, pur pestato, seppur morto tra atroci sofferenze a causa di quel pestaggio, si è suicidato facendo lo sciopero della fame in carcere.
Ma vorrei chiedere a quel Giudice, siamo stati proprio noi famigliari a mettere qualcosa tra il fatto ed il processo? E che cosa vi avremmo poi messo?
Quale è stato il Giudice non togato che, tornando a casa, leggendo il giornale o ascoltando il telegiornale, si sarebbe formato un’idea sbagliata?
Ma se esiste quel giudice chi può dirgli, nella camera di consiglio, che la sua idea è sbagliata e, soprattutto, siamo sicuri che essa derivi dai media e non da ciò che ha sentito in causa?
Mi sono documentata: la nostra Costituzione garantisce ai Giudici non togati la stessa dignità autonomia ed indipendenza di quelli togati che da questi ultimi certo non dipendono. Perché l’ estensore della motivazione non ci ha spiegato meglio cosa sarebbe accaduto?
Egli non si è limitato ad affermare che la umana giustizia deve tenere conto solo di ciò che accade dentro il processo che pure, da Lui stesso è governato, ma ha addirittura paventato la possibilità che suoi colleghi siano stati suggestionati dalla cronaca giornalistica.
Vorrei tanto sapere di cosa stava parlando. La sentenza non lo dice, come non dice tante tantissime altre cose. Ma si premura di bacchettarci senza spiegazioni.
Non parla nemmeno del fatto che i suoi autorevoli Periti hanno ritenuto opportuno effettuare una pubblica accademica conferenza per spiegare come hanno risolto il caso Cucchi, mentre il processo era in pieno svolgimento. Evidentemente ne avevano previsto l’esito.
Il processo deve essere aderente al fatto. Non il fatto al processo.
Ma siamo proprio sicuri che siamo stati noi Cucchi a mettere qualcosa tra “fatto e processo”?
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