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No alla guerra imperialista, perchè di questo si tratta

Pochi giorni, o forse poche ore, ci separano da un ulteriore grave e pericoloso mutamento nel contesto dell’evoluzione del conflitto interno in Siria. Una crisi che non è mai stata puramente interna, infatti fin dai primi giorni ci sono state ingerenze alimentate e incoraggiate dagli Usa, dall’Occidente e dalle forze più grette del mondo arabo e islamico. Ingerenze che hanno avuto come obiettivo quello di realizzare la graduale distruzione di tutte le sue strutture, abbattendo così i fondamenti stessi dello Stato nazionale siriano. Al fine di garantire che la Siria, qualsiasi sia il sistema politico futuro diventi prigioniera degli interessi degli Usa, e di conseguenza incapace di mettere in discussione oggi e nel futuro il ruolo di Israele nella regione.
Lo scenario quindi si ripete: si parte con la demonizzazione mediatica del leader, si inventano prove false, poi le potenze straniere intervengono per imporre con la forza un processo di cambiamento e di apparente stabilizzazione, sempre però a favore dei loro interessi. Questo è quanto è successo in Iraq, in Libia, e ora si tenta di realizzare in Siria. Dopo le false fosse comuni di Gheddafi e le armi di distruzione di massa di Saddam è l’ora delle armi chimiche di Assad. Un copione tristemente noto, la “pistola fumante”, che serve a giustificare l’ennesima aggressione, tanto più che la Siria gode del sostegno di Russia, Cina, Iran e Hezbollah. Non è casuale la fretta di queste ore per arrivare ad un attacco su Damasco, in realtà non c’è mai stata una seria indagine internazionale, onesta e scientificamente valida, in merito all’uso delle armi chimiche che avrebbero causato la morte di quasi mille civili. Nessuna prova, ma questo non impedisce a John Kerry, il Segretario di Stato americano, di parlare alle tv di tutto il mondo di “prove schiaccianti” contro il regime siriano, colpevole a suo dire di avere commesso un crimine contro l’umanità!
Come in tutti i conflitti una delle prime vittime è la “verità”. Non sapremo mai come sono realmente andate le cose. Non sapremo mai se, e chi, ha usato armi chimiche in Siria. Forse gli Stati Uniti nel rivolgere le accuse contro Bashar Al Assad hanno utilizzato le informazioni recuperate dai proprio servizi di intelligence, forse hanno falsificato di proposito i fatti come hanno fatto precedentemente in Iraq quando falsificarono i rapporti di una inchiesta realizzata dalla commissione degli ispettori internazionali, sostenendo che il regime iracheno aveva armi di distruzione di massa. Un accusa mai confermata e palesemente risultata falsa dopo l’invasione e la distruzione dell’Iraq. Probabilmente proprio per queste ragioni la Siria, malgrado il consiglio dell’alleato russo, non ha voluto collaborare convintamene con gli ispettori internazionale all’inizio di questa crisi. Evidentemente i siriani sapevano bene che qualunque cosa fosse uscita, qualunque cosa gli ispettori avrebbero trovato, non avrebbe cambiato la decisione degli Stati Uniti di intervenire militarmente.
Ma torniamo a queste drammatiche ore. Pochi giorni fa si è svolta in Giordania una riunione fra i comandanti militari di diversi paesi occidentali insieme ad alcuni paesi arabi. L’estremo tentativo orchestrato dagli Usa di dar vita ad un’alleanza militare contro il regime siriano, per modificare e possibilmente ribaltare l’equilibrio delle forze che da mesi operano dentro il territorio siriano. Non dimentichiamoci infatti che da molte settimane il vento era cambiato e le forze governative stavano recuperando il controllo di gran parte del Paese a discapito di una opposizione armata sempre più debole, divisa e discreditata. Il quotidiano britannico “Daily Mail”, ha pubblicato un rapporto, datato 27 agosto, riguardo ai preparativi americani e inglesi in merito a possibili scenari e agli obiettivi dell’eventuale nuova alleanza. In questo rapporto si parla dell’ipotesi di un attacco limitato, senza avere l’obiettivo di rovesciare il governo, questo per contenere le eventuali reazioni di Russia e Iran.
Se il tutto non producesse effetti drammatici potremmo dire che ci troviamo per l’ennesima volta nel ridicolo della politica occidentale, che, pur riconoscendo che l’uso di armi chimiche contro i civili è vietato a livello internazionale sia in guerre interne che in guerre tra le nazioni, si chiude gli occhi quando questo riguarda i propri alleati. Ricordo su tutti l’uso del fosforo bianco e altre armi proibite,contro il popolo palestinese, vedi il rapporto Goldstone sui crimini d’Israele a Gaza. Come se questo non bastasse, gli Stati Uniti si presentano, ancora una volta, come l’unico difensore dei diritti umani, ignorando però qualsivoglia mandato internazionale richiesto dall’organizzazioni delle Nazioni Unite per un intervento militare contro un paese membro dell’Onu. Il presidente Obama nel suo discorso di lunedì scorso ha gettato nella spazzatura quel poco che resta della legalità internazionale, affermando che il Consiglio di Sicurezza è bloccato, e spiegando di volerlo sostituire con il “Congresso” americano, al quale ha chiesto l’autorizzazione per bombardare la Siria. Un atto pericoloso, perché cosi facendo indebolisce ulteriormente l’Onu, mettendo a rischio la pace e la sicurezza mondiale. Obama vuole il far west dove l’unica legge accettata è quella della giungla.
Ma questo unilateralismo degli Usa dimostra anche un indebolimento delle loro capacità a mobilitare coalizioni internazionali e regionali, come accadde ad esempio nella guerra all’Iraq negli anni Novanta, quando riuscirono a mettere insieme nell’alleanza una trentina di paesi. Oggi al contrario, se riuscissero ad avere un terzo di quel numero, potrebbero considerarsi più che soddisfatti. A sottolineare questa difficoltà c’è inoltre lo smacco che gli Stati Uniti hanno ricevuto dai loro grandi alleati della Lega Araba, che non ha dato ad Obama un pieno mandato, soprattutto grazie ai cambiamenti che hanno avuto luogo in Egitto (che ha chiuso il canale di Suez alle nevi da guerra americane e inglesi) .
Sempre secondo il “DailyMail”, l’attacco militare potrebbe colpire: aeroporti militari, radar e difese aeree, possibili nascondigli di armi chimiche, infrastruttura logistiche dell’esercito siriano e alcune importanti installazioni governative. Un programma ambizioso che vedrebbe anche il coinvolgimento via terra dei mercenari ribelli.
Questo significa però che l’attacco non sarà né limitato né misurato, visti gli obbiettivi da raggiungere tutto il territorio siriano sarà sottoposto ai bombardamenti. Va evidenziato anche il fatto che gli Usa faranno di tutto per lasciare il loro alleato israeliano fuori di questa guerra, direttamente o indirettamente. Ma che questo si possa realizzare non convince più nessuno. Come non vedere i rischi di possibili risposte – tanto più dopo le recenti provocazioni contro di loro – da parte di Hezbollah e Iran? Sembra infatti che gli Usa, accecati da un delirio di potenza, non abbiano considerato a pieno le possibili reazioni degli alleati della Siria e le conseguenza che si potrebbero avere sull’intera regione. Al di la della reazione del governo siriano e della sua posizione geografica, non ci si deve mai dimenticare il fatto che un intervento militare esterno provocherà inevitabilmente il rovesciamento del tavolo mediorientale, innescando un effetto devastante non solo per il gli equilibri in Siria, ma per tutta la regione del Mediterraneo. Ad iniziare dall’Egitto, dove gli alleati regionali degli Usa, ad iniziare dalla Turchia, guardano al cambiamento in atto come una minaccia ai loro interessi e ai loro piani nella regione.
Alcune brevi considerazione finali. Se Assad non cade, dopo aver colpito le sedi della sicurezza e la sua capacità militare è un problema. Ma se cade subito e i ribelli avanzassero verso Damasco annunciando la caduta del regime, anche questo sarebbe un problema. Un problema non solo per la Siria, ma per tutta la regione, vista la diversità e la rivalità interna alle fazione che formano l’opposizione armata dei ribelli. Quale potrebbe essere in questo caso la reazione americana e occidentale alla creazione dello “Stato Iraq-Sham Islamico” come teorizzano alcuni gruppi salafiti?
Per questo con convinzione e ostinazione bisogna lavorare affinché, prima che sia troppo tardi, la soluzione alla crisi siriana sia politica e senza ingerenza militare esterna. Serve un tavolo nazionale dove si possano sedere governo e opposizione, naturalmente dopo un cessate il fuoco, magari realizzato sotto l’egida della Conferenza islamica o dei paesi non allineati. Un luogo dove si possa determinare un processo di riforma politica in grado di portare il paese ad elezioni democratiche.
No alla guerra imperialista, per un Mediterraneo di pace e cooperazione fra i popoli.

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