Dentro una ormai lunga fase di crisi, quello che si impone alla percezione e reazione di massa è la crisi della politica, la politica in generale che riguarda i partiti e la rappresentanza, che riguarda l’assetto dello Stato insomma è rimessa in discussione una classe dirigente che non è solo quella della seconda repubblica ma dell’intera storia repubblicana. Non è certo un caso che negli attuali partiti, incluso quello anomalo di Berlusconi, proliferano gli stessi individui che hanno caratterizzato la prima repubblica, dai democristiani del PD (oltre agli eredi del PCI) ai socialisti, mutatisi in berlusconiani, fino alla new entry Renzi, anche lui di solide radici scudocrociate. La crisi è una crisi profonda che non si fonda sulla specifica crisi dei partiti ma su motivazioni strutturali che vanno indagate anche nella loro dimensione storica, siamo dentro un passaggio che ha infatti questa dimensione e la sua rimozione non aiuta la comprensione sul come affrontare un simile frangente.
Va però evidenziata una questione; parlare della crisi della politica significa parlare del nostro paese e di quelli europei che sono in particolare difficoltà nella crisi generale ma significa parlare anche della non ancora definita prospettiva politica unitaria rispetto al progetto di costruzione della Unione Europea per le classi dominanti del continente che puntano alla costruzione di una nuova entità statuale. Ciò significa che lo spessore della questione va oltre la nostra dimensione provinciale di nazione subalterna e va inquadrata dentro un processo che, di nuovo, ha un carattere storico oltre che continentale.
Non è un caso che a questa crisi corrisponde e si riflette una crisi ancora più profonda della sinistra in tutte le sue varianti, non è più la fine dei nostrani partiti comunisti, ormai ampiamente verificata, ma anche quella di chi voleva fuggire da quelle esperienze pensando che “l’innovazione” e la moderazione fossero la soluzione. In realtà la macina della competizione globale capitalistica rende possibili solo le espressioni politiche strettamente compatibili; dunque la subordinazione al PD, che assume forme diversificate e talvolta anche in apparente antagonismo, è l’unico spazio che può essere coperto per poter avere un ruolo politico pubblico. A questa deriva verso l’evaporazione purtroppo si rende molto difficile, in alternativa, costruire le esperienze di una sinistra di classe che apra una prospettiva indipendente politicamente ma soprattutto concretamente e allora quella crisi rende complesso e complicato ogni percorso di ricostruzione che pure va praticato e costruito se non si vuole essere risucchiati nel buco nero dei partiti esistenti.
Bisogna dire che, sul fronte della sinistra in genere, per arrivare a questo punto c’è una responsabilità soggettiva delle diverse forze politiche che si sono succedute nei trascorsi venti anni fino alla nascita di SEL. Al di là della immagine radicale che si è voluto dare, più o meno bene a seconda dei “capi” politici, c’è stata l’introiezione della sconfitta, l’accettazione della subordinazione culturale come condizione data e invalicabile ma soprattutto c’è stata una mancata storicizzazione dei processi che hanno portato alla crisi del movimento comunista e di classe ed alla fase successiva di ripresa dell’egemonia del capitale. Non si è mai utilizzata quella fondamentale chiave di lettura che non valuta solo la contingenza politica ma cerca di collocarla dentro processi più profondi e strutturali delle società umane.
Forse è utile fare un esempio concreto di come questa assenza di storicizzazione non permetta nemmeno di cogliere le indicazioni politiche da praticare concretamente. Mi riferisco al dibattito che viene fatto sull’euro e sulle prospettive della moneta unica. Nella sinistra più radicale si è usi scommettere sulla fine e sulla rottura dell’euro ed anche dell’Unione Europea; a queste conclusioni si arriva, generalmente, sulla base di una serie di analisi economiche, anche corrette, che dimostrano che le contraddizioni di questo progetto sono tali che inevitabilmente porteranno ad un esito fallimentare. Tutto ciò nonostante che nel mondo reale la moneta unica esista ormai da circa quindici anni, che allarghi la sua influenza e che l’Unione Europea raccolga nuove adesioni dei paesi dell’ex campo socialista. Qual è il difetto di questi ragionamenti? È che il tutto viene affidato alle contraddizioni economiche oggettive senza accorgersi che così si accettano di fatto i parametri di ragionamento dell’avversario; ovvero avendo i riferimenti dell’analisi tutti dentro l’economia capitalistica si incappa in quel “meccanicismo economicista” che presuppone le contraddizioni materiali come motore principale dei cambiamenti non valutando la loro reale funzione che è quella di essere nei fatti “condizione” per le trasformazioni.
Questo modo di ragionare esclude i soggetti concreti di questi processi che sono, sul piano storico, l’umanità, l’evoluzione dei suoi modelli sociali e le classi nei loro interessi reali; in sintesi affidandosi alle sole contraddizioni delle dinamiche del capitale si rimuove la centralità della soggettività delle classi e delle condizioni storiche in cui queste agiscono. Certamente questo rinnovato vigore del meccanicismo ha le sue radici nella sconfitta subita, nell’assenza di fiducia per le soggettività politiche e, in fondo, si spera che siano le contraddizioni interne a superare i limiti del movimento di classe.
Nello specifico dell’Unione Europea se si da peso strategico alla sola dimensione economica si rimuove o si sottovaluta il ruolo politico della borghesia continentale in via di formazione, quello delle alleanze sociali che sta costruendo dentro la crisi e, affidandosi alle sole dinamiche del capitale, non si capisce che la rottura dell’euro e della Unione Europea è possibile solo se scendono in campo forze sociali e politiche antagoniste che si scontrano con questa prospettiva; ed è dunque su queste che bisogna lavorare per far emergere le contraddizioni dell’avversario.
E’ su questo insieme di processi che bisogna concentrarci per capire come la crisi della politica possa essere affrontata anche da un punto di vista di classe in cui, naturalmente, possono essere utilizzati tutte quelle chiavi di lettura marxiste che ci parlano di sovrapproduzione generale, di imperialismo, di uso capitalistico della scienza, della modifica della composizione di classe ma che sappia inquadrare anche le dinamiche storiche e politiche più strutturali che ci hanno portato a questo punto. Messi in evidenza questi elementi e quest’obiettivo bisogna cominciare a dipanare una matassa complicata sulla quale oggi non abbiamo la garanzia di arrivare a soluzioni certe ma con la quale dobbiamo comunque fare i conti. Inquadrare le tendenze della situazione politica in Italia ed a livello europeo ci obbliga ad alzare il livello qualitativo delle analisi e ragionamenti rispetto al quale dobbiamo, in via preliminare, individuare il bandolo della matassa. Può tornarci in questo senso utile andare a riprendere alcuni concetti elaborati da Gramsci che possono avere attinenza con la nostra attuale situazione.
Perché riprendere Gramsci? Per quanto mi riguarda devo dire che non mi sento improvvisamente gramsciano ne penso che tutto il suo pensiero possa essere oggi considerato un riferimento generale, anche perché l’uso strumentale e peraltro difforme da quel pensiero che ne fece il PCI mi ha in qualche modo vaccinato e spinge comunque ad una lettura critica. Va detto però che alcune questioni poste all’epoca oggi sembrano ritrovare una validità nella lettura delle dinamiche generali in atto. La questione dl Blocco Storico e dell’Egemonia sono indubbiamente alcune chiavi che ci permettono di aprire le porte della comprensione per un’analisi dei processi nazionali ed internazionali con i quali noi siamo chiamati, più o meno direttamente, a fare i conti.
L’altro motivo per cui è utile riprendere queste letture è che con Gramsci abbiamo una cosa in comune ovvero siamo, il movimento di classe all’epoca e noi, il prodotto di una sconfitta di portata storica. Questo oggi forse è poco chiaro in quanto abbiamo nella nostra mente la vittoria nella seconda guerra mondiale ed i successivi momenti rivoluzionari. Ma se facciamo mente locale agli anni ’30 la percezione della sconfitta era netta e questa era legata alla sconfitta e divisioni delle classi lavoratrici dell’Europa occidentale, che si erano fatte trascinare in una guerra fratricida come la prima guerra mondiale. Non solo, a questa erano succedute non le attese rivoluzioni ma i fascismi e la stessa URSS era vista come un elemento resistenziale e non di offensiva. Una lettura del mondo dalla scomoda condizione di sconfitti è una possibilità per i nostri tempi di confrontare processi e tendenze immanenti nel Modo di Produzione Capitalistico e per individuare indicazioni utili ancora oggi; Gramsci, dunque, può essere ancora un riferimento importante per la condizione che noi stiamo vivendo direttamente.
Cercare di connettere il piano teorico con quello politico ha come primo ostacolo il digiuno fatto dai militanti della sinistra sul piano della formazione, certamente chi è più esperto potrà capire il significato effettivo di alcuni termini ma in questo senso prima di sviluppare il ragionamento mi sembra opportuno inquadrare i concetti ai quali farò riferimento.
Il primo di questi è quello di “Blocco Storico”, è stato sempre usato negli anni quello di “Blocco Sociale” in riferimento al conflitto di classe ed alla ipotesi di rappresentanza politica. E’ stato un uso corretto ma il termine “Storico” sposta in avanti tutto il ragionamento verso la questione degli assetti sociali complessivi e verso le ipotesi di un loro cambiamento rivoluzionario. Il Blocco Storico presuppone, in ogni tipo di assetto sociale, una sua unità ma anche una sua dialettica interna tra le sue diverse componenti ed è sostanzialmente la costruzione dell’organicità, della non contraddittorietà, tra
L’altra “chiave” importante è quella dell’Egemonia. Con questo termine c’è più “confidenza” ma va capito nelle sue sfaccettature e dinamiche. Intanto l’egemonia è prodotta dalle classi storicamente “progressive” ovvero da quelle che aprono una prospettiva generale, altrimenti siamo di fronte al prevalere del carattere di dominio. L’egemonia è un sistema di alleanze di classi, le borghesie hanno prodotto ed hanno ancora le loro alleanze, il proletariato ha avuto come alleati i contadini nelle rivoluzioni del ‘900, oggi questa questione si ripropone ma in forme tutte da comprendere per il movimento di classe nei paesi a capitalismo avanzato e, nella fattispecie per noi, in Europa..
E’ utile per noi nella comprensione più profonda della nostra situazione fare riferimento al ruolo che ha
UN TENTATIVO DI ANALISI DELL’EVOLUZIONE DEL BLOCCO STORICO IN ITALIA
Il punto di partenza della nostra analisi non può che essere quello capire gli sviluppi e le prospettive del blocco storico del nostro paese, ovviamente non possiamo che procedere per descrizioni sintetiche sulle quali sarà necessario il confronto e l’approfondimento. Ragionare sul Blocco Storico del nostro paese significa tracciare per sommi capi la storia dal secondo dopoguerra cercando di utilizzare le categorie gramsciane che sono state indicate.
Entrando nel merito questo significa che non è difficile vedere tra gli anni ’50 e ’60 lo stato di organicità tra struttura e sovrastruttura in quel periodo, la struttura è stata la grande industria privata e pubblica che adottando la produzione di serie fordista e utilizzando gli spazi di mercato post bellici nazionali e internazionali ha avviato una fase di crescita che ha portato settori sempre più ampi di popolazione verso una modifica della propria condizione economica, vedi il boom degli anni ‘60. Questa è stata la base dell’egemonia che attraversava tutto l’assetto sociale e culturale del paese in cui la politica di quegli anni ha, appunto, svolto quel ruolo di cerniera prima ricordato.
Questo assetto durato venti anni si scontra negli anni ’70 con la prima crisi di sovrapproduzione e con un conflitto di classe internazionale e nazionale che rimise tutto in discussione, la storia di quegli anni è stato il tentativo delle borghesie, a cominciare da quella Statunitense, di contenere quella spinta rivoluzionaria e poi di concepire un contrattacco che ristabilisse gli equilibri.
Come sappiamo quel tentativo ha avuto successo e nel nostro paese ha riportato, negli anni ’80, ai vecchi equilibri ma in forme modificate. La struttura è cambiata passando, con grande gradualità in Italia, dalla produzione di serie a quella decentrata e di servizi e accentuando il ruolo della dimensione finanziaria in sintonia con gli sviluppi internazionali. L’economia da mista è divenuta tendenzialmente privata e si sono messe le premesse obiettive per gli sviluppi economici successivi. Anche la politica ha ripreso quella funzione di snodo che si era “inceppata” negli anni ’70 a causa del conflitto di classe e di quella fase di crisi di egemonia. Il centro politico non è stato più solo ad appannaggio della DC ma è stato anche gestito dal PSI, il blocco sociale-elettorale è stato ricostruito grazie anche all’uso spregiudicato del denaro/debito pubblico mantenendo forte il collante del clientelismo. In realtà cambiò la dimensione culturale del paese che a quel punto si era laicizzato e perciò fu impossibile farlo tornare nella vecchia “parrocchia” democristiana. Si produssero in quegli anni una serie di effetti nelle sovrastrutture quali la scuola e l’università, perfino nella magistratura ed in quella che viene definita società civile. Il conflitto degli anni ’70 ha perciò imposto un cambiamento reale al paese che rimase parziale a causa della stagnazione delle ipotesi rivoluzionarie o di rottura radicale e dunque della mancanza di una alternativa effettiva al capitalismo.
Il pericolo del comunismo, in tutte le sue varianti, negli anni ’90 viene superato per i noti motivi e si riafferma e rafforza l’egemonia della borghesia che esce vincente da quella fase di confronto strategico. Ma il mondo globalizzato e la costruzione della UE, a cominciare da Maastricht, impongono i duri parametri della competizione globale e questo rimette in discussione gli equilibri raggiunti in precedenza nel blocco di potere italiano che viene attraversato a questo punto da altre contraddizioni, forse strategicamente meno antagoniste ma più forti e dirompenti, che nascono dalla riaffermata centralità dei caratteri del Modo di Produzione Capitalistico. E’ a questo punto di svolta internazionale che si rimanifesta la contraddizione tra struttura e sovrastruttura e di conseguenza la politica comincia di nuovo a perdere quella funzione di snodo, come già era avvenuto ma con un segno politico opposto agli anni’70, ed il sintomo di quella situazione è stata la nascita del fenomeno Berlusconi; in altre parole i cambiamenti strutturali mettevano in crisi parte del vecchio blocco di potere e questa contraddizione si riversava sulla politica generando quel fenomeno “anomalo” che oggi sembra in declino.
In sintesi se il blocco storico italiano e la sua egemonia aveva resistito per decenni, in diverse forme, al conflitto di classe questo ora viene messo in crisi dai processi di riorganizzazione internazionale spostando il “campo si gioco” dalla dimensione nazionale a quella europea. La scommessa che stanno facendo i gruppi dirigenti non è più quella del mantenimento dei vecchi assetti ma la costruzione di una dimensione sovrannazionale che non può avere solo il piano economico ma deve politicamente basarsi su un nuovo blocco di potere, sulla costruzione di un nuovo blocco storico nelle nuove dimensioni continentali. Questo rompe le vecchie alleanze politico-sociali in Italia, sussume una parte di settori sociali, non solo borghesi, verso la nuova alleanza e spinge gli altri verso l’arretramento sociale, e sappiamo che le proporzioni tra queste due parti da noi è indubbiamente a ”favore” di chi subirà l’arretramento.
Naturalmente questa è una partita ancora aperta, che dovrà tenere conto di tanti fattori, interni ed internazionali, non sarà di breve durata ed un ridimensionamento del progetto europeo non può essere escluso a priori. E’ ovvio che una sconfitta di questo incrementerà la crisi di egemonia che oggi comunque è rimessa in discussione dalla crisi generale e sistemica. Gli scenari sono diversi e per noi è importante saperli leggere, ma il dato politico che interessa direttamente le nostre prospettive è la crisi palese della politica (delle attuali classi dirigenti) che riflette quella sconnessione tra struttura e sovrastruttura operata dalle dinamiche stesse del capitale. Dunque la lettura da parte nostra delle dinamiche politiche esteriori non può prescindere da questo dato di fondo che probabilmente impedirà, per tutta una fase, una ricomposizione piena dell’egemonia a noi avversa.
Che ci sia una crisi dei partiti e dunque della politica è evidente agli occhi di tutti, ma capire se questa crisi ha origine da soggettività partitiche inadeguate o da motivazioni strutturali per noi è indispensabile. Seguendo il percorso logico fatto sull’evoluzione del nostro Blocco Storico credo che si possa dire che i cambiamenti strutturali hanno indubbiamente avuto un effetto oggettivo sui vecchi blocchi sociali-elettorali. Il primo segno è stata la nascita del fenomeno berlusconiano imprevedibile per una classe dirigente europeista (parliamo di Amato nei primi anni ’90) che basava tutto sui parametri economici di Maastricht. Sembra questo un richiamo diretto di quella “ossessione politico-economica” citata da Gramsci.
L’applicazione dei parametri di Maastricht ha prodotto un fenomeno politico-sociale persistente nel tempo, non fascista come hanno spacciato gli apprendisti stregoni della sinistra, e in distonia con il progetto Europeo, qui è inutile fare esempi. Oggi la situazione è ancora più compromessa con l’emersione del fenomeno del Movimento 5 Stelle e con una estraneità politica da parte della popolazione sempre più accentuata. Lo specchio di questa situazione sono stati i risultati delle ultime elezioni che hanno mostrato la disgregazione dell’elettorato e la perdita di egemonia della grande borghesia Italiana che sostenendo Monti ha preso un miserabile 10%. Errore questo mai fatto in precedenza quando l’ombrello politico era quello offerto dalle alleanze promosse dalla DC.
Un effetto diretto sul piano dell’ideologia predominante è stato evidente, gli Italiani sono stati tra i popoli più europeisti nel passato ma oggi la situazione si è ribaltata. Come è anche evidente che le rappresentazioni che si danno i settori sociali sono del tutto sconnesse dalle dinamiche della realtà e in fondo denunciano un malessere non razionalmente motivato. Condizione del tutto diversa da quando i blocchi sociali nel vecchio assetto storico esprimevano idee, valori, politiche antagoniste ma ben chiare nella testa dei dirigenti e dei diretti. Un degrado politico e culturale che porta alla cosiddetta ingovernabilità ed ad una condizione per il nostro paese sempre più subordinata ai centri di potere effettivo a dimensione continentale.
Se volgiamo lo sguardo alle prospettive le tendenze sopra descritte non subiscono un decremento, la costruzione della UE deve proseguire perché i suoi riferimenti sono legati alla competizione globale ed hanno un carattere oggettivo. L’Italia, sebbene in condizione di debolezza, non sta fuori dalla UE perché possiede settori industriali e finanziari competitivi ed in rapporto organico con la dimensione continentale, a questi fanno riferimento anche le politiche filo europee e gli apparati dello Stato.
Questi settori però sono in termini di rappresentanza della popolazione una percentuale ridotta e questo significa che le prospettive di tenuta e ripresa riguarderanno solo una parte minoritaria del paese. Di converso la marginalità e l’arretramento sociale riguarderà indubbiamente la parte più grande che dovrà subire anche gli effetti di una eventuale ripresa della crisi generale che è sempre in agguato e che non è stata affatto superata a livello mondiale. In altre parole il movimento oggettivo delle dinamiche economiche va verso un incrudimento delle contraddizioni, verso una diseguaglianza accentuata da una Europa a più velocità che non fanno per niente presupporre, in tempi brevi e con accorgimenti tattici, un superamento della crisi dei partiti e della politica.
ALCUNE CONCLUSIONI PARZIALI
I punti evidenziati, e l’ulteriore lavoro di analisi che presuppongono, certamente non possono essere visti come fini a se stessi, come elaborazione certamente importante ma che poi non trova funzione sul piano dell’azione e dell’indicazione politica. Questa non è solo una necessità ma è anche l’unico terreno su cui fare l’effettiva verifica dei contenuti che si utilizzano nel fare le scelte politiche. E’ esattamente in questa direzione che va la proposta della rottura della UE e dell’Euro ipotizzando una prospettiva non subordinata agli interessi delle borghesie dei paesi forti ed al potenziale blocco storico continentale in formazione. Questa è una proposta che si basa su una analisi delle tendenze economiche, produttive e sociali che mostrano come il processo di diseguaglianza tra le diverse aree e paesi della UE proceda con la penalizzazione anche per gran parte del nostro paese e dei suoi settori sociali subalterni.
Allora l’indicazione che ci viene da questi ragionamenti è che la crisi della politica ha un carattere strutturale che non potrà essere risolta a prescindere dalla crisi più generale. Certamente ci sono le scadenze elettorali, i posizionamenti e la nascita di forze politiche nuove e inaspettate ma nessuna di queste sarà in grado di superare lo stallo e l’assenza di rappresentanza di importanti parti della nostra società in modo strategico. Siamo dunque obbligati a ragionare meglio sulle dinamiche politiche effettive, dei modi e sui tempi delle nostre scelte ed interventi sapendo che questa situazione da spazio per mettere in campo ipotesi più solide e ragionate.
Ma la condizione ineludibile per poter riprogettare una prospettiva di classe seria e credibile è tenere conto dello spessore storico dei problemi che abbiamo di fronte e rifuggire dalle illusioni che una sinistra subordinata ed evanescente sistematicamente propone a beneficio del PD e per trovare le motivazioni alla propria sopravvivenza. Ricostruire una sinistra di classe, democratica e radicata nella società non è possibile a partire dalla tattica, dalla contingenza politica, dai molteplici giochi che ormai hanno mostrato la propria inconsistenza.
L’altro dato che si impone con forza è quello della centralità della questione europea che è il vero terreno del conflitto e della costruzione dell’identità di classe; questo è vero sia sul piano strettamente economico-sociale sia su quello storico-politico. Naturalmente è un punto di vista che va ancora indagato e compreso ma è a tutti evidente che la sola dimensione nazionale, foss’anche solo per le necessità di analisi, non è in grado di misurarsi con una ipotesi di indipendenza politica dal quadro istituzionale dato.
Ma c’è anche un altro dato che sta nella realtà e che non si può rimuovere, nel porci il problema della rappresentanza politica non possiamo non definire con precisione chi vogliamo rappresentare e non solo in termini sociologici. Ma se andiamo a fare l’analisi dei potenziali rappresentati scopriamo che questi, come verifichiamo quotidianamente nel lavoro di massa, non si percepiscono come entità unita, come gruppo sociale omogeneo, cioè come classe. Qui la nostra difficoltà, prima ancora che contraddizione, appare evidente cioè vogliamo rappresentare settori sociali che non si percepiscono soggettivamente come tali; evidentemente l’analisi va portata più a fondo, e forse può ritornare qui utile il ragionamento sulle alleanze con settori sociali forse meno di classe ma più dinamici, va individuata una tattica ed i tempi da adattare a questa condizione.
Infatti il vero “intoppo” politico con cui dobbiamo fare i conti è riuscire a capire come rapportarsi alla NON soggettività dei settori di classe. La divaricazione che esiste tra la condizione reale e la percezione che questi hanno di se stessi è evidente, è come se avessero nella testa una lente che distorce la realtà, che gli impedisce non di reagire ma perfino di capire qual è la loro reale condizione. Ovviamente non c’è da meravigliarsi perché questo è esattamente l’effetto che produce l’egemonia borghese che non ha trovato ne contraddizioni ne alternative nell’arco dei decenni passati. Certamente conta il fatto che la soggettività, in genere, non evolve automaticamente assieme all’andamento dei processi oggettivi ed è sempre in ritardo nella realizzazione delle condizioni che si vengono determinando. Questo vediamo che è valido per le soggettività politiche e lo è ancora di più per quelle sociali. Pesa l’ideologia imperante in assenza di una alternativa che è stata costruita in modo organico su tanti contenuti il più condizionante dei quali è quello della prevalente concezione individuale nelle relazioni sociali.
Non ultimi vengono i mezzi di comunicazione che con la loro manipolazione dell’informazione raccontano un mondo che spesso non esiste. In questa dimensione crescono anche i moderni mezzi di comunicazione che si presentano in una forma orizzontale, democratica. Tali mezzi permettono certamente una apparenza di libertà (tanta quanta è concessa dai motori di ricerca e dai proprietari dei vari social network che non possono ignorare l’influenza degli Stati) ma solo da una condizione individuale, cioè di se stessi di fronte al resto del mondo. Quello che conta nelle reti non è quello che si dice volta per volta per quanto giusto, che è sempre fuggente, ma il permanente stato di relazione individuale che alla fine forma la percezione di se stessi come monade, l’ideologia effettiva, la visione del mondo.
Sul piano direttamente politico per le forze di classe alcune indicazioni anche di lavoro concreto possono venire dal quadro tracciato nel presente contributo. Il primo è quello della identità e della battaglia politica generale. Su questo le analisi fatte sull’UE ed il Blocco Storico ci confermano la centralità della questione europea ed è su questo terreno, dove non ci sono competitori in quanto viene accettata l’egemonia prevalente, che va sviluppata l’iniziativa generale avendo un approccio strategico e non legato o condizionato alle contingenze politiche. Inoltre a Maggio del prossimo anno ci sono le elezioni europee, se a tutt’oggi non è data nessuna condizione per la partecipazione elettorale non di meno quella scadenza può essere presa a riferimento di una campagna politica articolata per rafforzare un’identità indipendente. Una campagna con queste caratteristiche ha bisogno di una sua base di massa per realizzarsi, certamente i settori sociali e di classe sono coloro con i quali bisogna rapportarsi, a cominciare dai settori sindacali più avanzati, ma sappiamo che questi non sono ancora in condizione di aderire già ad una azione politica di massa. In questo senso il referente che può essere la base di una tale iniziativa è quello della sinistra che non accetta di finire nell’orbita del PD; questa, con tutti i limiti che possa avere nelle attuali condizioni, ha permesso la riuscita della manifestazione del 27 Ottobre dell’anno passato.
Misurarsi con questo livello significa progettare e costruire un soggetto politico che faccia della rappresentanza delle classi subalterne il proprio obiettivo strategico. IL secondo punto di lavoro è quello della costruzione sistematica del rapporto con settori del blocco sociale che presumibilmente sarà lenta ma è indispensabile sia come consolidamento di Rossa ma soprattutto come riferimento politico e formativo sulla costruzione della rappresentanza. Il lavoro sulla Sanità iniziato nei mesi scorsi è solo un inizio che va perseguito anche in altri ambiti sociali che qui non richiamiamo ma che dobbiamo individuare concretamente nel tempo.
* Rete dei Comunisti
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