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Mores communes: perché tutti condividono la foto di uno che piscia in Piazza Duomo?

I compagni del CortoCircuito fiorentino propongono spesso riflessioni molto serie che prendono spunto da fatti quotidiani apparentemente poco importanti, o poco seri, per evidenziare mutazioni tecnologiche, antropologiche, politiche (non in ultima analisi) che creano un altro ambiente, svuotando o ridimensionando vecchie pratiche, simbologie, atteggiamenti culturali, convinzioni “ideologiche” in senso marxiano (falsa coscienza). È un tipo di atteggiamento che conforta e merita sempre interlocuzione, nei limiti delle nostre forze.

Stavolta mettono dito sulla piaga del “popolare” al tempo dei social network e su come il “populismo implicito” nell’uso trash dei mezzi possa facilmente essere governato in modo reazionario dai media “tradizionali”. Volendo, si può approfondire molto in questa direzione, perché ogni nuovo media si afferma promettendo – nei suoi dispositivi di fruizione-funzionamento, non solo negli spot pubblicitari – il massimo della libertà immaginabile-possibile “dal basso”, in un dato spazio-tempo. Ma ogni nuovo media, nella misura stessa del suo “successo” e popolarità, va a costituire anche un nuovo grado di “governo dall’alto” della crescente complessità sociale. “Minimizzando” la libertà.

Il meccanismo individuato è noto e utilizzato fin dalla notte dei tempi (un comportamento “abnorme”, anche se solo casuale e magari innocuo, permette di concentrare l’attenzione generale e generare un “riflesso d’ordine” anche in chi – episodicamente – mette in atto quello stesso comportamento). Il cinema americano si è esercitato in autentici capolavori sul tema.

Nel mondo ridisegnato dai social network questo meccanismo viene moltiplicato esponenzialmente, diventa autoproduzione diffusa di monstrum su cui ogni singolo “produttore” cerca di “generare consenso” attorno a sé (misurabile in “like”). Quando la “misura oggettiva” supera una determinata soglia quel singolo monstrum viene raccolto, evidenziato, ri-usato da uno o più media “industriali”; dentro un’altra gerarchia di valori.

Ma c’è di più. La “popolarità” di ogni “prodotto” diventa anche una misura del “basso livello” del tipo di prodotto. I compagni del CortoCircuito dànno una classifica oggettiva e quindi molto significativa del tipo di prodotti-facebook più “popolari”: donne nude, gattini, gente rovinata che fa cose stupide. Tutte cose che richiedono poca o nulla elaborazione (trova, copia e incolla, invia) e ancor meno attenzione nel fruitore.

Nel nostro piccolo, possiamo contare ormai su una casistica abbastanza consistente (oltre 20.000 articoli pubblicati in meno di tre anni), che confermano in parte (siamo pur sempre un giornale comunista…) la natura tendenzialmente trash della fruizione in rete. Abbiamo dato la nostra classifica nel 2013 (https://www.contropiano.org/articoli/item/21235), con l’incredibile “successo” registrato da una singola manganellata poliziesca: quella caduta sulla testa del sindaco di Terni, in giugno, durante una manifestazione degli operai della Ast (https://www.contropiano.org/news-politica/item/17102). Lo diciamo senza orgoglio: uno degli articoli meno pensati, strutturati, scritti della nostra breve storia. Partito con un flash in diretta dalla piazza, implementato con altri flash, pezzi d’agenzia, dichiarazioni di testimoni o leader politico-sidacali, e via affastellando. Non ce ne vergogniamo: se bisogna dare informazione velocemente, in tempo reale, non si può anche curare troppo forma e struttura; nella scrittura in rete è un classico…

Un giornale comunista, per fortuna, ha un “target” più attento al merito politico della notizia. E quindi gli altri primi posti della classifica sono occupati da pezzi differenti. Ma anche noi notiamo una tendenza generale simile: le notizie che attirano maggiori quantità di lettori – le nostre “donne nude”, per stare alle classifiche generaliste – sono quelle che parlano di “malapolizia”, malefatte dei fascisti, scontri di piazza (di qualsiasi paese). Il semplice attira più del complesso, il già noto più del problematico, ecc. Una pura constatazione: è la logica dei consumi.

C’è una conseguenza, però, sul piano politico, su cui vorremmo porre l’attenzione: nell’attuale universo della comunicazione di massa, il “popolare” ha divorziato forse definitivamente dal “giusto”, il “mi piace” non c’entra quasi mai nulla con il “va bene”. E questo è un problema molto serio per chi pensa che questo mondo abbia bisogno di un radicale rovesciamento di segno, anche solo per poter sopravvivere. Lo stesso concetto di “democrazia”, anche nelle sue versioni più radicali (comuniste, insomma) è intimamente legato – passateci il termine – al “parere informato” dei partecipanti alla discussione; insomma, alla capacità di ognuno di conoscere e riconoscere i propri interessi, di distinguere quelli immediati e quelli di più lungo periodo, di separare la “pubblicità ingannevole” (chessò: Renzi) dal messaggio serio.

Se così non è, la manipolazione prende facilmente il sopravvento. E i media industriali – lungi dall’essere “scavalcati” dall’uso di massa della Rete – si trasformano in “piattaforme” che conferiscono un senso (il proprio, naturalmente; ovvero quello dei proprietari) a un pulviscolo che altrimenti non ne ha molto.

È un fatto. E i fatti hanno la testa dura. Ci dovrebbero costringere a diventare più duri di loro.

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In un tempo in cui la propria importanza sociale viene misurata in base a click e condivisioni, l’anno inizia alla grande per La Nazione, il cui scoop è stato visualizzato su fb da ben 142528 utenti, commentato da 748 e condiviso da 1009. Stiamo parlando naturalmente di ciò che è sulla bocca di tutti i fiorentini da qualche giorno a questa parte: la foto di un tizio ubriaco che piscia in piazza Duomo a capodanno.

Ciò che i cronisti del giornale fiorentino non capiscono (o fanno finta di non capire) è che, ben lungi dall’essere un passo avanti nella loro crociata contro l’onnipresente (a detta loro) “degrado”, il segreto del successo di questa foto sta tutto in meccanismo psicologico vecchio come il mondo e che i social network hanno portato all’esasperazione: godere nel vedere chi sta peggio. Nel villaggio globale, dove “tutto è intorno a te” (come diceva una belloccia australiana in una vecchia pubblicità di una compagnia telefonica) e nel quale abbiamo finalmente la possibilità di condividere pensieri, suoni e informazioni urbi et orbi, sul podio dei contenuti più ricercati e visualizzati troviamo:

1- Donne nude
2- Gattini
3- Gente rovinata che fa cose stupide

Se negli anni ’90 per ridere degli altri c’era solo la “Corrida” (di Corrado), dove un presentatore più mediocre di Mike Bongiorno e un direttore d’orchestra fallito sghignazzavano nel vedere casi umani esibirsi in pubblico, oggi il world wide web offre un servizio completo e 24 ore su 24 per farti sentire superiore a qualcuno. In un mondo dominato dall’abbraccio mortale tra narcisismo e vouyerismo come quello di facebook (specchio poco deformato di quello reale), la gente posta continuamente foto di come si è ridotti alla buccia con l’ennesimo Negroni, certi del fatto che tutti apprezzeranno, commenteranno e metterano un bel like.

A questo va aggiunto la nuova tendenza del giornalismo 2.0 in cui, potenzialmente, siamo tutti reporter (non pagati). Proprio La Nazione ha recentemente spronato i suoi lettori ad inviare in redazione foto che testimonino l’intollerabile (sempre a detta loro) stato di “degrado” in cui versa la nostra città: insomma, ognuno può dare il proprio contributo alla battaglia per la “bellezza” fotografando scritte sui muri, bottiglie di birra vuote sui marciapiedi o (perché no?) gente ubriaca che piscia per strada. Una vera e propria fissazione questa per il giornalismo mainstream cittadino: ricordiamo infatti le cronache fantastiche delle feste a Lettere, trasfiguarate, nella licenza poetica, in veri e propri baccanali sconci, folli ed immorali. La prova inconfutabile della veridicità di tali affermazioni? Manco a dirlo: foto di gente ubriaca che piscia in piazza Brunelleschi.

Il punto più basso IN ASSOLUTO fu però raggiunto il 15 ottobre 2011, quando quella stessa gente che aveva inneggiato fino al giorno alle rivolte arabe, di fronte ad una piccola rivolta sotto il proprio naso, non trovò di meglio da fare che immortalare i “blecbloc” e, incoraggiata da Repubblica, schiantare le foto su facebook, dando luogo ad una inquietante ed inedita campagna di delazione.

Eppure sappiamo che i nuovi mezzi che la tecnologia ci offre (o ci impone?) non sono maligni di per sé, anzi, ad esempio possono diventare decisivi nella diffusione di contenuti politici oltre che nell’organizzazione di scioperi, vertenze, momenti di piazza ecc. Gli esempi ci vengono per lo più dall’estero: dagli Occupy americani al movimento 15M spagnolo, passando per Gezi Park, in Turchia. Ma anche in Italia non manca chi usa sapientemente i social e la rete in generale, su tutti il movimento No Tav.

Rimanendo lontani dagli sciocchi entusiasmi grillini sul valore salvifico di internet, insistiamo nel considerare il “virtuale” come un luogo di scambio e di scontro politico né più né meno di un quartiere, una valle o uno stadio. La vera domanda è: sapremo controllare questi mezzi o ci limiteremo a passare gli anni a condividere foto come questa?

da http://www.inventati.org/cortocircuito

 

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