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Ma L’Aquila ha una dimensione nazionale?

Da due anni siamo nel paradigma di quella che Giorgio Agamben chiama il governo della crisi permanente. A colpi di spread hanno prima allontanato dal governo Silvio Berlusconi e poi determinato due esecutivi non direttamente espressione di elezioni politiche.

Con il 2014 e l’investitura di Renzi a segretario del PD entra nel vivo la lotta tra i poteri del capitalismo italiano, per arginare e superare la perdurante crisi. Ricomporsi e salvarsi. Salvarsi dentro la cornice di una Europa a conduzione tedesca. Una direzione mercantilistica che tramite l’euro cerca di vincere sullo scenario globale il braccio di ferro con le altre monete. Una guerra imperiale permanente e senza soste. La Germania aveva bisogno di un suo retroterra spaziale e lo ha trovato prima nella “sua” Germania Est e poi nei cosiddetti paesi PIIGS.

Le lobbies politiche, finanziarie e, imprenditoriali italiane nella loro infinita miopia storica vanno a rimorchio della locomotiva teutonica. Vedono la propria e l’altrui salvezza nella follia dell’austerità espansiva. Dentro queste trasformazioni c’è una ridefinizione dei rapporti di potere nel nostro paese tra diversi gruppi, tendenze politiche. Essa vede da una parte Napolitano e Letta e le politiche di stabilità sorrette dalle ricette di Mario Draghi. Dall’altra Renzi e i suoi finanziatori, la finanza e l’imprenditoria di nuovo conio, con dentro una sfrenata voglia di “cambiamento, senza confini”. Una crisi al buio, profonda e con ricette approssimative e senza prospettive.

Le vecchie prescrizioni non soddisfano e nella certezza della profondità della depressione in atto qualcuno reclama coraggio di osare piuttosto che adagiarsi in formule preparate, senza stimoli. Infatti Renzi dalla Lepolda di Firenze, patria della bellezza afferma “Ci mettiamo in gioco perché pensiamo giusto che l’Italia recuperi il proprio rulo nel mondo” (quale? Non lo dice, per cui qualsiasi argomento è buono. L’Azzardo come metodo. Il tempo deve essere percorso velocemente come si addice ad una modernità senza solidità. Nella sua prolusione di sostanza e propaganda trova giusto dare vita ad un partito alla moda, leggero, soft, che si regge sulla figura di un leader, a vocazione maggioritaria: questa posizione postula un sistema politico partitico all’americana dove lo scontro politico si impernia su due partiti apparentemente diversi ma sostanzialmente simili.

Osservo e cerco di comprendere la situazione aquilana usando lenti di ingrandimento che guardino anche alle dinamiche nazionali ed europee. In tal caso non c’è dubbio che la vicenda di Cialente riassume in se il tentativo, riuscito, di convogliare l’attenzione sulla sua persona, ricompattare la sua maggioranza spiazzare le opposizioni, usare tutte le armi della propaganda. Il coraggio di volgere contro corrente (non è vero? poco importa), linguaggio sintetico, affabulatorio poco più che cinguettii, come nei social networks. Non a caso ha affidato molto delle sua comunicazione a Facebook.

Ma attenzione: dietro questa capacità di distrazione di massa c’è la rappresentanza dei poteri politici nazionali e locali. Andare allo scontro su un paradigma politico basato sulla moralità e aspetti legati alla legalità, sganciati dalla complessità in atto, si finisce divorati e votati alla inconsistenza politica.

Quello che è successo in questi giorni ha avuto la sua premessa nella metà di ottobre quandò il PD locale andò alla guerra contro il partito regionale e nazionale e quindi contro il governo Letta: argomento l’insufficienza del fondi per la ricostruzione. Bizze politiche, capricci di qualche leaderino locale che in fase di profonda trasformazione dei gruppi dirigenti sgomita per arrivare qualche piano più su? Può anche essere, ci sarà anche del vero. Ha una importanza relativa.

Sarebbe il caso di indagare circa un’altra dinamica, quella del leghismo piddino. L’ultimo partito nazionale, in via di profonda trasformazione sulle spinta schizzoide del giovane rottamatore. Ma, nonostante la trasformazione in senso sempre più verticale, è ancora e sempre il partito del fiscal compact, il partito più “europeo” d’Europa. L’imposizione del pareggio di bilancio è, per questo agglomerato politico, una religione. Ma le restrizioni finanziarie, i continui tagli alla spesa, comportano una guerra continua con le comunità locali.

Questa tenaglia comincia a mostrare la corda e L’Aquila è una delle più evidenti contraddizioni di queste politiche regressive. Forse neanche l’abilità oratoria di Renzi, i grandi appoggi finanziari e mediatici, riusciranno a tenere insieme il leghismo piddino. Il partito nazional-europeo sarà sicuramente attraversato da spasmi atroci, da guerre interne, da amministratori incapaci di intercettare qualche spicciolo anche quando gli amici stanno al governo. La crisi acuta animerà sempre più una guerra tra poveri, frantumando socialità e comunità locali.

Viene da chiedere ai piddini locali, regionali e nazionali, perché avete detto si al fiscal compact? L’avete messo in Costituzione. A cosa pensavate quando l’avete fatto? Eppure il terremoto, all’epoca, già c’era stato. Trovo che tutte le polemiche sono sapientemente veicolate per distogliere l’attenzione sul perché non vengono stanziati i fondi necessari.

Rendere evidente e strutturale quello che non lo è. Ed anche in vitù di questa situazione che risulta sempre più attuale quanto postulato da Agamben. La crisi come ricatto, come rimando continuo della soluzione, sempre sospesi. Per cui mi pare di poter dire che vi sia continuità di potere tra quello della protezione civile e quella che a noi pare la normalità amministrativa. Questo è l’articolato delle nuove forme di potere. Fermarsi al primo sgurado senza fare i conti con il “Leviatano” europeo vuol dire consegnarsi al lamento alla stantia litania dell'”aquilanità”,

Rompere il patto di stabilità interno ed europeo è la via maestra. La prossima primavera tutti a Roma per dire no alle politiche che stanno devastanto lavoratori, giovani, precari, ed impediscono la ricostruzione di una delle tante città storiche d’italia.

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