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Com’è lontana Piazza Tahrir

Le luci del giorno illuminano il terzo anniversario della rivoluzione di Piazza Tahrir, quando milioni di egiziani, pacificamente, con la sola forza della loro presenza nelle strade e dello slogan «Il popolo vuole la caduta del regime», furono in grado di costringere il presidente dittatore Hosni Mubarak a lasciare il potere dopo 30 anni. 

Era l’Egitto delle proteste arabe per pane, lavoro e diritti, che ispiro’ altre rivolte, non solo nel mondo arabo, e alimento’ un sogno globale di trasformazione e giustizia sociale.

Un Egitto molto lontano da quello di questi mesi e giorni insanguinati e carichi di tensione, figlio del colpo di stato militare dello scorso luglio sfociato in una dura repressione che colpisce anche storici oppositori di Mubarak, come lo stimato blogger Alaa Abdel Fattah. Il vecchio regime di fatto e’ tornato al potere, i movimenti progressisti sono stati messi ai margini, la sinistra e’ sempre meno influente e il vecchio dittatore Mubarak non dispera di poter ottenere una “riabilitazione”.

L’ultimo rapporto di Amnesty International – «La roadmap verso la repressione. Nessuna fine in vista per le violazioni dei diritti umani» – riferisce che in Egitto «le autorità stanno usando ogni mezzo a loro disposizione per sopprimere il dissenso e violare i diritti umani». 

«Negli ultimi sette mesi l’Egitto ha assistito a una serie di dannosi colpi ai diritti umani e a una violenza di stato senza precedenti. Tre anni dopo, le richieste di dignità e diritti umani della “rivoluzione del 25 gennaio” restano più lontane che mai. Parecchi dei promotori sono dietro le sbarre mentre repressione e impunità sono all’ordine del giorno», denuncia Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del Programma Medio Oriente di Amnesty.

«Dal 3 luglio 2013 – prosegue il rapporto – 1.400 persone sono state uccise nel corso delle violenze politiche, la maggior parte delle quali a causa della forza eccessiva della polizia. Nessuna indagine adeguata è stata aperta sulla morte di oltre 500 sostenitori di Morsi in occasione dello sgombero, col ricorso alla forza eccessiva, del sit-in di Rabaa al-Adawiya dell’agosto 2013. Non un solo membro delle forze di sicurezza è stato incriminato per quel bagno di sangue senza precedenti». 

A tutto questo si aggiungono gli attacchi ai giornalisti e alla libertà di stampa, le irruzioni nelle sedi delle Organizzazioni non governative che rende più difficoltoso operare e denunciare le violazioni dei diritti umani. 

Nelle strade del Cairo è stato proclamato lo stato di massima allerta per il timore di nuovi attentati dopo le quattro esplosioni di ieri che hanno fatto sei morti e decine di feriti.

Centinaia di persone ieri sono scese in strada a protestare contro questa ondata di attentati che, pur prendendo di mira le forze di sicurezza, non ha risparmiato una stazione della metropolitana e altri obiettivi civili. Solo un miracolo ha evitato un bilancio di vittime ben più alto. Inquieta peraltro l’entrata in scena per la prima volta nella capitale di un kamikaze del gruppo “Ansar Beit al Makdes”, di ispirazione qaedista, che, a bordo di un furgoncino carico con 500 kg di esplosivo, ha devastato, il comando delle forze di polizia. Le televisioni egiziane hanno mandato in onda continuamente le immagini dell’attentato riprese dalle telecamere di sorveglianza.

Bombe che il movimento dei Fratelli musulmani, che protesta contro il colpo di stato e la destituzione del presidente islamista Mohammed Morsi, ha bollato come “atti di codardia” senza però riuscire a sottrarsi all’accusa di coinvolgimento partita dalle autorità.

E’ stata ancora una volta durissima la risposta delle forze di sicurezza alle nuove manifestazioni organizzate dalla Fratellanza. Ieri almeno 14 dimostranti sono stati uccisi dal fuoco della polizia in varie parti del Paese. Al cordoglio per queste ultime vittime si aggiunge la costernazione per i gravi danni riportati dal Museo di arte islamica, investito ieri mattina dall’esplosione che ha fatto strage al quartier generale della polizia.

* Nena News

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