La reazione russa era obbligata. Apre scenari da brivido, ma segue ferreamente e coerentemente la logica della III guerra mondiale in cui il mondo è immerso.
* da megachip.globalist.it
Prima osservazione. La crisi in corso in Ucraina è l’ennesima riprova che le crisi sistemiche portano inesorabilmente a guerre mondiali. Per favore, basta stupirci delle guerre. La crisi sistemica del Seicento fu risolta dalle guerre anglo-olandesi che durarono più di vent’anni. La crisi sistemica scorsa fu risolta da una guerra mondiale di trent’anni che iniziò nel 1914 e terminò solo nel 1945. La guerra mondiale scatenata dall’odierna crisi sistemica è iniziata ufficialmente l’11 settembre del 2001, cioè tredici anni fa e oggi rischia di entrare in una fase nuova e più devastante.
Seconda osservazione. L’odierna crisi sistemica, si è conclamata ufficialmente il 15 agosto del 1971 quando Nixon dichiarando che il Dollaro non era più convertibile in oro, dichiarò implicitamente che la moneta imperiale era garantita esclusivamente dalla potenza politica, militare, diplomatica, culturale e solo infine economica degli Stati Uniti. Gli stessi motivi per cui quella moneta aveva corso mondiale obbligatorio. Basta, per favore, ripetere che la crisi attuale è iniziata con lo scoppio della bolla dei subprime o, al più, con quella della “New Economy“. Sono due episodi della crisi sistemica principale.
Terza osservazione. La crisi ucraina sembra confermare l’ipotesi che ho avanzato in “Al cuore della Terra e ritorno“: siamo entrati in una fase di deglobalizzazione, ovvero di suddivisione del sistema-mondo in compartimenti geo-economici separati e potenzialmente contrapposti. Un’altra conferma è il Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip), cioè la cosiddetta “Nato economica”, in corso di negoziazione. Di conseguenza la finanziarizzazione come l’abbiamo sperimentata a partire dal Volcker shock del 1979 e poi diventata virulenta negli ultimi venti anni, subirà una radicale trasformazione, dato che era sostenuta dalla globalizzazione. In relazione a questa accezione del concetto di “finanziarizzazione”, dobbiamo aspettarci una fase di definanziarizzazione che accompagnerà, anche se non in modo meccanico, quella di deglobalizzazione. Questa definanziarizzazione richiede di scambiare il più possibile valori finanziari con valori reali. Il che, in parole povere, vuol dire cercare di riempire un enorme sacco vuoto con ricchezza reale, cosa che non può non portare a disastri e scompensi per innanzitutto richiede un aumento del saggio di profitto (da cui le “riforme del lavoro”) e l’assalto all’arma bianca del dominio pubblico. Come placebo per l’ormai irrecuperabile “piena occupazione”, al fine del necessario controllo sociale verrà probabilmente introdotto un “reddito di sussistenza”, operando così una ghettizzazione istituzionalizzata di parti sempre più ampie delle crescenti “classi subalterne”, per più di una generazione. Uno scenario sociale, culturale e antropologico agghiacciante.
Quarta osservazione. Con la crisi ucraina gli Stati Uniti e la Nato sono ritornati ai vecchi amori della Guerra Fredda: le forze politiche fasciste. L’accoglienza di Kerry al nazista Oleh Tjahnybok, leader di Svoboda, ne è l’emblema. Nel 2009 era stata la volta dell’Honduras a subire un golpe old fashion orchestrato dall’entourage della famiglia Clinton ed eseguito da gorilla fascistoidi addestrati nella “Scuola delle Americhe”. In Medio Oriente ormai non si nasconde più l’utilizzo imperiale di manovalanza fondamentalista antidemocratica. Ad ogni modo, in Europa era dai tempi del colpo di stato dei colonnelli in Grecia che non si assisteva più a un uso aperto di personale fascista in Europa (utilizzo coperto c’è stato invece ad esempio durante le guerre che hanno distrutto la Jugoslavia. Anzi, possiamo considerare le guerre nei Balcani un punto di snodo, in cui forse per la prima volta cooperarono con le forze imperiali sia fascisti sia jihadisti. La differenza è che oggi, per l’appunto, il loro utilizzo è palese, aperto, quasi rivendicato.
Quinta osservazione. Il ricorso da parte imperiale di forze che formalmente sono direttamente contrastanti coi valori professati dall’Impero, è un probabile sintomo dell’indebolimento delle sue capacità egemoniche, cioè delle sue capacità a far condividere come universali i propri interessi particolari. Da tempo, infatti, il “modello” occidentale ha dimostrato di non essere in grado di essere universalmente applicato e di creare più problemi di quanti ne riesca a risolvere, sia in termini di sviluppo, sia in termini di stabilità sociale e internazionale.
Sesta osservazione. Il colpo di stato in Ucraina (ché tale è stato, indipendentemente dal fatto che il regolarmente eletto presidente Janukovič fosse corrotto e incapace), eseguito come avevo previsto assieme ad altri osservatori, pochi purtroppo, durante lo svolgimento dei giochi olimpici di Soči, è avvenuto grazie a finanziamenti statunitensi e tedeschi (non solo accertati, ma addirittura dichiarati), è stato politicamente sostenuto, a volte persino in loco, da pezzi grossi della politica e della diplomazia Atlantica (Kerry, McCain, Ashton) e infine è stato attuato utilizzando reparti paramilitari fascisti a volte addestrati direttamente in basi Nato. In poche parole, è stato un assalto atlantico alle frontiere occidentali della Russia, con ciò stracciando in una volta i Trattati di Parigi ed Helsinki su cui si basava la sicurezza collettiva europea dopo la fine dell’Urss
E’ stata quindi una mossa pericolosissima, cosa che testimonia delle gravi difficoltà che l’Occidente sta sperimentando a causa della crisi sistemica.
Settima osservazione. La reazione della Russia era obbligata. Ciò non vuol dire che non apra scenari da brivido, ma solo che segue ferreamente e coerentemente la logica della terza guerra mondiale in cui siamo immersi. L’avventurismo occidentale, che è testimone di una preoccupante dose di arrogante disperazione, sta nel fatto che si è compiuta la mossa ucraina pur sapendo che al 90% Mosca avrebbe reagito in modo brutale e deciso. Do per scontato che le dinamiche concitate di questo scorcio di crisi sistemica possano indurre anche mosse particolarmente pericolose e imbecilli. Ma qui mi sembra che siamo di fronte a una inquietante amnesia storica. Non ci si ricorda più che la Russia (e spero che si capisca perché non dico “Unione Sovietica” in questo contesto) al costo di centinaia di migliaia di morti sgominò la VI armata del generale Friedrich Paulus a Stalingrado, invertendo le sorti della II Guerra Mondiale? Non ci si ricorda più che la Russia al prezzo di venti milioni di morti ricacciò i nazisti fino a issare la bandiera rossa sul Reichstag? Si pensa che quelle cose siano successe perché c’era Stalin al Cremlino? Sbagliato. Stalin ebbe bisogno di evocare non una resistenza comunista, bensì la Grande Guerra Patriottica benedetta dai po
Una guerra le cui radici affondavano totalmente nella tradizione russa, dove i Tedeschi erano i Cavalieri Teutoni e l’Armata Rossa gli stormi di contadini-soldati guidati dal principe Aleksandr Nevskij.
Non dice niente il fatto che Putin abbia avuto per la Crimea anche l’appoggio delle opposizioni?
Cosa credete che pensino i Russi quando vedono i nazisti della Galizia prendere in ostaggio le piazze ucraine? Non si chiamava “Galizien” la prima unità non tedesca di SS?
Se i decisori occidentali non hanno più voglia di leggersi la Storia si vadano almeno a vedere il film di Eisenstein e quando i Cavalieri Teutoni caricano i Russi sul lago Peipus gelato si facciano venire anche loro un po’ di sano, istruttivo e saggio gelo alla fronte vedendo come è andata a finire:
Morale. C’è necessità di Pace. C’è un’enorme necessità di Pace. C’è un’urgentissima necessità di Pace. Per il nostro Paese c’è bisogno di una politica di neutralità. Innanzitutto dovrebbe ritornare a svolgere quel ruolo di mediazione che lo ha contraddistinto a partire dalla fine della II Guerra Mondiale almeno fino all’inizio degli anni Novanta. Già questo sarebbe un notevole passo avanti. Alternativamente, il nostro Paese potrebbe essere tirato dentro una guerra devastante in men che non si dica, senza che nemmeno se ne accorga. C’è bisogno che si rilanci un movimento di pacifismo attivo. C’è bisogno di capire che guerra e crisi sono due facce della stessa medaglia. C’è bisogno di un rilancio dell’idea stessa di “democrazia”. All’inizio della crisi, tra gli anni Sessanta e Settanta c’era coscienza di ciò. Oggi che questa coscienza è ancora più necessaria di allora siamo invece paralizzati in uno stato catatonico sia delle capacità di analisi e comprensione, sia di quelle di mobilitazione politica. Non abbiamo più la capacità di elaborare un’idea indipendente, che guardi al di là del nostro naso. Al massimo siamo al carro dei problemi suscitati dall’avversario e riusciamo – spesso malamente – solo a ragionare su quelli. Eppure siamo di fronte a un cambio di civiltà. Forse a un cambio dell’idea stessa di civiltà. Dovremmo con tutte le nostre forze evitare che ciò si trasformi in una catastrofe, perché la catastrofe non è assolutamente ineluttabile (la storia del mondo è piena di cambiamenti di civiltà), ma evitarla dipende da noi. Eppure non riusciamo a far niente e la catastrofe la rischiamo in continuazione.
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