Alla manifestazione del 12 aprile un dato saltava agli occhi: la grande distanza dal percorso virtuoso innescato dalle splendide giornate del 18 e 19 ottobre, nelle quali movimenti sociali e sindacalismo indipendente avevano saputo coniugare in modo intelligente radicalità, capacità vertenziale e sinergia tra settori sociali diversi.
Quella potenza che si era espressa soltanto nello scorso autunno risultava completamente dispersa in una manifestazione fortemente ridimensionata nei numeri, assai meno capace di parlare la lingua dei grandi temi sociali e rinchiusa nella logica sterile della competizione tra gruppi, riedizione aggiornata di vecchie pratiche che speravamo sepolte.
Che il sindacalismo indipendente avesse deciso di investire assai meno in questa manifestazione era cosa risaputa dai promotori della manifestazione, che già dall’assemblea del 9 febbraio avevano rinunciato alla stesura ed alla approvazione di una documento unitario. Già allora si era percepito che il clima condiviso dell’autunno era sfumato.
La manifestazione era per noi un passaggio per continuare a costruire quel faticoso ma indispensabile processo di collegamento tra settori sociali oggi frammentati. Mettere insieme chi occupa una casa con chi lotta per non perdere il lavoro, chi agisce sul terreno dei movimenti urbani e territoriali e chi agisce a partire dalle condizioni di lavoro, è un’impresa complicata che non si risolve con una manifestazione. È un processo, un percorso, rispetto al quale però bisogna decidere se si vuole partecipare e contribuire a partire dalla propria parzialità, oppure immaginare che si tratti di una competizione nella quale imporre modalità e forme univoche di azione.
Quando si mette mano al tema della complessità sociale si entra su un terreno delicato, fatto di individualismo ed egoismo sociale, dove gli episodi di solidarietà costituiscono una rarità mentre la norma è la diffidenza se non la contrapposizione.
Ricucire i conflitti, costruire i nessi e le relazioni, sapendo che settori sociali diversi si danno forme di organizzazione differenti ed assumono stili e modalità diverse di azione politica e di lotta è un grande obiettivo generale che ci siamo dati come confederazione sindacale.
Sappiamo che questo compito non potremo assolverlo da soli, che le esperienze da connettere in questo processo dovranno essere plurali e che anche i tempi in cui si produrranno queste connessioni non potranno essere imposti. Per questo riteniamo sbagliata la lettura trionfalistica della giornata del 12 aprile, che ha interrotto quel processo, incanalandolo su un binario morto.
Pensare che queste difficoltà siano dovute agli 80 euro di Renzi o che la ridotta partecipazione di Usb corrisponda alla distanza tra garantiti e non, è un modo poco intelligente per evitare la riflessione. Chi avanza questo tipo di considerazioni farebbe meglio a riflettere sul carattere evocativo delle sollevazioni e degli assedi e su quanto appeal abbiamo perso in questi mesi.
Non per inventarne un’altra per la prossima occasione ma per cominciare a ragionare sul serio attorno al percorso avviato in autunno ed ora irresponsabilmente interrotto.
Per farlo occorre a nostro avviso discutere di almeno tre punti fondamentali.
Innanzitutto del ruolo dell’Unione Europea, il cui processo di costruzione sta condizionando pesantemente tutte le scelte degli ultimi governi, compresi gli ultimi atti sia di politica economica che i gravi cambiamenti di natura costituzionale. Aver sistematicamente evitato di discutere di questo nella preparazione della manifestazione del 12 aprile costituisce un fattore di debolezza politica che abbiamo più volte sottolineato, poiché priva tutta la nostra azione di riferimenti generali e di una visione d’insieme dei cambiamenti in corso.
In secondo luogo, che le modalità di agire il conflitto vanno condivise a partire da una fondamentale esigenza di radicalità e da un’altrettanto indispensabile capacità di coniugare modalità differenti. Se si perde questa capacità si perde la possibilità del percorso unitario e plurale, ci si chiude nel ghetto della propria specificità, e in fondo si fa il gioco dei nostri nemici.
Infine, ma non meno importante, la gestione della piazza non è un particolare.
Quando si ingaggia lo scontro la reazione è scontata, quello che non si può prevedere è solo la sua intensità. Sabato 12 aprile la risposta è stata pesante ma a farne le spese sono state soprattutto le parti più vulnerabili della manifestazione. Ci sembra un errore molto grave che si doveva e poteva evitare e che pregiudica anche i prossimi appuntamenti. Perché spaventa, crea diffidenza, allontana la nostra gente dalle manifestazioni. Un prezzo troppo alto che si aggiunge a quello dei tanti che hanno riportato ferite anche gravi.
Al punto morto del 12 aprile non si risponde con un calendario di nuove iniziative. Non è la quantità delle mobilitazioni che cambierà la situazione. Riprendere il percorso dell’autunno è il nostro programma dei prossimi mesi, a partire dalla contestazione del semestre italiano di presidenza della Commissione Europea.
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