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Una rapina di guerra. La UE all’assalto dei “fondi russi”

L’Unione Europea – o meglio la sua attuale “direzione politica” – ha piazzato almeno tre bombe sotto il proprio stesso edificio. Ed il bello è che l’ha fatto con una mossa sola.

Ieri sera 25 paesi su 27 hanno dato il loro “ok” al blocco senza scadenza degli asset russi depositati nelle banche europee e in primo luogo del Belgio. L’idea esplicita è quella di appropriarsene per utilizzarli poi a sostegno dell’Ucraina, sia se la guerra prosegue sia per la successiva ricostruzione.

La prima bomba consiste è interna, e consiste nell’abbandono della unanimità sulle decisioni rilevanti, visto che Ungheria e Slovacchia (con governi peraltro di colore politico opposto; di destra Budapest, socialdemocratico quello di Bratislava) hanno confermato il loro “no”.

Il superamento dell’unanimità è avvenuto ricorrendo ad un trucco legale da azzeccagarbugli, ricorrendo all’articolo 122 che permette all’esecutivo europeo, “in una situazione di emergenza economica” di procedere a maggioranza qualificata. La “pezza” è stata messa argomentando che la guerra sta provocando problemi all’economia continentale; il che è persino vero (le “sanzioni” poste alla Russia – 19 “pacchetti” – si sono rivelate suicide, interrompendo lucrosi scambi reciproci, a partire dalla perdita del gas a prezzo molto più basso), ma per cause decisamente extrae-conomiche.

Giustificare una decisione “di guerra” con “problemi tecnici” apre però una voragine nel meccanismi decisionali della UE, perché diventa un precedente per altre scelte simili, mettendo i paesi eventualmente contrari nella condizione di dover valutare se restare o andarsene.

Per di più ben quattro paesi – Italia, Belgio, Bulgaria e Malta – hanno accompagnato il loro sofferto “sì” con una serie di distinguo da cui emerge che acconsentono solo “per spirito di cooperazione” e per non essere accomunati ai due “reprobi” est europei.

I quattro paesi hanno rimarcato che il voto a maggioranza qualificata a cui si è fatto ricorso non debba costituire “un precedente per la politica estera e di sicurezza comune“. E hanno ribadito che il via libera al blocco non deve anticipare in alcun modo il placet sull’uso degli asset. Anzi, i 4 Paesi hanno invitato la Commissione a continuare a cercare soluzioni ponte o vie alternative, che comportino “rischi inferiori“.

In concreto, il dispositivo approvato contiene novità importanti. Innanzitutto evita il rinnovo semestrale del divieto di trasferimento a Mosca delle attività della Banca centrale russa immobilizzate nell’Ue. Gli asset restano congelati sine die. O meglio: fino alla fine della guerra e di ogni “attività aggressiva di Mosca” nei confronti dell’Ucraina e dell’Ue.

Non è ancora il “furto” dei beni russi, ma pone – sperano i proponenti – le basi “legali” per arrivarci. Complicato, visto che Mosca ha immediatamente annunciato l’apertura di una battaglia legale di enormi dimensioni.

La terza bomba riguarda comunque il futuro dei capitali extraeuropei depositati o investiti in Europa. Sono circa 90 i paesi che si trovano a questo punto esposti – a seconda della propria posizione politica anche temporanea – a decisioni identiche. Difficile, insomma, lasciare depositati beni in istituti finanziari che possono – per una iniziativa politica superiore – appropriarsene. La “fiducia degli investitori” e la “proprietà privata” vengono così demoliti in una volta sola, facendo dell'”Europa” un luogo inaffidabile per investimenti importanti.

Per capire la gravità di una decisione del genere bisogna fare il confronto storico: neanche alla Germania di Hitler o all’Italia fascista fu riservato un trattamento del genere.

La partita non è comunque ancora chiusa definitivamente. Il summit del 18 dicembre oltre a presentarsi come tra i più importanti degli ultimi anni, rischia di tramutarsi in una dura resa dei conti tra i vari paesi.

Ma è chiaro che si vanno moltiplicando le crepe in una costruzione pensata per tempi decisamente diversi da questi.

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