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Jobs Act e i nuovi coefficienti del conflitto di classe

A proposito del provvedimento di Renzi – il Jobs Act – sono circolate in rete molte schede di controinformazione e di puntuale demistificazione a cui è, sicuramente, utile richiamare anche per organizzare l’indispensabile opera di contrasto, tra i lavoratori ed i precari, di questo ulteriore passaggio politico e materiale in materia di precarizzazione e scompaginamento di ciò che residua dell’unità politica e sociale del mondo del lavoro nelle sue varie configurazioni.

Se persino il Movimento 5 Stelle, solitamente agnostico su tali questioni, è costretto, non solo per la campagna elettorale in corso, a bollare il Jobs Act come una sorta di ritorno allo schiavismo evidentemente i contenuti in questo articolato legislativo sono ben oltre la già pesante deregolamentazione del diritto del lavoro avviata dai veri esecutivi (dal Cavaliere Berlusconi, passando per Monti e Letta) negli ultimi anni.

Un continuo incessante incrudimento che racchiude una sua indimenticabile premessa, datata nei primi anni ’90, dove la sinistra di governo (composta anche dall’allora PRC diretto da Fausto Bertinotti) si rese colpevole di una grave accelerazione antisociale attraverso l’introduzione del Pacchetto Treu a cui, qualche anno dopo, e non poteva essere diversamente considerata la centralità che avevano conquistato gli interessi delle aziende nell’agenda politica del paese, segui la famigerata Legge 30 (Biagi) del governo Berlusconi.

Da quello snodo legislativo e da quegli anni il lavoro è stato collocato su un piano inclinato dove la sua costante svalorizzazione ha fatto da prioritaria linea di condotta di ogni azione di governo sia nella sua espressione politica più apertamente liberista e sia nella cosiddetta versione soft incarnata dai governi di centrosinistra.

Ora con il Jobs Act del decisionista Matteo Renzi siamo ad una ennesima periodizzazione dell’attacco antioperaio il quale avviene – ed è questo uno dei motivi di novità di simile provvedimento – in una particolare congiuntura del generale corso della crisi capitalistica e delle sue ripercussioni sugli equilibri e le gerarchie che si consumano nel processo, a scala continentale, di costruzione del polo imperialista europeo.

Bene ha fatto il compagno Sergio Cararo in un editoriale su Contropiano  (https://contropiano.org/editioriali/item/23535-le-ipoteche-del-jobs-act) ad evidenziare come il provvedimento di Renzi serve a determinare nel nostro paese le migliori condizioni possibili (per il capitale) miranti a garantire tassi di accumulazione accettabili nell’ambito dell’accentuata competizione globale interimperialistica.

In questa dimensione l’Italia e l’intera area Pigs costituiscono, di fatto, una zona di sperimentazione per nuovi e più selvaggi dispositivi di sfruttamento generalizzato della forza lavoro di cui le norme del governo Renzi sono una esplicita esemplificazione materiale adeguata alla situazione odierna.

Non è un caso che anche la querelle – tra le diverse fazioni del panorama politico parlamentare – attorno alla definizione normativa, in senso più o meno peggiorativo, di alcuni codicilli dell’intero articolato legislativo è da rapportare all’urgenza che determinati settori del capitalismo tricolore segnalano, da tempo, circa gli storici ritardi, in materia di concentrazione e centralizzazione del capitale, con cui la borghesia italiana e le sue espressioni finanziarie ed economiche sono costrette a misurarsi sul proscenio internazionale.

Ne consegue, dunque, il carattere costitutivo e strategico che il Jobs Act – in stretta sinergia con il complesso dei fattori di autoritarismo che si vanno affermando in materia di relazioni sociali, contrattazione, disegno istituzionale e ridefinizione delle tecniche di governance – assume in questa fase della vicenda politica italiana.

Su tale passaggio il governo Renzi punta molte delle sue carte anche in previsione delle prossime scadenze tecniche e politiche imposte dalla Trojka.

Impegni stringenti e non rinviabili che si impongono ben al di là delle cortine fumogene propagandistiche dei recenti viaggi del premier italiano in casa Merkel o dagli altri partner europei.

Missioni diplomatiche, soprattutto ad uso dei media, con cui il giovane Matteo ha tentato di “nascondere la polvere sotto il tappeto” ai burocrati dell’Unione Europea in attesa che in Italia prendessero corpo e sostanza le rinnovate direttrici dell’offensiva antipopolare ancora in incubazione.

Si tratta, allora, anche per chi aspira alla ricostruzione di una opposizione politica e sociale, ancorata ad un programma autonomo ed indipendente, di comprendere il mutamento in atto e gli sconvolgimenti che si preparano.

Sul piano politico, su quello sociale, sindacale e vertenziale occorrerà assumere un indispensabile cambio di passo per adeguare il nostro agire a questa nuova dimensione del conflitto: nei posti di lavoro, nei territori e nell’intera società.

Un impegno complesso a cui la Rete dei Comunisti non farà mancare il suo apporto, teorico e politico, a cominciare negli appuntamenti, in costruzione, del Controsemestre Popolare e in tutte le varie mobilitazioni che si determineranno nel prossimo periodo.

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