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Bentornato nemico capitalismo

Novecento anni fa un filosofo medievale di nome Abelardo pubblicò un’opera dal titolo Sic et non (Sì e no), insegnandoci a prendere sul serio le contraddizioni. Ma che ne è oggi della libertà di contraddire, di dire realmente sì oppure no all’attuale modello di sviluppo?

Nella politica contemporanea la libertà viene assimilata perlopiù ad un processo di scelta tra alternative solo apparentemente opposte, un’opzione simile a quella che viene concessa ad un consumatore tra Renault, Volkswagen e mille altri marchi. Tuttavia, il fatto che egli debba acquistare un’auto è già, sin dall’inizio, deciso.

Che il pensiero unico esista è un fatto, che possa essere rifiutato è un fatto, ma sul perché esso si sia affermato in modo apparentemente incontrastato, deve divenire oggetto di costante riflessione, specialmente a sinistra.

La storia degli ultimi quarant’anni può essere riassunta nella narrazione di come il capitalismo abbia sbaragliato tutti i suoi nemici esterni e interni. Il trionfo di Reagan sull’impero del male, la vittoria della Thatcher su lavoratori e sindacati, lo smantellamento del welfare perseguito in tutta Europa, le politiche di austerity, sono solo configurazioni diverse di un’unica grande offensiva capitalista che continua ancora oggi. Capitalismo, liberismo, consumismo, finanziarizzazione dell’economia, sono volti differenti di uno stesso principio: la logica del maggior profitto possibile. Tutto ciò che ostacola tale processo è, agli occhi del capitalismo, un nemico da affrontare e da sconfiggere.

Fino agli anni ’80 la sinistra europea si è cullata nell’illusione bernsteiniana di aver superato la lotta di classe e le contraddizioni della società capitalista. In alcuni momenti, per la verità, lo stato borghese è sembrato assumere una fisionomia interclassista (si pensi, ad esempio, all’art. 3 della costituzione repubblicana o allo statuto dei lavoratori). In realtà, il conflitto sociale è stato solamente anestetizzato e occultato per una cinquantina di anni. Le conquiste sociali delle socialdemocrazie e la tolleranza del patronato verso le rivendicazioni sindacali, sono il risultato di una vera e propria pedagogia della paura, nutrita dal pericolo della rivoluzione sociale, dalla forza dei partiti comunisti, dalla presenza di un’alternativa politica reale, costituita dall’esistenza e dal ruolo internazionale dell’URSS.

Tutto ciò contribuì a dar forma ad una sorta di capitalismo dal volto umano che ha plasmato l’intera Europa occidentale fino agli anni ’70. In poche parole, il capitale si è imposto dei vincoli per mantenere il controllo politico e sociale. Alla carota dello stato sociale si affiancò, quando le pretese erano eccessive o gli equilibri di potere traballavano, il bastone della strategia della tensione.

Dissolta l’URSS e assimilata la Cina al modo di produzione capitalista, non vi sono più pericoli esterni per il capitalismo, viene dunque meno anche la necessità del volto umano che serviva ad occultare il conflitto. Il risultato è quello sopra descritto: l’esaurirsi del welfare, la crisi delle socialdemocrazie, l’impossibilità del riformismo.

In tale quadro, votare PD, SPD. CDU o TSIPRAS non fa differenza, in quanto significa accettare una logica trascendentale, quella del profitto che, nonostante le reprimende, le nostalgie, le critiche, continua a crescere e a concentrarsi nelle mani di un’ élite internazionale che non teme più alcun nemico, esterno o interno che sia, e che, di conseguenza, non accetterà più nessuna logica di ridistribuzione.

Concludo con l’importanza della contraddizione radicale per definire cosa significhi libertà oggi e faccio mio il pensiero del filosofo Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno: “La libertà non sta nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta”.

* Ross@ Verona

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