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Il dialogo Pd-M5s sulle riforme è finito? Tutto dipende da che ha promesso Renzi a Berlusconi

All’inizio della scorsa settimana il Pd sembrava propenso a continuare il dialogo iniziato con il M5s al punto che il suo segretario indirizzava una lettera (per la verità un po’ confusa e con qualche bestialità costituzionale) nella quale poneva 10 domande, senza accennare alla richiesta di una risposta scritta, al punto che si parlava di un incontro per giovedì. Poi, silenzio sino a tutto mercoledì. Giovedì la proposta di spostare l’incontro a lunedì senza alcuna richiesta di risposta scritta preliminare, al punto che viene fissata  la richiesta della sala per l’incontro. Poi sabato si inizia a parlare di risposta scritta, al punto che Di Maio concede una intervista al Corriere per dire che la risposta del M5s sono “8 si su 10” lasciando in parte impregiudicata la questione dell’entità del premio di maggioranza mentre si dice che è accettato anche il doppio turno. Una risposta chiara, direi, che dovrebbe sostituire ad abbundantiam la letterina richiesta, visto che eventuali chiarimenti sarebbero potuti venire nell’incontro. Invece si registra un improvviso irrigidimento del Pd, attraverso la bocca di uno dei vice segretari, che pone la richiesta della lettera come ultimativa: o richiesta scritta o niente incontro, che in effetti salta con particolari tragicomici di cui si dirà in altra occasione.

Tutto questo avanti e indietro e questo improvviso ed irragionevole  irrigidimento si spiegano solo con qualcosa che sta succedendo nel Pd. Si capisce che c’è una discussione con orientamenti diversi e che, ad un certo punto, è prevalso quello più chiuso verso il M5s. Viene la tentazione di pensare che questa strana evoluzione dei fatti abbia più a che fare con il problema del dissenso interno ai gruppi parlamentari che con la questione in sé del rapporto con il M5s.

Comunque il M5s ha deciso di esaudire la richiesta scrivendo la tanto agognata lettera. Fa sorridere pensare che al M5s si richieda una lettera, nonostante gli incontri si svolgano nel modo più pubblico e trasparente possibile, mentre con Berlusconi questa esigenza non si è mai avvertita: incontri chiusi e nulla di scritto. O forse carta scritta c’è, ma viene tenuta segreta. Eppure il Cavaliere non ha certo risparmiato ondeggiamenti in questi mesi. Evidentemente c’è qualcosa o qualcuno che fa da sigillo ad accordi che non siamo sicuri di conoscere del tutto. E Berlusconi, parlando con i suoi, ha fatto intendere chiaramente come stanno le cose: dovete votare la riforma al Senato così come è “perché io non posso rimetterci la faccia”, quindi c’è altro al di là del merito delle due riforme.

Il problema non è il tempo: che c’è sol che lo si voglia. Ed, anzi, il percorso della legge, se ci fosse un accordo di tutti, sarebbe probabilmente meno accidentato e perciò più veloce.

Ma veniamo al merito esaminando i punti su cui la proposta del M5s si caratterizza diversamente dall’Italicum:

1. Premio di maggioranza e doppio turno. Il M5s è proporzionalista, ma accetta un ragionevole premio di maggioranza (la consultazione ha votato sia per un metodo del divisore rettificato, sia per collegi medio piccoli che producono effetti di questo genere), ma con il limite (peraltro stabilito dalla Corte Costituzionale) di un premio che non stravolga il principio di rappresentanza; quindi che non garantisca in ogni caso la maggioranza assoluta al vincitore, se questi ha troppo pochi suffragi. Sul punto Renzi sembra piuttosto confuso: nella lettera inviata al M5s il 9 us. chiede un premio che dica “chi ha vinto” (cioè chi governerà) sin dalla sera dei risultati, quindi sufficiente a garantire al vincitore la maggioranza assoluta in ogni caso, ma poi parla di un premio al primo o al secondo turno (si badi: anche al secondo) “non superiore al 15%” dei seggi. Le due cose non stanno insieme: se il vincitore prende il 30% dei voti, con il premio del 15% ottiene meno del 51% dei seggi, se, invece, il premio gli assicura la maggioranza assoluta, vuol dire che è del 21% e non del 15%.

In attesa che il Presidente del Consiglio ed i suoi consiglieri si chiariscano le idee in proposito, il premio illimitato è incostituzionale, però siccome a stabilirlo è la Corte Costituzionale, il M5s, con la lettera odierna, rimette la materia al successivo giudizio della Consulta, lasciando momentaneamente cadere la sua opposizione sul punto. Altrettanto per il doppio turno, che comporta ulteriori effetti distorsivi della rappresentanza (anche perché, di solito, votano molti meno elettori del primo turno). Nelle trattative è normale che si ceda su qualche punto per trovare una intesa.

2. Coalizioni o partiti? Il M5s, nella sua consultazione si è dichiarato contrario alle coalizioni. Beninteso: non è affatto proibito che una serie di partiti si accordino per sostenere politicamente un Presidente del Consiglio o un programma, ma questo non deve tradursi in una coalizione la cui sommatoria decide chi va al secondo turno. Nessuno proibisce a due o più partiti di presentare una lista comune, quello che non va è la “dichiarazione di apparentamento” per cui ognuno si presenta da solo sotto un unico ombrello. Questo bisogno di distinguersi, per massimizzare i consensi, poi proseguirà anche dopo le elezioni, portando (come è regolarmente accaduto in questi venti anni) alla rottura della coalizione ed alla crisi di governo (è successo nel 1994, nel 1998, 2000, nel 2005, 2008 e 2011). Se oltre che la “governabilità” si vuole la stabilità, occorre rendere più stretti i vincoli fra chi si allea. Quindi l’ammissione al secondo turno ed il premio vanno dati alla singola lista vincente e non distribuiti fra un mucchio di alleati occasionali pronti a dividersi. Su questo punto il Pd non avrebbe ragione di dire di no: ha abbondantemente da solo i voti per correre ed i residui alleati che non ha fagocitato possono benissimo accomodarsi nelle sue accoglienti liste. Il M5s ha ripetutamente dichiarato di non volere dar vita a coalizioni. Unico interessato alla norma è Berlusconi: il suo partito ormai viaggia stabilmente ben al di sotto del 20% a 5 punti di distanza dal M5s, è in calo e non ha molte speranze, da solo, di arrivare al secondo turno, finendo così nel girone della marginalità. Per farcela ha bisogno di Lega e Fratelli d’Italia e Ncd (o almeno due dei tre). Potrebbe proporre lista unica ai suoi alleati, ma è molto improbabile che ciascuno di essi sia disposto a perdere visibilità per entrare in una lista con scarsissime probabilità di vittoria finale. Dunque, coalizione si (forse), lista unica no (sicuramente). Pertanto, lasciare il meccanismo delle coalizioni è solo un favore a Berlusconi.

3. Clausole di sbarramento: in presenza di un premio di maggioranza che assicuri il 51% dei seggi al vincitore, le clausole di sbarramento non sono necessarie ed anzi, aumentano fortemente la disrappresentatività, incrementando il premio del vincitore. Nel 2013 non ottennero il quoziente Fid, Rivoluzione Civile, Fli ed altre formazioni minori per un totale intorno al 10%, le europee hanno segnalato che la sommatoria delle liste sotto quoziente (il 4%) è stato dell’8% circa. Ovviamente questo redistribuisce i seggi fra gli altri partiti, primo fra tutti il vincente, il cui bottino in seggi salirebbe ancora di 3 o 4 punti percentuali.

Dunque, una cosa non solo inutile ai fini della governabilità, ma ulteriormente distorsiva. E neppure si può dire che questo serva ad impedire l’eccessiva frammentazione del sistema politico, perché, se ci sono due o tre grandi partiti che totalizzato più del 75% dei seggi ed uno ha la maggioranza assoluta, è del tutto ininfluente se il rimanente 25% è diviso fra due o quindici partiti. La reale funzione delle clausole di sbarramento è un’altra: forzare i partiti minori ad entrare nelle liste dei partiti maggiori o nelle loro coalizioni. Tradotto: ancora una volta è un favore al Cavaliere.

4. Le preferenze: E’ nota l’antipatia che aveva il Pci per le preferenze vedendole come l’esca per il voto clientelare, destinato a gonfiare i suffragi di Dc, Psi e Psdi. Quella antipatia è stata in parte ereditata dal Pd e confermata ancora nel 2012 in occasione del tentativo fallito di riformare il Porcellum. Se il problema fosse questo, la proposta del M5s risolve il problema ricorrendo al panachage (voto disgiunto fra lista e preferenza). Ma il problema non è solo questo: il punto è che Pd e Fi sono strutturati come partiti fortemente verticisti e, se il Pd, almeno sinora, ha avuto una direzione più collegiale, Fi (ed il Pdl) è stata proprietà privata di una sola persona, che usa il potere di nomina a discrezione come il guinzaglio per i “suoi” parlamentari. Non che il potere di nomina dispiaccia a Renzi, ma, in complesso, anche qui, mantenere l’Italicum così è un favore prevalentemente a Berlusconi.

Le cose credo siano abbastanza chiare. Dunque, la proposta del M5s non è stata affatto intempestiva, perché ci sono ancora tempi e condizioni per arrivare ad una intesa. Se così non dovesse essere, sarà chiaro a tutti che Renzi ha scelto di dare a Berlusconi quello che gli chiede (sostanzialmente: il posto di n 2 del sistema e la patente di “padre costituente” per essere graziaro e risorgere politicamente).  Berlusconi, dal suo canto, si accontenta di un posto di numero 2 (più di tanto non può sperare) cedendo lo scettro al suo giovane clone, ma cercando di salvare le aziende e mettere le mani sulla riforma della giustizia.

A proposito: ma voi, un paese in cui un condannato definitivo discute, da pari a pari con gli altri governanti, come riformare la giustizia, dove mai lo avevate visto?
Miracoli dell’era Renzi!

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