L’economista Emiliano Brancaccio, ex allievo del ministro: “Un altro paladino dell’austerity, non cambierà nulla”
«È curioso, si pensa che cambiando le facce cambino le politiche economiche, invece Padoan è in linea con Saccomanni e Monti. Non credo sia l’uomo da cui aspettarsi un cambiamento delle politiche recessive definite in sede europea». Emiliano Brancaccio, economista dell’Università del Sannio, se lo ricorda bene il professor Padoan. «Era uno dei nostri docenti al Collegio Carlo Alberto, insegnava, non a caso, Economia dell’Unione europea».
Un Padoan euroentusiasta.
«Non userei quell’aggettivo: la personalità di Padoan mi è sempre sembrata poco avvezza all’entusiasmo. Ma certo, era assolutamente persuaso che l’euro fosse la strada giusta, un fatto definitivo, e che i dubbi sulla futura tenuta dell’eurozona fossero privi di fondamento».
Previsione non azzeccatissima, ma era il ’99, chi poteva immaginare la crisi.
«Bè, molti autorevoli economisti, dal nostro Augusto Graziani a premi Nobel come Krugman, già allora esprimevano dubbi sulla tenuta dell’eurozona. Io chiesi a Padoan cosa pensasse di quegli studi che criticavano l’idea che gli squilibri tra i paesi membri dell’Ue potessero essere risolti a colpi di austerità. Padoan non rispose. Scrollò le spalle e sorrise, con un po’ di sufficienza».
Come dire: sciocchezze.
«Evidentemente per lui non valeva la pena ribattere. E non mi pare abbia cambiato idea. In una recente intervista al Wall Street Journal ha detto che le critiche all’austerity nascono solo da “un problema di comunicazione” visto che secondo lui “stiamo ottenendo risultati”. E ha aggiunto: “Il risanamento fiscale è efficace, il dolore è efficace”».
Quindi si aspetta un altro ministro dell’austerity?
«Non c’è dubbio. Anche quando era all’Ocse Padoan ha sempre sottovalutato gli effetti recessivi del rigore. Ancora nel 2012, l’Ocse si aspettava per l’Italia nel 2013 una riduzione del Pil dello 0,4% e invece sappiamo che è stata di 2 punti percentuali. Forse Padoan crede ancora troppo alle previsioni della sua istituzione di provenienza».
Ma ora dice che la priorità è la crescita.
«Per la verità a me pare che abbia già messo in soffitta l’idea di Renzi di sforare il tetto del 3% del rapporto deficit/Pil. In linea con le istituzioni europee, Padoan ha già detto che per adesso non c’è spazio per rivedere quel limite. Lui si aspetta di rilanciare l’economia con un taglio del cuneo fiscale. Ad avviso di molti questa soluzione si rivelerà inefficace anche perché realizzata all’interno dei vincoli di bilancio recessivi imposti dalla Ue. Un’altra illusione, temo».
Ancora austerity, dunque, anche col giovane Renzi?
«Gli auspici renziani di poter ottenere qualcosa nel semestre europeo nella migliore delle ipotesi si tradurranno in concessioni irrisorie rispetto a quanto servirebbe per invertire il trend recessivo, dopo una caduta di 9 punti di Pil dall’inizio della crisi internazionale».
Lei insomma pensa che Renzi verrà bloccato dall’euroburocrazia di cui è espressione Padoan.
«Non esiste l’uomo della Provvidenza. Abbiamo già visto due premier definiti “autorevoli” e ritenuti “capaci di imporsi in Europa”: hanno fallito. Ora c’è il terzo, con a fianco un Padoan chiaramente ostile a una svolta. Il vero problema sono i rapporti di forza nella Ue. In Germania c’è una ostilità profonda verso il cambiamento perchè ai tedeschi in fondo va bene un’eurozona fatta così. Per riaprire la contesa bisognerebbe mettere in chiaro che la Germania, con il suo conservatorismo, sta mettendo a rischio la sopravvivenza non solo della moneta unica ma anche del mercato unico europeo. Questo rischio è noto a tutti. Ma questi non sono argomenti che un ministro come Padoan potrebbe mai esplicitare».
Intervista di Paolo Bracalini
* Intervista pubblicata su Il Giornale del 10 marzo 2014
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