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Giorgio Cremaschi: “Abbiamo bisogno di un sindacato che faccia conflitto e non sottogoverno”

L’accordo, si fa per dire, firmato dai sindacati del sì in Fiat prevede che ai lavoratori sia elargita una “una tantum” annuale di 260 euro. Per quest’anno un dipendente dell’azienda si vedrà aumentare la paga di quello che Marchionne guadagna mediamente in meno di 7 minuti. Quando si sottoscrive una tale sproporzione di valori, neppure riconducibile a misure medioevali, si definisce la propria dannosa inutilità per i lavoratori, che sicuramente avrebbero tutto da guadagnare se sindacati così servili non esistessero. Ma se la Fiat è un caso estremo, per altro benedetto da Renzi e dal suo ministro del lavoro, non si deve pensare che altrove vada molto diversamente. Nella – azienda dell’auto diventata americana e che paga le tasse in Gran Bretagna – il suo amministratore delegato in Svizzera- c’è un regime speciale che la FIOM ha contrastato pagando durissimi prezzi. Ma altrove sono CGIL CISL UIL a firmare assieme la resa. La serie di contratti ed accordi che servono solo alle imprese e che per i lavoratori sono solo un danno è oramai lunghissima. Tra breve saranno i -dipendenti del commercio a subire simili trattamenti e senza neanche la scusa della delocalizzazione, un supermercato non si può trasferire in Albania. Dove invece si trasferiscono senza colpo ferire i call center, lasciando in mezzo ad una strada decine  di migliaia di persone qui da noi.

I dipendenti del comune di Roma perderanno migliaia di euro di retribuzione, ma stiano buoni, hanno il posto sì o no? All’Alitalia il fatto che i licenziamenti ufficiali siano meno di quelli annunciati, quelli veri saranno di più, viene presentato come un grande successo, di chi? Solo degli arabi che comprano in realtà.
La famiglia Merloni incassa 758 milioni vendendo la Indesit. Un fallimento imprenditoriale che viene lautamente compensato, mentre ai lavoratori toccheranno tutti i costi dell’affare. Ma i sindacati recentemente firmatari di accordi con la proprietà dismessa son ammutoliti, mentre governo e politica tacciono: non si vorrà mica mettere in dubbio la legittimità del mercato?

Secondo la Caritas in tre anni i poveri sono raddoppiati e molti di loro vengono dal mondo del lavoro una volta tutelato. È una catastrofe sociale senza precedenti, e le responsabilità politiche delle imprese e dei governi sono enormi, ultima quella di vendere fumo autoritario con le riforme istituzionali e tralasciare qualsiasi serio intervento in economia. Ma assieme a tutte queste responsabilità stanno ęanche quelle dei gruppi dirigenti e degli apparati di CGIL CISL UIL. Che nel momento più difficile del lavoro hanno scelto una linea e una pratica di sottomissione, passività, resa. La vulgata della propaganda renziana è che il sindacato s’impegni solo per gli occupati abbandonando giovani, precari, disoccupati, ai quali abbiamo poi visto quale amore dedichi il governo. La realtà è che in Italia il grande sindacato non esiste più, è solo un simulacro burocratico e gli occupati stanno come “sugli alberi le foglie in autunno”, soli di fronte ad ogni tempesta in corso o in arrivo.

Gli anni della concertazione sono stati una droga per il potere di CGIL CISL UIL. Le confederazioni hanno conseguito un ruolo istituzionale enorme mentre i loro rappresentati scivolavano nell’abisso. Una volta che pensioni, articolo 18, contratti nazionali, salari posti di lavoro e diritti son stati smantellati con la firma di CGIL CISL UIL, la sopravvalutazione istituzionale del loro ruolo non è servita più. Alla fine è stato proprio il governo amico renziano a liquidare l’immagine di un potere sindacale da tempo in crisi nei luoghi di lavoro. Se alla fine della prima repubblica crollarono i partiti, ora tocca alle grandi confederazioni, e Renzi e i suoi vogliono costruire il proprio potere anche trattando CGIL CISL UIL come il Senato.

I gruppi dirigenti e la burocrazia sindacale si autogiustificano con la crisi, la depressione e la rassegnazione delle lavoratrici e dei lavoratori. È la gente che non vuol lottare, dicono in particolare nella CGIL. E proprio qui sta il massimo della malafede e della caduta di moralità politica.
Perché è ovvio che chi è precario, chi è disoccupato, chi rischia di diventarlo ha paura. È un diritto sacrosanto del lavoratore provare paura, ma è un dovere del sindacato non averne. Invece oggi i gruppi dirigenti e la media burocrazia di CGIL CISL UIL comunicano la loro paura, la loro rassegnazione a chi avrebbe bisogno di speranza e coraggio. E non fanno neppure più finta di amministrare la propria propaganda. Gli esecutivi CGIL CISL UIL avevano pomposamente varato una proposta sulla crisi e poi non si é fatto più nulla. Tutto sparito, d’altra parte non si capiva neanche cosa si volesse chiedere e a chi.

Intanto l’autorità per gli scioperi ci dice che i conflitti sono aumentati ovunque, anche se sempre più spesso si sviluppano al di fuori del contesto sindacale ufficiale. Dai facchini della Granarolo ai tranvieri di Genova, una ribellione cresce in tutto il mondo del lavoro, e anche se è ancora minoritaria é destinata a estendersi , come si sta estendendo in tutta Europa, dalla Spagna alla Francia alla Gran Bretagna.
Il mondo del lavoro e tutto il paese devastati dalla crisi hanno dunque, oggi più che mai, bisogno di un sindacato vero. La democrazia estenuata che marcia rapidamente verso il regime ha bisogno di un sindacato che faccia conflitto e non sottogoverno. La ricerca di una via alternativa alle politiche di austerità ha bisogno di un sindacato che la sperimenti nella sua pratica quotidiana. Con l’accordo sulla rappresentanza del 10 gennaio CGIL CISL UIL si sono formalmente impedite di essere questo sindacato. Infatti se quella intesa diventasse operativa e, in spregio anche al recente pronunciamento della Corte Costituzionale , dovessero essere legali solo i sindacati complici con le aziende, il modello Marchionne con i suoi “accordi” diventerebbe obbligatorio.
Bisogna allora che tutte le forze e i militanti sindacali che non si rassegnano a questa stagione di saldi sindacali si mettano assieme. E lo che facciano in fretta.

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