In America, con poche battute, Renzi ha disegnato il ritratto di se stesso. E non è stato un bel vedere. Ha detto che vuole fare con l’Italia ciò che ha fatto Marchionne con la Fiat. Come a dire: chiudiamo l’Italia e trasportiamo a Detroit 60 milioni di italiani. Un’impresa, a dir la verità, piuttosto complicata. Ma tant’è: quando s’incensa l’uomo-simbolo dei nuovi poteri forti, che trasvolano in America e da noi non pagano le tasse, qualche strafalcione è ammesso. D’altra parte, il super manager trasvolatore, che ha resuscitato la rapace famiglia Agnelli, ricambia con passione: benissimo la cancellazione dell’articolo 18. Perché, dice, accresce disagi e disuguaglianze. Lui che ha intascato (a sua insaputa?) una cifra 435 volte superiore a quella di una lavoratore di Pomigliano messo in Cassa integrazione.
Ma le gaffes e gli strafalcioni non finiscono qui. Si domanda il nostro misurato presidente del Consiglio: «Se il reintegro è un obbligo costituzionale, come dice qualcuno (?), perché è valido per le aziende con più di 15 dipendenti e non per quelle sotto»? Ma perché, caro presidente, ci sono stati quelli che si sono ferocemente opposti all’estensione di questo diritto a tutte le aziende, tra cui un tale che si chiama Matteo Renzi. E non si tratta di uno sfacciato caso di omonimia. Insiste però il presidente: «Perché qualcuno ha diritti di serie A se stai in un’azienda di 15 dipendenti e diritti di serie B se i dipendenti sono 14»? Domanda incongrua, giacché se le cose stanno così anche per responsabilità di Renzi, allora la domanda giusta da porre è: perché il solito Matteo vuole applicare il principio di uguaglianza mandando tutti in serie B, ossia rendendo tutti precari senza eccezione alcuna?
Si può essere bischeri anche in gioventù, filosofeggiava il vecchio dc Amintore Fanfani, che essendo toscano conosceva bene i suoi polli. Ma qui non di bischeraggine si tratta, bensì di una chiara e netta scelta di destra, che vuole spogliare le persone del diritto al lavoro, e porre i lavoratori alla mercé del capitale completamente ignudi, nuda merce al pari di tutte le altre merci. Come faccia una sinistra, che continua a denominarsi tale, a trasmutare nei contenuti in una nuova destra interna al capitale, definendo al tempo stesso tale procedimento innovazione e/o rinnovamento, lo spiega in modo ineccepibile sul Corriere della sera del 28 settembre un indiscusso esperto della materia, il prof. Angelo Panebianco. Il quale illustra come segue le quattro storiche realizzazioni del giovane Matteo.
«Per cominciare, ha spazzato via in un colpo solo l’antiberlusconismo». E infatti, invece di un avanzamento di civiltà fondato sui principi di giustizia e solidarietà, di uguaglianza e libertà, assistiamo al consolidamento di un’alleanza di fatto fondata sul Patto del Nazareno, che predica (e pratica) l’esatto contrario. «In secondo luogo, il premier ha aggredito il tabù (ancora!) della ‘Costituzione più bella del mondo’». E infatti, invece di applicarla, lavora alacremente per smantellarla. «C’è poi la circostanza che sta spaccando il Partito democratico», giacché «le prese di posizione del premier su articolo 18 e Cgil stanno modificando senso comune e cultura politica della sinistra». Un’operazione mediatico-culturale a vasto raggio volta a far apparire di sinistra scelte di destra, su cui molti si sono già esercitati nella storia d’Italia. Infine «l’innovazione più importante di tutte (…) incarnata da Renzi stesso», quella dell’ «uomo solo al comando». Vale a dire l’espressione massima del berlusconismo (dopo aver abbattuto antiberlusconismo). E prima ancora del fascismo, con gli esiti distruttivi che conosciamo.
Il quadro che tratteggia Panebianco è in sintesi la conferma di un dato di fatto: in Italia la sinistra non c’è. E non c’è perché è stata sepolta, seppure con opposte motivazioni, una forte, autonoma e libera rappresentanza politica dei lavoratori e delle lavoratrici del nostro tempo. Di conseguenza, la partita si gioca oggi, nella sostanza, tra fazioni diverse di una sola rappresentanza degli interessi economico-sociali: quella dei gruppi dominanti del capitale globalizzato. Una condizione in cui sono a rischio, insieme al lavoro e all’ambiente, la democrazia e la libertà, e anche la pace come assetto stabile del mondo. Ma mentre la casa brucia, quel che resta di una sinistra dispersa e subalterna sembra dividersi ulteriormente su questioni insignificanti di un piccolo potere. Invece di cercare le motivazioni di fondo per un’azione comune, e per uno stabile e diffuso radicamento nel profondo della società.
* autore di “Lavoro senza rappresentanza” e de “La bancarotta del capitale. Nel laboratorio di Marx per uscire dalla crisi”
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